La visita della premier a Kiev è stata un successo diplomatico, con la firma di un accordo bilaterale con l’Ucraina e la presidenza della riunione dei capi di governo del G7. Ma c’è stato anche qualche neo: con l’assenza del presidente Macron e la stanchezza degli ucraini che si è fatta sentire anche durante le solenni cerimonie
«Questa terra è un pezzo della nostra casa e faremo la nostra parte per difenderla». La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha inaugurato la sua visita in Ucraina con una frase simbolica pronunciata in un luogo altrettanto simbolico: le rovine dell’aeroporto di Hostomel, a pochi chilometrici da Kiev, dove esattamente due anni fa si combatteva una battaglia fondamentale per salvare la capitale ucraina dall’occupazione russa. Accanto a lei c’erano il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, con cui poche ore dopo ha firmato un accordo di sostegno bilaterale; la presidente della Commissione europea Ursula Von Der Leyen e i primi ministri di Canada e Belgio. La visita di Meloni e degli altri leader internazionali è arrivata in un momento importante per gli ucraini: il giorno del secondo anniversario dell’invasione, tra sondaggi che mostrano la loro crescente stanchezza per il conflitto e con la situazione al fronte sempre più difficile.
L’apice di Meloni
Dopo la conferenza stampa all’aeroporto di Hostomel, Meloni ha incontrato da sola Zelensky nel palazzo presidenziale di Kiev e i due hanno firmato un accordo di sicurezza che per dieci anni impegna l’Italia a fornire aiuti militari a Kiev in caso di nuova aggressione. L’accordo è il quarto firmato da Zelensky, dopo quelli con Regno Unito, Francia e Germania ed è soprattutto un passo simbolico in vista della sperata adesione dell’Ucraina alla Nato.
Dopo la firma è arrivato il momento diplomaticamente più significativo per Meloni, quando nel tardo pomeriggio ha presieduto dalla cattedrale di Santa Sofia una video conferenza con i leader del G7 a cui ha partecipato anche il presidente ucraino. Alla testa della riunione dei leader di governo più potenti dell’occidente, nella capitale del paese al centro della più grave crisi internazionale in corso in Europa dalla fine della Seconda guerra mondiale, Meloni ha celebrato uno dei punti più alti raggiunti nel suo riconoscimento internazionale.
Il ruolo di problematica leader di un partito populista di destra sembra ormai totalmente dimenticato, grazie anche alle sue mosse sull’Ucraina e all’alleanza sempre più stretta che la lega alla presidente della Commissione europea, Von Der Leyen – le due leader sono arrivate ormai al terzo viaggio insieme, dopo quello a Lampedusa e la visita di Von Der Leyene in Emilia Romagna dopo l’alluvione dello scorso maggio.
Ma il momento di gloria di Meloni ha avuto anche i suoi nei. Alla riunione del G7 è mancato il presidente francese, Emanuel Macron, che lunedì ha convocato a Parigi un suo vertice sull’Ucraina a cui, sembra, Meloni non intende andare. Una conferma che le relazioni tra i due restano pessime e che, dietro ai successi comunicativi e di protocollo, all’Italia continua a mancare comunque un certo peso specifico diplomatico.
Problemi ucraini
Zelensky è stato un ospite impeccabile con Meloni. «I nostri incontri sono sempre significativi», ha commentato dopo la firma dell’accordo. In tutta la visita non c’è stato nemmeno un singolo accenno (almeno in pubblico) ai due punti dell’agenda di Kiev su cui l’Italia non è proprio allineata: il sequestro degli asset russi congelati in Europa, a cui i diplomatici italiani si oppongono insieme a quelli di Francia e Germania, e l’invio di armi, terreno sul quale l’Italia è in fondo alla classifica europa. D’altro canto, Zelensky ha i suoi problemi da affrontare, con un gradimento personale in calo e con la parte della popolazione più attiva nel sostegno del conflitto demoralizzata per il licenziamento del popolare generale Valery Zaluzhny. Zelesnky è sembrato riconoscere il cambiamento di umore e in un video pubblicato da Hostomel, quando ha utilizzato un tono meno inflessibile del solito per rivolgersi ai suoi cittadini. «Qualsiasi persone normale vuole la fine della guerra – ha detto Zelensky – Ma dobbiamo farla finire alle nostre condizioni».
Una parte di questi problemi si è vista durante il momento più solenne della visita, quando Zelensky e i suoi ospiti internazionali hanno deposto una corona di fiori al monastero di San Michele, di fronte al Muro dei caduti, dove sono commemorati i soldati ucraini uccisi dall’inizio del conflitto con la Russia nel 2014. La cerimonia, scandita dal suono funereo dei tamburi di una banda militare, è stata disturbata dal suono di decine di clacson, azionati dagli automobilisti in solidarietà con una silenziosa una manifestazione di cinquecento familiari e sostenitori del famigerato battaglione Azov, diventato oggi una divisione, che chiedevano maggiori sforzi per la liberazione dei loro cari ancora detenuti in Russia. Zelensky non ha mai avuto una relazione facile con questa frangia dell’opinione pubblica ucraina. Oggi, con la guerra che va male e il licenziamento del loro eroe Zaluzhny, meno che mai.
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