Nel 2020, per i dati ministeriali, il 47 per cento dei posti di lavoro creati nel paese era occupato da una donna. Ma la presenza femminile è massiccia nell’economia informale, quasi inesistente nelle piattaforme digitali
Appena atterrati all’aeroporto Noi Bai, l’occhio viene catturato dalla rigogliosa vegetazione che fiancheggia le strade. Tra le case sparse degli agricoltori, il clima tropicale fa esplodere foreste di banani che si perdono a vista d’occhio. Attraversando il ponte Nhật Tân, nell’infinità di motorini si intravede all’orizzonte la silhouette della capitale vietnamita.
Hanoi è un brulicare di vita: bambini che si aggrappano a motorini già sovraccarichi, strade dedicate a singole professioni – la via dei coltelli, dei fabbri, delle spezie – e persone indaffarate, tutte con una meta precisa. Un caos ordinato, dove ogni elemento sembra avere il suo posto, e che solo agli occhi occidentali può apparire confuso.
Alle cinque del mattino, quando i primi raggi del sole illuminano Hanoi, la città si sveglia con un’energia contagiosa. Le strade si popolano di persone che si dedicano alla ginnastica, in una sorta di rituale collettivo. Alcuni trovano rifugio nella quiete del lago Hoàn Kiém. Poco dopo l’alba, le strade si animano di donne che preparano il pho, la zuppa locale, e con due ceste e uno stelo di bambù vendono frutta, verdura e fiori freschi.
Economia femminile
Le donne vietnamite sono i pilastri della società. Non solo gestiscono l’economia informale, ma sono anche protagoniste della crescita economica nazionale. Nel 2020, secondo i dati del ministero del Lavoro, degli Invalidi e degli Affari sociali, oltre il 47 per cento dei posti di lavoro creati in Vietnam era occupato da una donna.
Il rapporto sul Gender Gap stilato dal Forum economico mondiale nel 2019 racconta di un paese che si distingue a livello globale per la parità di genere nel mondo del lavoro, con una quota di reddito femminile tra le più alte. Le politiche governative a sostegno della famiglia e quindi anche del lavoro delle donne, come l’indennità di maternità e il congedo parentale, collocano il Vietnam ai vertici delle classifiche internazionali, a pari merito con paesi come il Lussemburgo.
Le grandi escluse però, sono una fetta importante della torta. L’Organizzazione Internazionale del Lavoro ha stimato in 7,5 milioni le donne vietnamite impiegate nell’economia informale, private di tutele sociali e lavorative. Sebbene questo numero sia in calo, nel 2022 le donne rappresentano ancora il 62 per cento della forza lavoro informale, soprattutto nelle aree rurali. Due piani destinati a mescolarsi tra loro, perché le donne svolgono più lavori contemporaneamente.
Nelle regioni montuose del nord e del centro del Vietnam, l’agricoltura è la prima fonte di sostentamento delle comunità locali. A Sa Pa, ad esempio, un gioiello incastonato tra le montagne del Tonchino a circa 1.600 metri di altitudine al confine con la Cina, le comunità etniche Hmong, Dao e Muong coltivano riso su terrazzamenti a gradoni, creando un paesaggio mozzafiato. Vestono casacche colorate e con motivi geometrici unici. Il riso, che in primavera ed estate è verde, matura fino a diventare dorato ed è raccolto a mano. Dietro questa paziente bellezza si nasconde un duro lavoro, svolto anche dalle donne.
Le trasformazioni di Sa Pa
Lontane dal centro città, le case dei contadini sono semplici, spesso prive di comfort. I bambini grandi badano ai più piccoli e crescono a stretto contatto con bufali, galline e polli. Sho, una donna di 28 anni nata e cresciuta a Sa Pa, incarna la vita delle molte donne che abitano questi luoghi. L’agricoltura di sussistenza è parte della loro quotidianità sin da piccole. Nonostante abbia frequentato solo le scuole elementari, Sho ha imparato l’inglese grazie al turismo, un’attività che sta trasformando la sua comunità. Le vallate tra le risaie e il centro di Sa Pa sono costellate di costruzioni enormi, grandi scheletri inconclusi che ospiteranno in un futuro prossimo i turisti.
«Da piccola la mia famiglia era talmente povera che non avevamo soldi per comprare le scarpe, né per avere l’elettricità in casa. Ho iniziato a lavorare in una struttura per turisti due mesi fa, ma già da tempo durante il giorno vado con loro a fare percorsi di trekking nei dintorni di Sa Pa. Poi lavoro con mio marito nei campi» racconta in un inglese migliore anche dei molti vietnamiti addetti all’accoglienza negli hotel o nei ristoranti del paese.
Se da un lato il turismo rappresenta un’opportunità per le economie locali, dall’altro può minacciare la genuinità delle culture, riducendole a mere attrazioni. In Vietnam questo processo è ancora lento, ma è inarrestabile. Alcune delle donne che si incontrano per le strade di Sa Pa cercano infatti insistentemente di seguire i turisti giapponesi, coreani e in minor misura europei nei loro trekking, perché ciò che possono guadagnare anche solo vendendo un braccialetto è molto di più di quanto sono abituate ad avere. La storia di Sho è un microcosmo in cui questi cambiamenti si scontrano. Lei, da parte sua, sta cercando di cogliere qualcosa di positivo da questa condizione.
Anche se dice di stare molto meglio rispetto a quando era piccola, comunque non si può ancora permettere un viaggio nella capitale Hanoi. Nel 2022 le statistiche ufficiali sul settore agricolo parlano di uno stipendio medio di 586.000 Dong (circa 22 euro) nella provincia del Lao Cai, in cui si trova Sa Pa1. Un biglietto per un autobus notturno in direzione Hanoi costa 300.000 Dong, 14 euro.
Come molte donne nel mondo, anche Sho svolge un ruolo fondamentale nell’economia familiare: il lavoro di cura. Anche questo per lei è un deterrente alla mobilità, alla possibilità di vedere ciò che entusiasticamente si fa raccontare dai turisti che incontra tra una camminata e l’altra.
Le piattaforme
Mentre le donne vietnamite sono il fondamento dell’economia informale soprattutto nelle zone rurali, gli uomini sono i principali lavoratori dell’economia delle piattaforme. Attraversando tutte le città più importanti da nord a sud del Vietnam, da Hanoi a Da Nang e Hoi An fino a Saigon, una costante ben visibile sono i fattorini e gli autisti su motorini e macchine. L’arrivo di piattaforme digitali multinazionali come Grab, ShopeeFood, Be, Gojek e Ahamove ha rivoluzionato il settore dei trasporti e della consegna a domicilio perché queste sono entrate in un mercato, quello vietnamita, molto giovane. L’età media nel paese è di 30 anni.
È comune vedere sui motorini fattorini con caschi colorati, pronti a consegnare cibo o pacchi, oppure intenti a trasportare uomini in giacca e cravatta o gruppi di amiche con valigie al seguito e al limite della sicurezza.
Come in altre parti del mondo, le piattaforme digitali hanno creato nuove opportunità di lavoro, ma hanno anche portato con sé nuove sfide, come una sempre maggiore concorrenza tra lavoratori e precarietà. Infatti, anche se a migliaia di chilometri dall’Europa, i lavoratori della gig economy vietnamiti vivono condizioni del tutto simili ai colleghi occidentali.
Le donne sono ben poco rappresentate nel settore. Uno studio di Fairwork, progetto coordinato dall’Oxford Institute, ha evidenziato come le molestie sessuali sono un problema diffuso per le donne che guidano, soprattutto nei paesi del sud-est asiatico dove moto e scooter sono i mezzi di trasporto più comuni. E infatti ad Hanoi come a Saigon, nei capannelli di autisti è raro trovare una donna.
La crisi post Covid
Do Danh Liem, 40 anni, è un esempio del Vietnam che apre all’economia delle piattaforme. Un tempo era agente immobiliare, ma la crisi portata dal Covid 19 lo ha costretto a reinventarsi come autista per la piattaforma Grab. Nata a Singapore nel 2012 come GrabTaxi, l’azienda ha una valutazione di 14 miliardi di dollari ed è attiva in molti paesi asiatici tra cui anche Cambogia, Giappone e Filippine. Tra il 2014 e il 2018 Grab si è scontrata fortemente con Uber, piattaforma di trasporto statunitense, ma ha avuto la meglio decretando l’uscita del colosso americano da tutto il sud est asiatico in cambio di una quota aziendale.
Liem percorre da ormai cinque anni le strade di Da Nang e Hoi An trasportando turisti. Una corsa di 38km, per quattro passeggeri, è valutata dall’app 497.000 Dong, poco più di 18 euro. «Ho scelto Grab perché mi offre più opportunità di lavoro rispetto al tradizionale taxi», spiega Liem. Come riportava lo scorso dicembre Rest of the World, gli autisti in moto-taxi tradizionali (chiamati xe om) maltrattano spesso quelli delle piattaforme accusandoli di rubargli i clienti in alcune zone della città. Quartieri in cui molti detengono da tempo la piazza in modo arbitrario e in cui attirano i clienti anche indossando finte giacche di Grab. Giacche, vendute sui manichini dei più popolari mercati del paese.
Come molti suoi colleghi, Liem ha dovuto affrontare le sfide della gig economy: orari flessibili ma spesso massacranti, tariffe soggette a continui cambiamenti e una competizione feroce. «È un lavoro che mi garantisce uno stipendio mensile, se unito ad altri» dice parlando in vietnamita con il traduttore automatico. In una giornata di lavoro può fare anche viaggi andata e ritorno molto lontani, e guadagnare tra gli otto e i nove milioni di Dong (300 euro).
Alla fine della corsa di ritorno però mi chiede di essere pagato al di fuori della piattaforma. «Perché la percentuale che si prende è alta» confessa. Su 18 euro, Grab ne trattiene 3 e Liem, quando il cliente è d’accordo, se li fa dare al di fuori dell’app per guadagnare di più.
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