Un mercenario Wagner in missione ha sempre con sé due granate. Una per il nemico, l’altra per farsi saltare in aria. La regola Yevgeny Prigožin la chiariva subito quando arrivava in visita nelle carceri russe, a reclutare mercenari per mandarli al fronte in Ucraina. «Nessuna diserzione, nessuna resa».

Vladislav Izmailov non ha mai usato quella granata, si è prima arreso all’esercito ucraino e ha poi varcato un’altra linea. Dopo quasi un anno di prigionia ha indossato di nuovo la mimetica ed è tornato al fronte, ma non è mai tornato a essere un Wagner. Combatte per l’Ucraina, con l’esercito ucraino.

«Sono stato nella Wagner, vengo dalla Russia, sono nato nella città di Samara», racconta in esclusiva a Domani. Mani dietro la schiena e polo verde militare senza patch, arriva all’appuntamento per l’intervista dopo essere stato richiamato per una attività non programmata. È il primo soldato della Wagner – e finora anche l’unico – a essersi rifiutato di tornare in Russia dopo essere stato catturato, per combattere ancora. Tra le fila dei Russian Volunteer Corps, uno dei tre gruppi formati da volontari russi e che combattono per l’Ucraina, sotto la supervisione del GUR, servizi di intelligence del ministero della Difesa ucraino.

I detenuti reclutati 

ANSA
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Vladislav Izmailov da mercenario Wagner ha combattuto vicino a Lysychansk, non lontano da Bakhmut. Racconta di esecuzioni sommarie, dei metodi duri, delle regole severe dell’addestramento Wagner. Risponde a tutte le domande. In più racconta di aver conosciuto di persona Yevgeny Prigožin, quando il fondatore del gruppo Wagner atterra con il suo elicottero privato nel cortile della colonia penale di Samara, mille chilometri esatti da Mosca. Una settimana prima del suo arrivo, vengono smontate le videocamere di sorveglianza, viene proibito ai detenuti di avere contatti con familiari. Izmailov è uno di quei detenuti, è stato coinvolto in una rissa ed è in carcere da due anni e otto mesi.

«Molti di noi non sapevano chi fosse Prighozin, e che tipo di compagnia fosse una compagnia privata chiamata Wagner», racconta. Davanti a 1.200 detenuti in fila Prighozin tiene un discorso. «Disse di avere il permesso da autorità superiori di portare via chiunque». E di preferire chi avesse commesso reati gravi, con 25 o 30 anni di condanna. Per uscire dal carcere «ci è stato offerto un contratto militare per sei mesi». I modi e i tempi raccontati da Izmailov sono quelli che delineano una tecnica di reclutamento che ha permesso a Wagner di espandersi in modo considerevole.

«Un paio di mesi prima di morire nell’incidente aereo, Prighozin ha detto di aver assunto 50mila detenuti, di cui il 20 per cento sono morti al fronte», racconta a Domani Carlos Bodoque, analista ed esperto di compagnie militari private. Insieme a lui in collegamento dalla Spagna il suo collega Felip Daza che inquadra il contesto: «C’è stato un punto di svolta, i fallimenti dell’esercito russo a Kharkiv, Kherson e sul fronte est hanno obbligato Putin a cambiare strategia militare», sostiene. «E hanno cominciato a puntare di più su Prighozin, questo è stato un punto di svolta dove Prighozin aveva bisogno di un reclutamento di massa».

E li trovava in carcere. I detenuti si fidavano ciecamente di Prighozin, lo vedevano come uno di loro. Nel suo passato nove anni in prigione prima di una ascesa verticale in campo militare e politico. Una carriera che gli consentirà di avere una delega di potere tale da consentirgli di arrivare in un carcere insieme a due agenti del FSB russo, a offrire grazie presidenziali e armi pesanti a criminali, stupratori e assassini di ogni genere. Che finiranno a combattere l’esercito di Kiev per conto di Putin, e al posto dei suoi soldati. Prighozin riparerà subito dopo il suo discorso, la firma sui contratti sarà gestita dagli agenti FSB.

Al fronte 

A Samara il 27 settembre del 2022 firmano quel giorno in 280, su 1.200. Firma anche Izmailov, gli resta appena un anno da scontare ma vuole lasciare la Russia e dopo aver scontato la pena – racconta – «avrei avuto otto anni di supervisione con restrizioni, non sarei stato in grado di avere un lavoro normale, non mi avrebbero lasciato andare all’estero perché avevo precedenti penali».

L’offerta per molti è irrinunciabile, sei mesi di guerra e fedina penale totalmente ripulita. Sul perché non tutti firmino la proposta, Izmailov ha la sua idea. «Qualcuno forse si è reso conto che era un biglietto di sola andata. Qualcuno probabilmente ha intuito che saremmo stati usati come carne da cannone», racconta.

«Quando firmi un contratto con la compagnia Wagner, ci sono delle regole che non devi infrangere. Niente diserzione, niente ritirata, niente disobbedienza agli ordini, niente alcol o droghe», aggiunge. «In caso di violazione delle regole c’è il plotone di esecuzione». 

«Abbiamo fatto due settimane di addestramento estremo, non abbastanza per essere gettati in un assalto come carne da cannone, dove devi essere pronto a tutto», prosegue.

Racconta di aver visto due esecuzioni di ex detenuti come lui, di aver ricevuto le armi appena arrivato al centro di addestramento di Rostov e di non avere mai avuto addestramento militare prima di quel momento. Due settimane, 20 ore al giorno di addestramento, quello che definisce un “lavaggio del cervello” con propaganda e letture ideologiche e via al fronte in prima linea a combattere in Ucraina.

«Ricevevamo solo le coordinate delle posizioni che dovevamo catturare». Nessuna indicazione su quanti soldati da affrontare, nessuna indicazione su come procedere con l’assalto. Izmailov racconta di essere rimasto per due giorni da solo insieme a un altro Wagner ferito in combattimento, gli arriva l’ordine di lasciarlo lì ma fa di testa sua, fino a quando viene circondato da una squadra di soldati ucraini. E viola la prima regola del gruppo Wagner, si arrende e si consegna al nemico.

L’unica mano alzata

Credits: Vincenzo Leone e Michael Shtekel

Resta oltre sei mesi – di nuovo – in carcere, stavolta in Ucraina. Poi viene caricato su un bus pieno di soldati russi regolari e mercenari Wagner, per uno scambio di prigionieri di guerra al confine. Prima di scendere dal bus e tornare in Russia, su quel bus sale Denis “White Rex” Kapustin. È il capo del gruppo RDK, i Russian Volunteeer Corps, ex soldati russi e volontari russi che da due anni esatti combattono per Kiev e non riconoscono Putin come legittima guida della Russia.

White Rex fa a tutti loro una proposta. «Come sempre accade nella vita, potete scegliere adesso». Le opzioni sono scendere dal bus e andare in Russia, o prendere parte al programma “I want to live” per restare in Ucraina senza armi. «E c’è una terza opzione, restare per combattere dalla parte dei “buoni”, per la giustizia».

Prosegue dicendo che combattere con gli RDK vuol dire combattere contro i soldati di Putin e contro il ministro della Difesa russo. «Questa è la vostra ultima possibilità». L’unico che alza la mano quel giorno è Vladislav Izmailov. «Sì, solo io tra tutti in pullman ha accettato la proposta», conferma in esclusiva a Domani.

Quel giorno decide di giurare fedeltà alla costituzione ucraina, come prevede la procedura secondo quanto conferma in esclusiva a Domani l’intelligence ucraina. E firma contestualmente la sua condanna a morte in Russia, Prighozin dirà di lui che è un “traditore”, e di essere sicuro che «soffrirà una adeguata punizione secondo le tradizioni della Wagner. Spero lo troveremo e spero di ucciderlo». Il trattamento per i disertori che scelgono di restare in Ucraina è quello dello “sledgehammer”, una esecuzione a martellate ripresa in video per essere trasmessa poi su Telegram.

I crimini dei mercenari

«Naturalmente, dopo il mio consenso ho detto chi ero e da dove venivo, e ho dovuto fare molti controlli», racconta Izmailov. C’è un video che documenta questo momento, lo stesso White Rex è sorpreso nel sentire che ha davanti un Wagner che passa a combattere per l’Ucraina.

La sua reazione si spiega in quello che Wagner ha rappresentato nel conflitto in Ucraina. La questione è delicata sotto diversi aspetti. Carlos Bodoque e Felip Daza hanno documentato nei loro report i metodi e i crimini efferati dei Wagner, commessi su civili e soldati. «Una violenza non solo fisica», raccontano, ma anche psicologica sulle famiglie. «Chiamavano per chiedere soldi in cambio dei corpi delle loro vittime», citando casi verificati a Bucha.

A Odessa incontriamo di persona un veterano che è stato catturato e torturato dai Wagner per cinque settimane. L’interprete nel tradurre i suoi racconti si ferma più volte per la brutalità dei dettagli. A Kiev incontriamo Jane Alieva, si occupa di documentare i crimini di guerra e le ripercussioni legali delle azioni di Wagner ed è direttrice della Ong Payback for Ukraine.

«Se possiamo fargli cambiare idea, è positivo. Possiamo fidarci di loro? Non spetta a me rispondere a questa domanda. Possono aiutare? Penso di sì», racconta dal parco Taras Schevchenko in pieno centro città. E aggiunge un altro livello di analisi alla questione. «Funziona in termini di reputazione di questa guerra, il fatto che la parte sbagliata stia effettivamente riconoscendo che hanno fatto qualcosa di sbagliato».

Carlos Bodoque e Felip Daza raccontano come i soldati ucraini intervistati da loro e che hanno combattuto a Bakhmut facciano una distinzione tra i Wagner “professionisti” e quelli reclutati in prigione. «Vedono una grande differenza», dicono. E chi non è mosso da una grande ideologia «non ha questo forte attaccamento a Wagner e alla bandiera russa». E poi a questo punto della guerra e con i problemi legati alla mobilitazione «qualsiasi soldato è il benvenuto».

Ma sono sicuri che l’esercito ucraino faccia controlli serrati sul passato di quel soldato, e sulla sua condotta prima di cambiare uniforme. Questo aspetto viene confermato dal portavoce del GUR. Andriy Yusov ha chiarito a Domani un aspetto legato ai crimini di guerra. I cittadini russi che vogliono unirsi al RDK o ad altre unità “russe” vengono controllati per il loro possibile coinvolgimento in indagini su crimini di guerra. Persone con un trascorso del genere non vengono accettate. «Se parliamo di criminali di guerra, questo è un argomento per un processo e procedimenti legali», ha detto Yusov.

Combattere «per la giustizia»

Lo stesso Denis “White Rex” ha utilizzato la storia di Izmailov rendendola pubblica in almeno un paio di occasioni, dopo aver fatto quelli che ha definito «appropriate checks». E dopo aver incontrato diverse volte l’ex Wagner.

«Ho dovuto fare molte interviste con Denis, il test con il rilevatore della verità ovviamente e molti altri controlli, che non rivelerò. Una volta superati i test, ho iniziato l’addestramento per tre mesi prima del mio primo combattimento», racconta Izmailov che a questo punto della storia, diventa un soldato sotto gli ordini delle forze armate ucraine.

L’idea di passare a combattere dall’altra parte, «è apparsa tanto tempo fa», confida. Ma non si è mai fidato di nessuno. Nei Wagner «solo vociferare qualsiasi idea, anche se non volevi andare a combattere, se dicevi che era un viaggio di sola andata, saresti stato ucciso con una esecuzione». Si fida solo di un blogger durante la prigionia in Ucraina, di cui però non parla e non ci dirà nulla di più.

Racconta che 18 Wagner quel giorno accettano di tornare in Russia. Non sa che ne è stato di loro e immagina cosa sarebbe successo a lui: un lungo interrogatorio in uno scantinato, torture per capire «perché mi sono arreso, perché non mi sono fatto saltare in aria» e poi esecuzione o linea del fronte di nuovo.

Dice di non sentirsi un traditore perché in Russia combatteva per i suoi interessi, per avere la fedina penale ripulita. E che adesso combatte «per la giustizia. Sono anche contrario al fatto che Putin governi la Russia. Sono contrario a molte leggi perché le ho affrontate molto spesso in Russia e sono contrario a ciò che sta accadendo lì al momento».

Tra i ranghi del RDK

Izmailov racconta del suo arrivo tra i ranghi del RDK. «Quando hanno scoperto che sono stato un Wagner, è stato strano all’inizio». E conferma come all’inizio tutti fossero scioccati. Da soldato ucraino ha combattuto vicino Svatove, ad Avdiivka. «La nostra posizione era vicino all’impianto chimico. Abbiamo assaltato le trincee. Dopo, vicino alla stessa città, abbiamo tenuto la cosiddetta ’strada della vita’ vicino ad Avdiivka». Ovvero quando l’esercito russo, dopo alcuni mesi di assalti, è riuscito a conquistare Avdiivka, ed era cruciale proteggere il passaggio per consentire all’esercito ucraino di ritirarsi. Subito prima dell’intervista, ha partecipato ai combattimenti vicino a Vovchansk, nella regione di Kharkiv.

La particolarità di questi gruppi formati da volontari russi sta anche nella loro natura operativa. Quando operano in Ucraina, lo fanno sotto il controllo del GUR, i servizi di intelligence di Kiev. E sotto il comando delle Forze Armate Ucraine. Quando invece operano oltreconfine, in Russia, lo fanno in autonomia come «movimenti, organizzazioni e componenti sociali e politici separati», e «non agiscono come unità dell’esercito ucraino», chiarisce da Kiev in esclusiva per Domani il portavoce del GUR Andrii Yusov.

Izmailov è stato anche in Russia con l’uniforme RDK, ha partecipato ad attacchi a Belgorod. «È una sensazione fantastica, essere entrati in territorio russo e tornare a casa. Anche se in tempo di guerra, ma nella tua patria», racconta. Ha comunque la consapevolezza della sua scelta, e delle conseguenze. «Mi rendo conto che sono considerato un terrorista in Russia e, dato che non c’è nulla che mi trattenga lì, non ho intenzione di tornare. Solo dopo la guerra, eventualmente».

E qui gli chiediamo se condivide i toni che contraddistinguono i proclami del RDK e degli altri due gruppi di volontari russi, e come immagina il suo ritorno in Russia. Su un carrarmato Abrams verso Mosca? Risponde in russo, come tutta l’intervista: Mojno, bylo b klassno. «Sarebbe bello».


Questo lavoro è stato realizzato nell’ambito del progetto di N-Ost. La pubblicazione è stata realizzata con l’assistenza finanziaria dell’Unione europea. Il contenuto di questa pubblicazione è di esclusiva responsabilità di Vincenzo Leone e Michael Shtekel e non può in nessun caso essere considerato come riflettente la posizione dell’Unione europea.

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