Questa volta Ursula von der Leyen era seduta sulla poltrona giusta, nella stessa sala dove nel 2021 Erdogan l’aveva relegata in disparte, su un divano, facendo accomodare accanto a sé solo l’allora presidente del Consiglio europeo Charles Michel. Ma ormai di tempo ne è passato e, soprattutto, il presidente turco è un partner troppo «strategico» da far dimenticare quell’incidente diplomatico.

Così martedì 17 dicembre la presidente della Commissione europea è volata ad Ankara per discutere dei tanti dossier sul tavolo. A cominciare dalla crisi in Siria dove Erdogan, com’è noto, ha avuto un ruolo di primissimo piano nella caduta del regime di Assad e nella presa del potere da parte degli ex jihadisti ora diventati «ribelli». Ma se il Medio Oriente è ormai un posto diverso rispetto a qualche anno fa, quel che non è cambiato è l’approccio europeo nei rapporti con la Turchia quando si parla di migranti: soldi in cambio di trattenimenti, respingimenti e rimpatri. Lo ha confermato lo sesso Erdogan, quando ha detto di aspettarsi un «sostegno dall’Ue in modo tale che il ritorno dei siriani nel loro Paese diventi realtà».

Rimpatriare i siriani

Von der Leyen ha portato in dote a Erdogan «un ulteriore miliardo di euro per il 2024». I fondi, ha sottolineato la presidente della Commissione, sosterranno «l’istruzione e la sanità per i rifugiati in Turchia, la gestione della migrazione e delle frontiere, compresi i rimpatri volontari dei siriani». Ed è proprio questo il punto: ora che Assad è scappato a Mosca – è la tesi dei governi europei – i tempi sono maturi per rivedere l’accoglienza straordinaria dei profughi che in questi anni sono fuggiti dalla Siria per la sanguinosa guerra civile iniziata nel 2011.

La prima ad annunciare la sospensione delle domande d’asilo è stata la Germania che, dal 2012, ha accolto 866 mila profughi siriani, il 62 per cento di quelli che hanno bussato alle porte dell’Europa. A stretto giro si è accodata anche l’Italia, anche se il nostro Paese, nonostante la Siria sia dopo il Bangladesh il secondo Stato di provenienza per chi sbarca sulle nostre coste (dal primo gennaio 2024 ne sono arrivati in 12.297), in questi anni ne ha accolti poco più di 6 mila. Lo 0,004 per cento delle oltre 1,4 milioni di domande d’asilo gestite dai Paesi dell’Unione europea dal 2012. La scelta di Berlino e delle altre capitali europee è stata criticata da più parti perché ritenuta prematura per un Paese in ginocchio, dove più del 90 per cento vive sotto la soglia di povertà.

«Pestaggi sistematici»

La strategia della Commissione europea, replicata in questi anni con diversi Stati (Tunisia, Egitto, Marocco per dirne alcuni), è stata inaugurata proprio in Turchia, nel 2016. Anche se al posto di von der Leyen c’era Juncker, lo schema è sempre lo stesso: si paga il capo di Stato o di governo di turno, in questo caso Erdogan, per fargli fare il «lavoro sporco». In quell’anno, nel pieno della crisi dei profughi siriani, Bruxelles ha siglato un patto con Ankara, il Facility for Refugees in Turkey, con un investimento iniziale di tre miliardi. L’accordo è stato prorogato di anno in anno, fino a oggi, ed è costato ai contribuenti europei «quasi dieci miliardi di euro», come ha spiegato in conferenza stampa von der Leyen.

La Turchia, seguita dal Libano, è diventata il posto al mondo con più profughi siriani – circa 3,6 milioni sui sei totali scappati dal proprio Paese – e nella sua visita ad Ankara la presidente della Commissione europea ne ha lodato la «responsabilità nell’accogliere milioni di rifugiati». Eppure, solo due mesi fa un’inchiesta di alcuni media internazionali (tra cui Politico, El País, Der Spiegel, Le Monde e L'Espresso), in collaborazione con l’ong Lighthouse Reports, ha messo in luce le ombre della gestione turca dei migranti: sono emersi «pestaggi diffusi e sistematici» nei centri finanziati dall’Ue, «dove siriani e afghani vengono costretti a firmare documenti per il ritorno volontario e vengono deportati in condizioni pericolose».

Normalizzazione siriana

La strategia di von der Leyen è fatta di due capitoli. Il primo l’ha spiegato lei stessa nella lettera inviata ai leader europei in vista del vertice di domani e dopodomani, dove quello migratorio sarà tra i temi principali. La presidente della Commissione ha spiegato di stare «valutando il modo migliore per introdurre nel quadro giuridico la possibilità di istituire gli hub» per i rimpatri in Stati extra europei, prendendo a modello i fallimentari cpr albanesi del governo italiano, e di voler accelerare la «revisione» del concetto di «Paese sicuro».

Il secondo ha a che fare con la normalizzazione dei rapporti con la nuova Siria, step imprescindibile per i rimpatri. Durante la plenaria del Parlamento europeo dedicata alla crisi siriana, l’Alta rappresentante Ue Kaja Kallas si è detta pronta a riaprire l’ambasciata nel Paese e ha chiesto «al capo delegazione di recarsi a Damasco per avere i primi contatti costruttivi con la nuova leadership».

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