Usa e Gran Bretagna intervengono dopo l’uso contro le navi cargo da parte dei ribelli yemeniti di missili terra-mare probabilmente forniti dall’Iran. Ma Biden cerca di abbassare la tensione e lascia intendere che la questione è solo commerciale. Non vuole un’escalation verso una guerra con gli ayatollah
Nel vocabolario settoriale già fitto della “guerra mondiale a pezzi” entra con forza un nome nuovo: “Houthi”. Sono i ribelli sciiti dello Yemen che hanno preso il controllo del paese costringendo all’esilio il governo appoggiato dall’Arabia Saudita, faro del mondo sunnita, dunque rivale nell’annoso conflitto intrareligioso del mondo musulmano. Da quando Israele ha iniziato l’invasione di Gaza seguita agli attacchi di Hamas del 7 ottobre, per solidarietà con la popolazione palestinese hanno sparato diversi razzi e droni con l’intento di colpire lo stato ebraico e «tutto ciò che galleggia» nel golfo Persico e nel mar Rosso, non solo navi militari ma anche mercantili.
Poi giovedì scorso il salto di qualità con missili terra-nave, ordigni particolarmente sofisticati, si sospetta forniti dal loro grande protettore, l’Iran degli ayatollah.
È a questo punto che gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, appoggiati da Bahrein, Australia, Canada e Paesi Bassi, hanno alzato in volo i loro caccia per bombardare una dozzina di obiettivi, campi di addestramento, basi e depositi di armamenti situati anche nella capitale Sana’a.
Il presidente americano Joe Biden ha tenuto immediatamente a precisare che la sua volontà non è quella di colpire Teheran per interposti Houthi, ma di difendere la libera circolazione delle merci, come del resto prevede la legge del mare. Il portavoce del consiglio per la Sicurezza nazionale John Kirby ha ulteriormente precisato: «Non cerchiamo un conflitto con l’Iran, non cerchiamo un’escalation, non ce n’è ragione al di là di quanto accaduto negli ultimi giorni».
Il Mediterraneo
Un tentativo, quello americano, di abbassare la temperatura diventata bollente attorno all’area più infiammabile del pianeta Terra.
E comunque una verità almeno parziale, visto che il traffico marittimo verso la rotta più comoda del canale di Suez è diminuito di circa il 50 per cento, le navi sono costrette per evitare guai a puntare la prua verso sud e a doppiare il capo di Buona Speranza, cioè a circumnavigare l’Africa, allungando di un paio di settimane la durata della navigazione con un aumento consistente di costi per assicurazioni, carburante, stipendi per l’equipaggio.
E con conseguenti ripercussioni sugli introiti dei porti dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo, bypassato dalle nuove rotte. Non per caso ad esempio l’Italia, stando a una ricostruzione della Reuters, ha rifiutato di far parte dell’azione nel tentativo di non essere considerata “nemica” di chi, verosimilmente, non abbasserà la testa dopo i raid subiti e anzi continuerà a cannoneggiare per ritorsione i cargo di passaggio, in una spirale di cui al momento non si vede la fine. Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, dal canto suo ha tenuto a precisare che eravamo stati avvertiti dagli alleati di questa «giusta reazione», ma che l’Italia non ha potuto partecipare perché la Costituzione non lo ammette senza un dibattito in parlamento.
Partigiani di Allah
La tribù degli Houthi è seguace di una variante dello sciismo islamico denominata zaydismo, e ha governato lo Yemen per secoli sino al 1962, quando l’imamato zaidita fu rovesciato da una repubblica araba a guida sunnita. Al 1992 risale la nascita del loro gruppo armato Partigiani di Allah con il motto “Allah è sommo, morte all’America, morte a Israele, maledizione sugli ebrei, vittoria per l’islam”.
Parallelamente viene fondato anche il movimento Gioventù credente per indottrinare migliaia di giovani e prepararli alla guerra santa.
All’inizio del nuovo millennio cominciano gli scontri con le forze armate regolari yemenite, in cui muore il fondatore Husayn Badr al Din al Houti.
Dopo una breve tregua, la ripresa delle ostilità a partire dal 2010, sfociata nel 2015 con la conquista del palazzo presidenziale della capitale. Da allora un conflitto endemico che dura ancora oggi e che ha provocato più di centomila morti, durante il quale gli Houthi hanno preso il dominio della quasi totalità del paese, comprese tutte le aree più ricche, uscendo vincitori anche nel confronto con gli acerrimi nemici di al Qaida (sunniti) che avevano istallato in Yemen alcune importanti basi di addestramento dopo essere stati cacciati dall’Afghanistan in seguito all’invasione americana.
La dorsale sciita
Gli Houthi fanno parte della cosiddetta dorsale sciita che parte dall’Iran e arriva sulle sponde del Mediterraneo perché controlla anche l’Iraq dal periodo post Saddam Hussein, la Siria con Bashar Assad e il Libano dove Hezbollah, il partito di Dio, è al governo. L’occasione per proporsi sulla scena internazionale è arrivata grazie all’ennesima crisi israelo-palestinese generata dalla carneficina del sabato di sangue nei kibbutz.
Non potendo intervenire direttamente a sostegno di Hamas nella Striscia di Gaza, e non essendo Hezbollah in grado di attaccare dal Libano lo stato ebraico per il timore di una reazione israeliana che provocherebbe la dissoluzione di uno stato già allo stremo, ecco che gli ayatollah hanno scelto gli Houthi come punta di lancia per accrescere la tensione in Medio Oriente.
E toccando così un nervo particolarmente sensibile per l’occidente come quello del controllo delle autostrade del mare, dove, tra le altre merci, passano le forniture di petrolio indispensabili per il funzionamento delle industrie.
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