Per annunciare la svolta per i suoi social network, Mark Zuckerberg è apparso seduto a una scrivania, con uno sfondo anonimo, in legno. «Voglio fare un annuncio importante», ha detto. «È ora di tornare alle radici della nostra storia». E il viaggio indietro nel tempo è in realtà una svolta, almeno in questi termini: è un appoggio completo a Donald Trump e un tentativo di sposarne quella stessa narrazione che proprio Facebook aveva cercato di osteggiare. Ovvero, che esista una sorta di dittatura del “politicamente corretto”, in grado di guidare le scelte di ciò che viene diffuso sui social e ciò che viene eliminato.

In realtà, tutto questo si era concretizzato in un tentativo – spesso poco riuscito – di limitare la disinformazione. Ma la decisione di Zuckerberg è ora di percorrere la stessa strada imboccata da Elon Musk, quando ha comprato Twitter per trasformarlo in un megafono della propaganda trumpiana. Ovviamente, Zuckerberg non usa questi termini, ma dice che è tempo di sposare la “svolta culturale” sancita dalle ultime elezioni, lavorando per rimuovere ogni forma di censura.

Non a caso, tutto questo avviene a poche ore dalla formale conferma di Trump come futuro presidente degli Stati Uniti, con la dichiarazione letta – ironia della sorte – da Kamala Harris, presidente uscente del Senato.

Le novità di Zuckerberg

Le novità annunciate da Zuckerberg, che prevedono ad esempio lo smantellamento del sistema attuale di moderazione, si accompagnano ai nuovi ingressi nel consiglio d’amministrazione. C’è anche l’italiano John Elkann, presidente di Stellantis, erede della dinastia Agnelli e con un noto interesse per il settore della tecnologia e dell’intelligenza artificiale.

Ma la scelta più significativa, dal punto di vista politico, è un’altra: quella di Dana White, che sembra essere destinato a diventare l’uomo che trasformerà davvero Facebook nel nuovo social network della destra americana. In un certo senso, il suo mandato è chiaro: “Make Facebook Great Again”.

Storia di un’amicizia

E per capirlo basta riavvolgere il nastro del tempo di appena qualche mese e tornare alla notte americana del 5 novembre, quando Donald Trump sale sul palco per il suo “discorso della vittoria”. Come spesso accade, è una dichiarazione di intenti piena dei cliché che hanno animato la sua campagna elettorale. A un certo punto, inizia a chiamare le persone che gli sono state più fedeli, dando loro la parola. Fra gli altri, c’è proprio Dana White.

White – originario del Connecticut – è il capo dell’Ufc, l’Ultimate fighting championship, ovvero la più grande organizzazione di arti marziali miste al mondo. La sua storia si sposa bene con il racconto americano: ha ereditato un piccolo regno, seguito da una nicchia di appassionati dello sport, e lo ha reso un impero multimilionario.

Lo ha fatto con uno stile spesso spregiudicato, negoziando accordi televisivi e rendendo i combattimenti sempre più spettacolari, insistendo sugli aspetti narrativi prima e dopo gli incontri. In un certo senso, prima di essere un imprenditore è stato un grande comunicatore. Ovviamente sempre mosso dal suo interesse di parte e fondamentalmente dal bisogno, sempre più ostentato, di arricchirsi. È in questo contesto che è nata l’amicizia con Trump.

Nei primi anni Duemila – quando la Mma era ancora circondata da una fama negativa – Trump ha offerto a White un palcoscenico d’eccezione: il Trump Taj Mahal di Atlantic City, il grande casinò dove si sono svolti due eventi dell’Ufc: il 30 (il 23 febbraio 2001) e il 31 (il 4 maggio 2001). Secondo White, sono stati alcuni degli appuntamenti cruciali per costruire il futuro dell’Mma e dell’Ufc: si sono gettate le basi per rendere questo sport uno dei simboli contemporanei dell’essere americano. E senza Trump non sarebbe stato possibile.

La fedeltà di un lottatore

Anche Zuckerberg è un appassionato di arti marziali. Quando qualche anno fa si è discusso di un possibile combattimento fra lui ed Elon Musk, magari proprio in Italia, al Colosseo, White era stato individuato come possibile arbitro. Non si è mai capito quanto il progetto fosse davvero concreto, ma è facile immaginare che sarebbe stato un evento mediatico senza precedenti.

E in fondo è indubbio che White abbia un certo fiuto per gli affari, da quando è riuscito a convincere due magnati e suoi amici d’infanzia, i fratelli Lorenzo e Frank III Fertitta, ad acquisire l’Ufc. Ma la sua scommessa migliore, dal punto di vista politico, è stata ovviamente quella per Trump.

White gli è sempre stato fedele, negli ultimi anni. Fino al grande momento della vittoria, lo scorso 5 novembre: «Nessuno merita questo riconoscimento più di Trump», ha detto alla folla impazzita di gioia. «Questo è ciò che succede quando il sistema ti si scaglia contro. Non sono riusciti a fermarlo, lui va avanti, non si arrende mai. È l’uomo più resiliente e laborioso che abbia mai conosciuto in vita mia».

La missione di White

Questa stessa narrazione – di un potere che ti si scaglia contro, e al quale bisogna in qualche modo reagire – sembra dunque lo stesso punto di partenza programmatico che guida la nuova rivoluzione di Facebook. E poco importa che sia semplicemente una lotta fra due poteri che si scontrano, è chiaro chi abbia vinto e da che parte convenga stare.

Quando Dana White è salito su quel palco accanto a Trump, ha deciso di ringraziare Adin Ross, Theo Von e Joe Rogan, ovvero alcuni dei protagonisti di quella che un tempo si sarebbe chiamata la “contronarrazione”. Sono gli uomini che hanno fatto rinascere Trump dopo il disastro dell’assalto al congresso, il 6 gennaio 2021. Hanno portato avanti un racconto fatto di vittimismo e verità liquide. Che alla fine ha trionfato.

Zuckerberg ha ora tutto l’interesse del mondo a trarre i frutti di questa vittoria, ad associarsi al racconto della censura imperante, in un certo senso incardinando Facebook e Instagram sulla stessa strada già percorsa dall’X di Elon Musk. L’uomo perfetto per questa missione è Dana White.

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