Il «ritorno alle radici» annunciato dal fondatore di Meta sarà ricordato come una clamorosa inversione di marcia, un tentativo di allinearsi alla dottrina di Donald Trump e del suo grande sponsor Elon Musk, in materia di libertà d’espressione
Nel video postato in rete viene descritta come un «ritorno alle radici per Facebook e Instagram», ma la svolta annunciata da Mark Zuckerberg sarà piuttosto ricordata come una clamorosa inversione di marcia, un tentativo di allinearsi alla dottrina del presidente eletto Donald Trump, e del suo grande sponsor Elon Musk, in materia di libertà d’espressione.
In sostanza, il colosso globale dei social network si prepara a cancellare il sistema di moderazione dei contenuti dei post affidato a verificatori indipendenti. L’obiettivo, sostiene Zuckerberg, è aprire il dibattito a contenuti che ormai sono di dominio comune nelle grandi piattaforme online.
L’esempio di Musk
Meno censura, quindi, perché saranno le “community notes”, cioè i commenti affidati ai partecipanti alle chat, a decidere che cosa può andare online. Non a caso, questo è il sistema adottato da X, l’ex Twitter, dopo che Musk ne ha preso il controllo.
Il fondatore di Facebook ha spiegato che diminuiranno drasticamente filtri automatici e restrizioni su temi molto caldi come l’immigrazione e l’identità di genere, argomenti sui quali da tempo la destra, americana e non solo, lamenta di essere stata messa ai margini per colpa delle rigide norme che regolano i social.
Nel nome del cosiddetto “free speech”, la propaganda di Trump da anni conduce una battaglia per abolire limiti che descrive come creati ad arte per reprimere il dissenso nei confronti della cultura mainstream progressista. Musk si è fatto un social tutto suo e lo ha prontamente allineato alla parole d’ordine del nuovo sovranismo.
Il cambio di rotta di Zuckerberg arriva a meno di tre settimane dalla cerimonia di insediamento di Trump e rappresenta il segnale più evidente del riallineamento della parte più ricca e influente del capitalismo americano in scia al nuovo inquilino della Casa Bianca che durante la campagna elettorale aveva minacciato lo stesso Zuckerberg di spedirlo in galera «per il resto dei suoi giorni» se avesse interferito con le elezioni.
Nel gennaio del 2021, subito dopo l’assalto al Campidoglio dei suoi sostenitori, Trump era stato sospeso per due anni da Facebook perché, come allora comunicò lo stesso Zuckerberg, «aveva minato il passaggio pacifico e legittimo di potere al suo successore».
Cambio della guardia
Tutto dimenticato, a quanto pare, ora che si avvicina il cambio della guardia a Washington e la multinazionale dei social non può più permettersi di remare contro il nuovo potere. I segnali in questo senso erano già stati numerosi, a partire da quando, a fine novembre, Zuckerberg si affrettò a far visita a Trump nella sua residenza di Mar-a-Lago.
Quattro giorni fa il repubblicano Joel Kaplan ha preso il posto di Nick Clegg, già vicepremier britannico, come responsabile degli affari globali di Meta. Kaplan non ha perso tempo, attaccando la politica del fact checking adottata da Facebook, definita «faziosa», in linea con quanto vanno ripetendo da tempo i leader della destra Usa.
Il boss delle arti marziali
Infine, proprio poche ore prima dell’annuncio sull’abolizione dei verificatori indipendenti, il fondatore di Facebook aveva comunicato l’ingresso di tre nuovi amministratori nel board del gruppo. In Italia l’attenzione si è concentrata sulla nomina di John Elkann. L’azionista di Exor e presidente di Stellantis, nonché editore, tramite Gedi, di Repubblica e Stampa, vanta da tempo in ottimi rapporti con Zuckerberg. «Elkann porta una prospettiva internazionale al nostro consiglio», ha detto il ceo di Meta presentando il manager italiano.
Negli Stati Uniti ha invece fatto un certo scalpore che, oltre al manager informatico Charlie Songhurst, la scelta sia caduta anche su Dana White, noto come proprietario di Ultimate Fighting Championship (FC) il ricco circuito di arti marziali miste (MMA). White è grande amico di Trump, che negli ultimi anni ha molto contribuito a rilanciare il business della lotta negli Stati Uniti. Un contributo ricambiato dal boss della UFC che già nel 2016 parlò alla convention del Partito Repubblicano per sostenere la nomination del suo antico finanziatore.
Non per niente, l’Economist, testata di cui la holding Exor di Elkann è il maggior azionista, nel novembre scorso definì White un “cheerleader di Trump”, ricostruendo la sua movimenta carriera di uomo d’affari a capo di un grande circo sedicente sportivo, valutato 11 miliardi di dollari dal periodico finanziario Forbes.
L’esibita passione del presidente eletto per tutte le discipline di combattimento, oltre all’MMA anche la boxe e il wrestling, gli è servita per aumentare la sua popolarità e conquistare nuovi elettori, soprattutto tra i giovani. Sempre con l’aiuto del fido White, che ora approda alla corte di Zuckerberg, convertito sulla via di Washington alla dottrina del free speech.
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