- Giorgia Meloni ha alzato i toni della sua campagna elettorale, ritornando alle origini sovraniste. Ha infatti detto che «bisogna organizzare meglio la difesa dell’interesse nazionale di fronte all’Europa». Tradotto: la sovranità europea va messa in discussione, ripensando gli equilibri decisionali dell’Unione.
- Così ha scelto di andare contro tutti i moniti istituzionali degli ultimi mesi, da ultimo quelli del presidente emerito della Consulta, Giuliano Amato, che aveva messo in guardia dalle tentazioni «di affermare il primato del diritto nazionale su quello dell’Unione».
- Ora la tattica elettorale è stata superata dall’istinto del rush finale. Meloni non punta più a rassicurare i potenziali interlocutori stranieri, ma a conquistare l’egemonia del centrodestra con il ritorno al motto “Dio, patria e famiglia”.
Gli ultimi cinque giorni di campagna elettorale hanno fatto alzare i toni a Giorgia Meloni, che nell’ultima domenica prima del voto è uscita allo scoperto, ritornando alle origini sovraniste. Pochi giorni fa, nel suo discorso di commiato, il presidente uscente della Corte costituzionale, Giuliano Amato, aveva messo in guardia contro «tentazione di affermare il primato del diritto nazionale su quello dell’Unione», che «non è solo di Polonia, Romania e Ungheria». Nell’ultima domenica prima del voto, la leader di Fratelli d’Italia ha detto che «bisogna organizzare meglio la difesa dell’interesse nazionale di fronte all’Europa». Tradotto: la sovranità europea va messa in discussione, ripensando gli equilibri decisionali dell’Unione.
Nei mesi corsi Meloni aveva lavorato per cesellare un’immagine europeista, bandendo la parola “sovranismo” per adottare quella di “conservatori”, più appetibile nei consessi internazionali. Le posizioni atlantiste e filo-ucraine avevano favorito la sua immagine europea e lei era sempre pronta a rimarcare il suo ruolo di presidente dei Conservatori europei. La campagna elettorale, invece, è stata un crescendo di posizioni euroscettiche, incarnate anche dalla decisione di candidare l’ex ministro dell’Economia della crisi del 2011, Giulio Tremonti, e il filosofo Marcello Pera.
Mattarella, Draghi e Amato
Anche se Meloni ha detto che «il dibattito va aperto senza dover dire che usciamo dall’Ue», la volontà di affossare l’istituzione europea non è una posizione nuova per FdI, che nel 2018 a prima firma Meloni aveva presentato la proposta di legge costituzionale per cancellare dalla Carta i tre riferimenti all’Ue. La direzione è la stessa degli alleati di FdI: l’Ungheria di Viktor Orban ma soprattutto la Polonia di Andrzej Duda, dove nel 2021 una sentenza della Corte costituzionale polacca ha riconosciuto espressamente la supremazia del diritto interno polacco su quello europeo. Paesi citati dal presidente emerito della Consulta come esempi negativi di destrutturazione del campo europeo.
Contro questo orientamento si è più volte espresso anche il capo dello Stato, Sergio Mattarella, che lo scorso maggio ha ricordato che «i continui progressi dell’integrazione europea – che personalmente auspico sempre più ampi e veloci – richiedono un dialogo costantemente intenso tra gli ordinamenti nazionali e tra le diverse tradizioni costituzionali. Questo vale, in particolare, per quanto attiene ai diritti e alle libertà fondamentali unitamente alla promozione dello Stato di diritto, carattere ineludibile del modello europeo di democrazia».
Da ultimo, anche il presidente del Consigli uscente, Mario Draghi, nel suo ultimo discorso politico al meeting di Rimini si era rivolto alla politica in campagna elettorale ricordando non solo l’importanza dell’integrazione europea, ma anche le sue ragioni economiche e non solo ideali. «Il nostro debito pubblico - tra i più alti del mondo - è detenuto per oltre il 25 per cento da investitori esteri. È per questi motivi che protezionismo e isolazionismo non coincidono con il nostro interesse nazionale. L'Italia ha bisogno di un'Europa forte tanto quanto l'Europa ha bisogno di un'Italia forte».
La posizione di FdI
Se Meloni si è opposta a queste visioni parlando alla pancia dell’elettorato dagli schermi televisivi e dai palchi dei comizi, la leader ha lasciato al suo nuovo ideologo istituzionale, Marcello Pera, l’onere di argomentarle.
In un’intervista a Libero, Pera ha contestato il monito di Amato, dicendo che «in un Paese federale, il primato del diritto federale su quelli statali è ovvio, ma l’Unione europea non è nel federale nè confederale, solo malamente intergovernativa». Per questo bisogna togliere alle istituzioni europee la possibilità di «imporre una legislazione difforme» dalle tradizioni storiche del Paese, affermando «la nuova religione effimera e mortifera del laicismo».
Nelle settimane scorse Meloni si era contenuta, ben attenta a non porsi in antagonismo con i rappresentanti degli organi istituzionali, come Amato e Mattarella, e con l’obiettivo di rassicurare a livello internazionale ed europeo, non attaccando apertamente Draghi.
Ora la tattica elettorale è stata superata dall’istinto del rush finale. In Europa, sostenendo Orban contro la volontà dell’Ue di tagliare i fondi all’Ungheria per violazione dello stato di diritto. In Italia, ritornando al motto “Dio, patria e famiglia”, prendere le distanze dal percorso di integrazione europea in atto negli ultimi 70 anni.
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