- C’è molta preoccupazione per l’esito del voto. Edoardo Rixi, parlamentare leghista ligure, fedelissimo di Salvini non nasconde i timori del cerchio magico: «Poi in Liguria abbiamo il problema della lista Giovanni Toti, che prende voti solo in quella regione e qualcosa ci toglierà».
- Prima del segretario sfilano sul palco i presidenti di regione e i parlamentari più fedeli a Salvini. L’ovazione è totale per Luca Zaia, il governatore del Veneto, regione in cui il conflitto interno al partito è più acuto.
- Per la Lega ci sono 100mila persone: «Ci risultano 15mila persone, con una punta massima di 20mila». La differenza è notevole, la propaganda fa il suo mestiere. Ma non serve a placare il malessere degli autonomisti. Che sperano in una prossima Pontida con un altro leader e un’altra Lega.
Le bandiere della Lega Salvini premier, il partito creato da Salvini, si mescolano a quelle della vecchia Lega con i suoi simboli dell’autonomia, dell’indipendentismo, del “Prima il Nord”. Passato e presente. Incarnato, per esempio, da un signore sulla sessantina fermo all’entrata del tendone bar. Indossa una camicia verde della “Guardia Padana”.
Nostalgia degli slogan e della linea marcata sulla questione settentrionale? «Certo, un po’ manca quella spinta autonomista, ma noi siamo abituati a stare con i leader, siamo una comunità, Matteo ha deciso la svolta nazionale e va bene, purché assicuri al nord un federalismo serio», dice.
Chi vedrebbe come leader alternativo a Salvini? Nessun tentennamento: «Sono piemontese, ma un veneto come Luca Zaia sarebbe perfetto per la nostra storia», aggiunge.
Pontida 2022 è il raduno più amaro per Matteo Salvini. Il tradizionale raduno della Lega giunto alla 34esima edizione è per la prima volta l’evento più importante della campagna elettorale.
Tra meno di una settimana l’Italia va al voto per eleggere il parlamento, mentre il partito di Salvini guarda ai sondaggi con preoccupazione. Le previsioni sono terribili per un leader che negli ultimi cinque anni ha ottenuto percentuali clamorose, prima alle politiche 2018 e poi alle elezioni europee toccando il record del 34 per cento. Numeri distanti da quelli indicati dai sondaggi pre elettorali, che attestano la Lega al 14-15 per cento nella migliore delle ipotesi; nella peggiore si va giù fino all’8 per cento.
Il giorno del giudizio
Di certo c’è molta preoccupazione per l’esito del voto. Un gruppetto di fronte al bar parlotta con Edoardo Rixi, parlamentare leghista ligure, fedelissimo di Salvini. Il deputato ai suoi interlocutori non nasconde i timori del cerchio magico salviniano: i sondaggi danno la Lega in un range che va dall’8 al 14 per cento. «Poi in Liguria abbiamo il problema della lista Giovanni Toti, che prende voti solo in quella regione e qualcosa ci toglierà», sussurra ai suoi che lo circondano tra i gazebo delle regioni e il tendone dove servono panini, acqua e birra.
Rixi non è il solo a essere preoccupato. Anche i dirigenti bergamaschi, roccaforte storica del partito, lo sono. Qui il malumore deriva soprattutto dalla scelta dei candidati. Daniele Belotti, per esempio, non verrà ricandidato: «È una scelta assurda, è sempre stato vicino al territorio, ha lavorato benissimo e invece hanno preferito il tesoriere Giulio Centemero, che ha pure una condanna in primo grado per finanziamento illecito», dice una delle tante dirigenti di sezione della provincia di Bergamo.
Il popolo di Pontida che anima il pratone, di proprietà della Lega nord, acquistato molti anni fa per volere di Bossi, parla e discute del futuro del movimento, che a una settimana dal voto del 25 settembre è a un bivio. Ne parlano malvolentieri, invece, i dirigenti, deputati, senatori rimasti fedeli a Salvini. «Non mi fido dei sondaggi», dice Roberto Calderoli, «da Pontida ripartiremo forti, con autonomia e federalismo».
Sulle previsioni non eccellenti dei sondaggisti, Calderoli replica: «Il 26 ci rivediamo e ne riparleremo, nel 2108 ci davano al 10 e siamo arrivati al 18 per cento». Il vicepresidente del Senato non vuole sentire parlare del suo ex amico e compagno di partito, Roberto Castelli.
L’ex ministro leghista nei governi Berlusconi ha detto in un’intervista a Domani che se la Lega non supera il 10-11 per cento è legittimo mettere in discussione la leadership di Salvini. «Chi l’ha detto? Quello che sostiene Gianluigi Paragone? Ma mi faccia il piacere… se Castelli pensa di andare in un altro partito e dettare le regole in casa nostra». In questa discussione a distanza c’è tutta la differenza tra vecchia e nuova Lega.
La disaffezione
A cosa sia dovuta questa disaffezione lo si capisce stando in mezzo ai militanti. Soprattutto veneti e lombardi chiedono una strategia più netta per portare a casa l’autonomia. Salvini, tuttavia, non sembra aver percepito l’aria che tira nelle sezioni delle valli bergamasche, nelle città venete, in Piemonte e in Liguria.
Dal palco fa solo un timido accenno all’autonomia, e non nel discorso finale con cui ha chiuso il raduno in una delle aree più scontente dell’ultima fase.
Salvini preferisce difendersi dalle accuse di aver ricevuto sostegno finanziario dai russi: «Non abbiamo mai preso soldi da nessuno, nessun soldo dalla Russia». A questo aggiunge: «Noi siamo con gli americani, ma con i Repubblicani, con Donald Trump», e definisce «comunisti a stelle e strisce» i democratici e il presidente Biden.
Zaia parla da leader
Prima del segretario sfilano sul palco i presidenti di regione e i parlamentari più fedeli a Salvini. L’ovazione è totale per Luca Zaia, il governatore del Veneto, regione in cui il conflitto interno al partito è più acuto. Zaia impiega pochi secondi per lanciare il suo messaggio politico, molto chiaro. E parla con il carisma che, secondo molti presenti sul pratone, lo rende il più adatto a diventare prossimo leader della Lega a trazione settentrionale.
Il presidente “Doge” del Veneto sale con una schiera di collaboratori e assessori muniti di una bandiera gigante con il leone di San Marco, simbolo dell’indipendenza e dell’autonomia della Sereneissima. Il discorso di Zaia ricorda la Lega degli anni di Bossi. Punta tutto, e vince, sulla battaglia per l’autonomia, sulla necessità di ottenerla il primo possibile. «Prima il Veneto», dice il presidente. La folla nostalgica di Bossi lo acclama.
Prima di salire sul palco Massimiliano Fedriga, il presidente del Friuli, ammette che la Lega non è immune alle discussioni tra chi la pensa diversamente, «ma poi facciamo la sintesi, siamo una comunità». Pure Fedriga fa come Zaia. Dal palco parla solo del valore dell’autonomia. La spaccatura è netta. I governatori del nord, con anche Attilio Fontana guida della regione Lombardia, sono monotematici dal palco. Salvini non ne ha praticamente parlato. Solo un accenno. Poi nulla più. Su questo si consumerà lo strappo dopo il 25 settembre se la Lega dovesse prendere meno dell’11 per cento.
I centomila inesistenti
Di certo i numeri sul pratone non sono quelli dei tempi d’oro, per quanto Salvini all’inizio del suo intervento abbia annunciato un numero record: «Siamo centomila qui a Pontida. Salutiamo Enrico Letta, lo aspettiamo qui, se vuole, per offrirgli un panino con la salamella».
Sui numeri forniti dal partito però non c’è conferma da parte di chi gestisce l’ordine pubblico nell’area del raduno. Chiediamo a un poliziotto, che chiama al telefono il suo superiore: «Ci risultano 15mila persone, con una punta massima di 20mila». La differenza è notevole, la propaganda del resto fa il suo mestiere e la spara grossissima. In campagna elettorale tutto vale. Ma non serve a placare il malessere degli autonomisti. Che sperano in una prossima Pontida con un altro leader e un’altra Lega.
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