Il premier ungherese era la star più attesa dalla platea sovranista: «Italia agli italiani, Ungheria agli ungheresi». Ma tra citazioni di Ezra Pound e bandiere russe, il raduno della Lega ha totalizzato meno di 15 mila presenze
Tra citazioni di Ezra Pound, una bandiera russa e strofe di «Avanti ragazzi di Buda» cantata sul palco da Vicktor Orbán, la Pontida 2024 non è stata un trionfo come annunciato. Certo, il successo dipende dai punti di vista di chi guarda il pratone.
Questa Pontida di Matteo Salvini, nonostante le attese e i trionfi annunciati, ha totalizzato meno di 15mila persone. Fonti della polizia confermano a Domani che erano attesi tra 10 e 12mila militanti.
L’anno scorso il partito aveva addirittura sparato la cifra di 100mila, poi alla fine i numeri della Digos erano diversi, 15mila appunto. Il pratone non era del tutto pieno, alcuni buchi in mezzo saltavano fin troppo all’occhio. Di certo però gli ospiti internazionali non hanno deluso il popolo di Pontida, diviso tra anime federaliste-nordiste e sovraniste.
«Non è una nostra debolezza», dice a Domani Massimiliano Fedriga, presidente del Friuli-Venezia Giulia, che però non ha una risposta certa su quando si farà il congresso della Lega di Matteo Salvini, il quale ha tutto l’interesse a rimandarlo all’infinito per evitare che il confronto interno produca fratture che covano da tempo al nord. Territorio dove militanti e storici dirigenti fedeli a Umberto Bossi chiedono un ritorno alle origini con maggiore attenzione alle istanze del settentrione.
Intanto, chi è andato via dalla Lega si sta organizzando sul territorio e un po’ di concorrenza la farà: il 13 ottobre è prevista un’iniziativa vicino Monza, “Patto per il Nord”, dove si riuniranno le forze autonomiste e diversi dissidenti usciti dalla Lega Salvini premier.
È significativo un dato raccolto e confermato da chi ha partecipato al congresso provinciale di Bergamo, che è la provincia dove si trova Pontida: alle ultime elezioni per eleggere il nuovo segretario i tesserati erano mille, l’anno precedente erano 2.200.
Emorragia che vale il 50 per cento degli iscritti. Non proprio una questione da poco. Ma a Pontida, domenica, c’è poco spazio per al pessimismo. La narrazione è trionfalistica. Le fratture interne? Inesistenti. «Viva la Lega, viva Salvini», ripetono i colonnelli del partito.
Le frecciate contro Tajani
«L’autonomia è legge», esordisce Salvini dal palco. Un tema cui ha dedicato l’inizio del suo intervento che ha chiuso Pontida 2024.
Un modo per strizzare l’occhio proprio a quella fronda che mugugna. Sulla stessa linea i governatori del Nord: da Luca Zaia ad Attilio Fontana e Fedriga, tutti con il Capitano e con il firmatario della legge Roberto Calderoli, che è salito sul palco con la maglietta «processate anche me» in solidarietà al segretario. Ritorna in ordine sparso sul palco un nuovo attacco a Forza Italia e al ministro Antonio Tajani, alleati con cui ultimamente c’è qualche problema. Dissidi sulla cittadinanza, per Forza Italia serve una legge nuova.
La Lega non ne vuol sapere, e già sabato i giovani salviniani l’hanno fatto capire: con uno striscione contro Tajani e poi dal palco del loro raduno junior, con il responsabile lombardo del movimento che ha mandato a quel paese platealmente Tajani. Salvini ha dovuto chiedere scusa all’alleato. Ma resta il giallo dello striscione: possibile che il capo del movimento giovanile, Luca Toccalin (fedelissimo del Capitano) fosse all’oscuro di tutto? Alessandro Verri, guida lombarda della giovanile leghista, ha sorriso a lungo quando glielo abbiamo chiesto.
Nessuna risposta ufficiale, ma da quanto risulta a questo giornale e dalle voci raccolta sul sacro suolo di Pontida i vertici erano al corrente dell’attacco a Tajani. Il leader di Forza Italia è il bersaglio vero del raduno.
Sia con Salvini: «La cittadinanza non la regaliamo, piuttosto la revochiamo a chi commette reati e così li rispediamo a casa loro». Sia con Roberto Vannacci, il generale del mondo al contrario, che dal palco ha detto: «La cittadinanza non si regala, forse se andate in Nigeria lì ve la danno subito? No, e allora perché dobbiamo farlo noi?».
Vannacci ha fatto il suo ingresso sul pratone accompagnato da una sorta di scorta personale, non della polizia, fatta da fedelissimi alcuni con bomber militari e spillette dei paracadutisti. Il generale ha chiuso l’intervento solidarizzando con Salvini sotto processo a Palermo.
«Avanti ragazzi di Buda»
Ecco così il secondo grande tema della «Pontida delle Pontide», come Zaia ha definito il raduno di quest’anno: il processo Open Arms di Palermo, dove Salvini rischia sei anni di carcere. Lui e tutta la ciurma sostengono che sia la sinistra a volerlo in galera. La sua unica colpa? Aver difeso i confini. Un refrain che segna tutti gli interventi, anche dei leader internazionali ospiti a Pontida.
Il più duro è Viktor Orbán, il premier ungherese tanto atteso e acclamato dalla folla leghista. «L’attacco a Salvini è una vergogna», ha esordito, «una vergogna per tutta l’Europa, Salvini è un patriota europeo», ha aggiunto. Poi gli slogan tipici del repertorio sovranista dell’estrema destra: «Italia agli italiani, Ungheria a ungheresi».
Naturalmente c’è spazio anche per rimarcare l’ostilità dei patrioti nei confronti dei diritti civili: «Non permetteremo che il matrimonio diventi una barzelletta. Il padre è un uomo, la madre è donna. Fine». Orbán ha usato toni trionfalistici snocciolando le vittorie delle destre estreme in Europa. Il vento soffia a favore dei patrioti, ha detto.
«Siamo l’unico argine per bloccare l’immigrazione, che cambia la nostra cultura, noi in Ungheria ce l’abbiamo fatta, e sconfitto la criminalità». Il premier ungherese ha attaccato frontalmente «l’Europa dei burocrati», che «ci punisce facendo pagare milioni di euro per aver sigillato i confini, ma se continuano noi porteremo gli immigrati davanti agli uffici di Bruxelles, che se li tengano loro».
Il gran finale è stato consegnato a una strofa di una canzone molto cara ai neofascisti anche italiani: «Avanti ragazzi di Buda avanti ragazzi di Lega». Solo modificata per l’occasione, con Lega al posto di Pest.
Il resto è liturgia scontata. Da Marlene Svazek, vicepresidente del partito nazionalista austriaco, all’olandese islamofobo Geert Wilders fino agli spagnoli di Vox e portoghesi di Chega! è un unico coro: il pericolo imminente dell’invasione islamica, con il terrorismo pronto a mietere vittime per le strade dell’Occidente; il sostegno all’eroe Salvini, processato per aver difeso i confini nazionali.
La retorica dell’accerchiamento è il filo conduttore di questa edizione votata al sovranismo e all’internazionale nera. «Sono sotto processo ma non ho paura, sono indignato ma so che ci sarete, e che possono arrestare una persona ma non un intero popolo. Non possono fermare la santa alleanza dei patrioti».
Sul finale il Capitano ha trovato spazio per una citazione di Ezra Pound, riferimento culturale dei movimenti della destra più estrema e anche neofascista: «Se un uomo non è disposto a lottare per le sue idee, o le sue idee non valgono nulla, o non vale nulla lui». C’è il tempo per un invito agli americani: «Votate Trump, un voto per la pace». Con una chiusura degna di questa edizione: «Noi non molliamo mai», il pubblico gli fa eco: «Mai!».
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