I giudici europei assestano un ulteriore colpo alle politiche del governo in tema di concessioni balneari. Dopo numerose sentenze del Consiglio di stato, e da ultimo anche della Corte costituzionale, sulla illegittimità delle proroghe automatiche di tali concessioni – sentenze di cui abbiamo dato puntualmente conto – la Corte di giustizia dell’Unione europea (CgUe), si è pronunciata sugli indennizzi ai concessionari. Proviamo a fare chiarezza sugli impatti di tale decisione.

I fatti

La pronuncia della CgUe nasce da un contenzioso tra la Società italiana imprese balneari (Siib), titolare di concessioni balneari nel comune di Rosignano Marittimo, e il comune stesso.

Secondo la società, l’articolo 49 del codice della navigazione – ai sensi del quale le opere di difficile rimozione costruite sul demanio marittimo (ad esempio, piscine o costruzioni in muratura come bar e cabine) vengono automaticamente acquisite dallo stato alla scadenza della concessione, senza alcun indennizzo per il concessionario che le ha realizzate – sarebbe contrario al principio europeo di proporzionalità delle restrizioni delle libertà fondamentali (articoli 49 e 56 del Trattato sul funzionamento dell'Ue).

Perciò la Siib si è rivolta prima al Tar e poi al Consiglio di stato, e quest’ultimo ha disposto un rinvio pregiudiziale alla CgUe, per chiarire se vi fosse un contrasto fra l’articolo 49 e il diritto dell’Ue.

La decisione della Corte europea

La CgUe ha stabilito che la norma del codice della navigazione non viola il diritto europeo. «Tutti i concessionari balneari – spiegano i giudici – si trovano ad affrontare la medesima preoccupazione: quella di sapere se sia economicamente sostenibile presentare la propria candidatura e sottoporre un’offerta ai fini dell’attribuzione di una concessione sapendo che, alla scadenza di quest’ultima, le opere non amovibili costruite saranno acquisite al demanio pubblico».

Chi voglia gestire uno stabilimento balneare è sin dall’inizio in condizione di valutare economicamente l’investimento, sapendo ex ante che il demanio «resta di proprietà di soggetti pubblici», che le concessioni hanno «una durata determinata e sono revocabili» e che, per la legge italiana, non è previsto un indennizzo.

La norma che esclude quest’ultimo è, quindi, solo uno degli elementi da considerare nell’effettuare i propri calcoli. Se la durata della concessione consente di ammortizzare l’investimento, può ragionevolmente ritenersi che la mancanza di indennizzo non dissuada l’investitore dallo stabilire la sua attività economica sulle spiagge italiane.

Il rischio di incostituzionalità

Avevamo già dato conto del fatto che il governo, dopo le citate pronunce, avendo forse compreso che la messa a gara delle concessioni balneari è ormai inevitabile, ha pensato prioritariamente a fornire un “salvagente” ai concessionari uscenti. Un disegno di legge di Fratelli d’Italia abroga la disposizione che esclude l’indennizzo.

Ma il governo dovrà fare attenzione alle proprie politiche sul tema. Qualora emanasse una norma che, a seguito dell’eliminazione dell’articolo 49, obbligasse il concessionario subentrante a pagare un indennizzo a quello uscente, tale norma rischierebbe di essere illegittima, pur se non in contrasto con la pronuncia della CgUe.

Al riguardo, è illuminante una sentenza della Corte costituzionale del 2017 (la numero 157) su una legge della regione Toscana che prescriveva un indennizzo pari al 90 per cento del valore dell’impresa balneare. Secondo i giudici, l’imposizione di una somma da versare al subentro potrebbe ledere il principio di libera concorrenza, perché disincentiverebbe la partecipazione di nuovi concessionari alle gare.

Ma pur volendo dare un riconoscimento agli investimenti in opere non amovibili, va ricordato che l’articolo 12 della direttiva Bolkestein vieta l’attribuzione di qualunque vantaggio a favore del concessionario uscente. Una norma che gli accordasse un indennizzo svincolato da paramenti di proporzionalità violerebbe la direttiva, rappresentando un vantaggio ingiustificato, specie se l’arco temporale della concessione goduta abbia permesso l’ammortamento degli investimenti fatti.

Dunque, qualora il governo volesse favorire ancora una volta i vecchi concessionari balneari imponendo ai nuovi il pagamento di una somma a titolo di indennizzo, specie se non ancorata a criteri di ragionevolezza, correrebbe il rischio di censure di illegittimità, nonché di rilievi da parte della Commissione Ue. Sarebbe l’ennesima figuraccia di un esecutivo che sovente pare poco attento a principi di diritto.

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