- Il leader di Forza Italia vorrebbe Tajani allo Sviluppo economico per avere poteri sulle tv e incontra il leghista a Roma. La Lega chiede un vertice a tre. Così la premier in pectore ha le mani legate.
- A questo si aggiunge che le trattative tra Forza Italia e Fratelli d’Italia sono bloccate sul nome della fedelissima di Silvio Berlusconi, che vuole un ministero di peso e in particolare la Sanità. La leader, però, è contraria.
- La ragione formale è che non la considera all’altezza di un incarico del genere nel suo «governo dei migliori», quella sostanziale è il timore che Ronzulli consolidi il suo asse con Salvini, creando un’alleanza pericolosa in consiglio dei ministri.
Continuano le riunioni e le trattative nel centrodestra ma i tre leader sono impantanati. Matteo Salvini, in una nota poco conciliante, ha chiesto un vertice a tre per oggi, in vista del voto per le presidenze delle camere. Silvio Berlusconi è arrivato a Roma con un giorno d’anticipo perché intende gestire in prima persona il dialogo con Giorgia Meloni, che entro domani deve risolvere la questione delle presidenze di Camera e Senato, nel medio termine quella dei ministri.
La presenza dell’ex cavaliere, che ha di fatto messo da parte il coordinatore Antonio Tajani, mostra il livello di tensione. «Gestirà tutto il presidente e questo aiuterà a fare chiarezza», è il commento di un deputato, che si definisce «sollevato» dal fatto che l’interlocuzione sia passata di mano.
Eppure l’ex cavaliere vorrebbe collocare Tajani al ministero dello Sviluppo economico, dove potrebbe gestire deleghe pesanti come quella relativa alle telecomunicazioni. Berlusconi ha chiesto a Giorgia Meloni anche un altro ministero di peso: quello della giustizia.
Sul fronte parlamentare, il centrodestra non trova l’accordo neppure sui due presidenti: in ballo c’è la presidenza del Senato, reclamata dal segretario leghista per il senatore di lungo corso, Roberto Calderoli. Dentro Forza Italia l’umore è cupo: il caso Ronzulli genera reazioni contrastanti dentro al partito, ma allo stesso tempo divide il fondatore azzurro dalla premier in pectore.
Il caso Ronzulli
La senatrice lombarda Licia Ronzulli non è amata dai notabili di Forza Italia: avrebbe lavorato ai fianchi del Cavaliere, isolandolo sempre di più dalla sua cerchia politica e anche dallo storico braccio destro, Gianni Letta. È a lei che si deve il progressivo allontanamento dalle liste anche dei volti moderati, in favore di candidati nuovi e più vicini alla Lega di matrice salviniana.
Ronzulli è tra le sostenitrici di una naturale convergenza tra Forza Italia e Lega, pur interrotta in fase elettorale e dal magro risultato di Salvini alle urne. Nella lotta sotterranea per la successione lei si sente la prima in lista, sono i ragionamenti di chi non è d’accordo con la decisione di compromettere i rapporti con Meloni per appagarne gli appetiti.
Molti, segretamente, condividono il giudizio di Meloni sulla scarsa preparazione di Ronzulli nella gestione di un ministero di peso come la Sanità. Queste sono le reazioni emotive, dettate anche da antipatie personali e gelosie interne. Esistono però delle ragioni politiche sull’impuntatura del Cavaliere sul nome della fedelissima.
«La questione Ronzulli è complicata solo perché Meloni ha deciso di complicarla», è il commento lapidario di un deputato a lei vicino. Secondo fonti di Forza Italia, la vera ragione del veto sul suo nome risiede nella diffidenza di Meloni verso gli alleati.
Ronzulli, infatti, è in sintonia con il leghista Matteo Salvini e il timore è che darle un ministero di peso significhi fare un favore anche a quest’ultimo: con Ronzulli in Consiglio dei ministri, Salvini troverebbe una sponda utile per dar vita a una fronda interna, pronta a legare mani e piedi al governo Meloni I.
La convinzione, dunque, è che Meloni usi solo strumentalmente la scusa della poca preparazione tecnica della fedelissima di Berlusconi. «Se il problema è la competenza, Meloni non può permettersi di fare il test del Dna a nessuno dei nostri, perché se noi lo facessimo coi suoi...», è il ragionamento, che prosegue: Forza Italia farà la lista dei nomi che ritiene adatti ai posti di governo e, da buona alleata, Meloni dovrebbe accettarli con fiducia e senza veti, come FI farà coi suoi.
Il rischio, per Meloni, è di subire il bluff di Forza Italia. Facendo leva sul veto al nome della deputata lombarda, il Cavaliere potrebbe puntare a ottenere più di quanto pattuito inizialmente e che prevede quattro ministeri a testa per FI e Lega. Se davvero il veto su Ronzulli fosse insuperabile – anche dopo la proposta del Cavaliere di spostarla all’Istruzione o al Turismo – lo sgarbo andrebbe adeguatamente compensato con ulteriori incarichi: un ministero di maggior peso o uno senza portafoglio in più.
Camera e Senato
Con la stessa moneta andrà compensato anche il fatto che gli azzurri si siano sfilati dal tavolo per la scelta dei presidenti di Camera e Senato: per non concorrere per palazzo Madama, Berlusconi avrebbe chiesto il Mise e, come detto, la Giustizia.
Il Senato è un posto molto ambito e – secondo la ricostruzione del moderato Maurizio Lupi – Meloni dovrebbe darlo al fedele Ignazio La Russa, in modo da avere un suo uomo a presidio della camera più instabile. La Lega punta a guadagnarla per Roberto Calderoli ma, se così non fosse, Riccardo Molinari sarebbe pronto a rivendicare lo scranno più alto di Montecitorio.
Sul fronte della Lega, starebbe circolando anche l’ipotesi di Giancarlo Giorgetti – che pure non è mai stato accreditato nella lista dei ministri di Salvini – addirittura al ministero dell’Economia, nell’ottica di spacchettarlo da quello del Tesoro. Dall’area di FI viene bollato come «fumo negli occhi», ma la Lega ha fatto trapelare che sarebbe «un grande orgoglio», lasciando intendere di non averlo chiesto ma di accettarlo, pur non considerandolo interscambiabile con il Senato.
Salvini e Berlusconi si sono incontrati ieri a villa Grande e anche questo è stato oggetto di colloquio in vista della complessa partita d’aula e prima ancora nel vertice in programma con Meloni. Tra i due, infatti, si starebbe costruendo un fronte comune per contrastare l’intransigenza di Meloni, che fino a ora si è dimostrata per nulla disposta ad accogliere le loro istanze.
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