Le carceri italiane sono al collasso tra suicidi, siamo oltre i sessanta, sovraffollamento e violenze, si moltiplicano le rivolte in tutti gli istituti di pena. Un quadro disastroso mentre il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, verga comunicati sperticandosi di elogi e il sottosegretario, Andrea Delmastro Delle Vedove, vero stratega delle politiche sul tema, riceve encomi pubblici da alcuni sindacalisti per un risultato ottenuto.

Quale? Sono tornati in servizio altri sei agenti imputati per i fatti del 6 aprile 2020 nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, svelati da questo giornale che ha pubblicato i video dell’orrenda mattanza. Tra questi ci sono anche Gaetano Manganelli e Anna Rita Costanzo, tra i principali imputati del processo in corso non solo per il pestaggio, ma anche per il depistaggio conseguente. Era proprio Costanzo, nelle chat sequestrate dagli inquirenti, a imbastire la macchinazione.

«Con discrezione e con qualcuno fidato fai delle foto a qualche spranga di ferro… In qualche cella in assenza di detenuti fotografa qualche pentolino su fornellino anche con acqua», scrive Anna Rita Costanzo, commissario capo responsabile del reparto Nilo, a un collega. Foto che dovevano servire, dopo averle retrodatate, a giustificare l’orrenda mattanza.

Ma torniamo a quei giorni. Nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, il Francesco Uccella, in particolare nel reparto Nilo, il 5 aprile di quattro anni fa, i detenuti hanno organizzato una protesta rumorosa perché in carcere si registrava il primo caso Covid. All’esito della protesta gli stessi reclusi, per lo più in carcere per spaccio e reati predatori, decidevano di mettere in ordine suppellettili e materassi, dopo aver ricevuto rassicurazioni e qualche mascherina. Il giorno dopo, però, il sei aprile 2020, una data diventata storica, si consumava la più grave violazione dei diritti umani mai avvenuta e documentata in un carcere italiano.

Sono 283 gli agenti che entrarono e per ore picchiarono in ogni modo i detenuti: pugni, calci, colpi di manganello e di bastone, barbe rasate, umiliazioni, sevizie. L’orrore con il marchio di stato. Alcuni detenuti furono portati, con la stesura di false informative, in isolamento. Un altro fu lasciato senza cuscini, lenzuola, assistenza: morirà un mese dopo l’assunzione di un mix di farmaci e oppiacei. Si chiamava Lamine Hakimi.

Gli arresti e la sospensione

La giustizia arriva, l’anno successivo, con le misure cautelari e poi il processo che vede alla sbarra 103 imputati con il coinvolgimento dell’intera catena di comando. Quando, nel giugno 2021, sono stati eseguiti gli arresti, il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria tardivamente dispone la sospensione di 77 agenti. Agenti che erano rimasti operativi nello stesso carcere dove avevano partecipato e realizzato il pestaggio. Nel corso di questi mesi la sospensione è diventata oggetto di promesse e si è trasformata in una dimostrazione ulteriore dell’incapacità del ministero di applicare criteri uniformi e chiari. Alcuni imputati, come Domani ha raccontato, sono stati addirittura promossi e mai sospesi, altri sono tornati a lavoro nei mesi scorsi, da ultimo altri sei, tra questi due figure apicali di quel carcere: Gaetano Manganelli e Anna Rita Costanzo, ora tornati operativi con il ruolo di vicecomandanti in altri istituti. Di cosa sono accusati?

Riabilitati

Manganelli ricopriva il ruolo di commissario coordinatore della polizia penitenziaria al Francesco Uccella, risponde di decine di capi di imputazione a partire del primo, contestato in concorso con l’allora provveditore regionale e il comandante del nucleo operativo traduzioni, relativo alla decisione di disporre una perquisizione straordinaria, «mera copertura fittizia per la consumazione di condotte violente, contrarie alla dignità ed al pudore delle persone recluse», si legge nel rinvio a giudizio. In tutti gli altri capi di imputazioni,

Manganelli figura coinvolto insieme ad Anna Rita Di Costanzo, che ricopriva il ruolo di commissario capo. Entrambi erano presenti quel giorno assistendo anche a episodi di violenze compiuti nei confronti dei detenuti. Costanzo disponeva e guardava, Manganelli insieme ad altri, secondo l’atto d’accusa, riservava questo trattamento a un recluso: «Gli sputavano addosso, lo colpivano ripetutamente con pugni sui fianchi, con schiaffi alla testa alla schiena e alle gambe e con calci».

Da ultimo non può essere dimenticata la contestazione relativa alla morte del detenuto algerino, Hakimi, «deceduto a seguito delle torture e maltrattamenti subiti a partire dalle violenze del 6 aprile e delle indebite condizioni di isolamento sociale in cui era stato indebitamente sottoposto».

Il processo è in corso e la responsabilità penale sarà accertata dai giudici di merito, intanto la notizia della revoca della sospensione è stata salutata positivamente dal sindacato Uspp che ha ricordato il dimezzamento dello stipendio al quale sono stati sottoposti i funzionari sospesi e ringraziato per la determinazione il sottosegretario alla giustizia Andrea Delmastro. Un altro successo del governo Meloni.

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