La deputata israeliana dell’opposizione: «Dobbiamo avere un piano per Gaza». Sull’invasione di Rafah: «Ricordiamoci che lì ci sono migliaia di terroristi. Il governo? Va sostituito»
Shelly Tal Meron, deputata quarantaquattrenne israeliana del partito centrista di opposizione Yesh Atid, si batte per la liberazione degli ostaggi e per le donne vittime delle violenze sessuali perpetrate da Hamas, vantando una lunga esperienza di attivismo per i diritti delle donne anche fuori dalla Knesset. Gira le capitali de mondo per sensibilizzare le opinioni pubbliche sul dramma degli ostaggi e sulle violenze che stanno subendo. In un intervento a un convegno organizzato in Senato martedì, si è commossa raccontando degli stupri commessi 7 ottobre. «Devo essere la voce degli ostaggi, devo lottare per il loro ritorno. Penso che il mondo si debba svegliare», ha detto a Domani.
L’impressione che si ha è che i familiari degli ostaggi abbiano perso la pazienza da molto tempo, rimproverando al governo di Benjamin Netanyahu di non aver fatto abbastanza per riportarli a casa. Pensa che la loro valutazione sia giusta?
La situazione è assolutamente orribile. Queste famiglie sono completamente disperate. I loro cari sono tenuti ostaggi da 186 giorni. È l’eternità, è l’inferno in terra. Nessuno può giudicare queste famiglie, perché stanno attraversando il peggior incubo della loro vita. Essendo io all’opposizione, può immaginare che io abbia alcune divergenze di opinione con il governo.
Non c’è dubbio che la massima priorità per lo stato di Israele dovrebbe essere il rilascio degli ostaggi. C’è molta rabbia nell’opinione pubblica israeliana. È molto naturale, penso, che le persone provino questi sentimenti. Io sostengo completamente le famiglie degli ostaggi. Hanno bisogno di essere aiutati, abbracciati, ascoltati e che facciamo tutto ciò che è in nostro potere per riportarli indietro. Ma quando si tratta della nostra sicurezza nazionale, tutti in Israele vogliono che Hamas venga sradicata e che venga ripristinata la sicurezza ai nostri confini. Siamo un paese completamente traumatizzato.
Netanyahu ha annunciato lunedì che è stata fissata la data per l’invasione di Rafah, ma il governo americano dice che non esiste ancora un piano credibile per la salvaguardia di più di un milione di civili palestinesi rifugiatisi nella città al confine con l’Egitto. Lei pensa che quest’ultima fase della guerra a Gaza sia necessaria?
Su tutto ciò che sta accadendo con la Casa Bianca e gli americani, penso che certe cose dovrebbero essere discusse a porte chiuse tra il primo ministro Netanyahu e l’amministrazione Biden. Credo che sia molto sbagliato discutere di tutte queste questioni attraverso i media. Tra amici si deve essere in grado di fare domande difficili, ma non dovrebbe accadere come sta accadendo in questo momento. Per quanto riguarda Rafah, capisco il punto di vista di vari paesi del mondo che pensano che non dovremmo andare lì. Ma ricordiamoci che a Rafah abbiamo migliaia e migliaia di terroristi. Abbiamo degli ostaggi lì. È un problema difficile e deve essere discusso. E ovviamente, quando si tratta di distruggere Hamas, obiettivi e tattiche non dovrebbero essere discussi attraverso i media.
Qual è la sua visione per il futuro di Gaza, una volta che Israele abbia conseguito i suoi obiettivi di guerra?
Prima di tutto, penso che si debba discutere del futuro di Gaza. Non discuterne è un errore. Penso che dovremmo sederci a un tavolo e pensare a cosa faremo dal punto di vista militare e, ovviamente, dal punto di vista civile. Trattandosi della nostra sicurezza nazionale, non c’è dubbio che non dovremo permettere ad Hamas o ad altre organizzazioni di ricostruire le infrastrutture militari e terroristiche. Dobbiamo ripristinare la sicurezza ai nostri confini. Ma per quanto riguarda la vita civile a Gaza, Israele non ha alcun interesse a controllare due milioni di palestinesi o a occupare Gaza o a creare lì insediamenti per gli estremisti all’interno di questo governo. Loro non rappresentano il popolo di Israele. È una piccola minoranza, non è una maggioranza. Quindi dovremmo discutere del futuro. E questa è una delle divergenze di opinioni che ho con questo governo.
Parlando con esperti di sicurezza israeliani, si ha l’impressione che un conflitto più ampio a nord sarà inevitabile. Che ne pensa?
Prima di tutto, continuo a pensare ai 150.000 israeliani che sono dei rifugiati all’interno del proprio Paese, perché sono stati evacuati dalle loro case.
Nessun paese al mondo può accettare che dei missili vengano lanciati contro le case delle persone vicine al confine. Dobbiamo quindi risolvere questa situazione. Hezbollah è una cosa diversa da Hamas. Si tratta di un esercito ben addestrato, un arsenale diverso, una questione diversa. Non voglio assolutamente una guerra più ampia, ma dobbiamo trovare delle soluzioni. Non so che cosa succederà. Ma non possiamo permettere che i nostri civili vengano colpiti quotidianamente. Dobbiamo riportare la nostra gente nelle sue case. Ora. Sembra un obiettivo lontano, ma dobbiamo fare qualcosa affinché ciò accada.
Alcune ong israeliane dicono che il movimento dei coloni sta approfittando della guerra per espandere insediamenti e avamposti in Cisgiordania. Condivide questa valutazione?
Naturalmente sono contraria. Mi oppongo all’espansione di qualsiasi insediamento. E penso che ora sia il momento peggiore per farlo. Siamo in guerra e non abbiamo bisogno di un altro conflitto, in un’altra arena. Come dicevo, nel nostro paese ci sono alcuni estremisti che stanno cercando di creare una realtà diversa. So che non rappresentano il popolo di Israele e l’opinione pubblica. Consiglio a tutti di non prendere tutto quello che dicono come un fatto o qualcosa che accadrà davvero. E vorrei che eliminassimo gli estremisti dal governo e ne creassimo uno nuovo, più ampio, con la maggioranza sana di Israele, il nostro partito e altri partiti, in modo da poter ricostruire lo Stato di Israele e il suo futuro.
Ci saranno nuove elezioni a breve?
Questa è la grande domanda! Non lo so, noi ovviamente vogliamo sostituire questo governo. Vedremo, è difficile dirlo.
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