Il patto per produrre i semiconduttori della Tsmc negli Stati Uniti è una grande vittoria per Washington. In Europa chip di ultima generazione non vengono prodotti, ma una dipendenza strategica è pericolosa
Con una nota pubblicata sul proprio sito il lunedì 8 aprile, il dipartimento del Commercio americano ha annunciato che gli Stati Uniti e l’azienda di microchip Tsmc (Taiwanese Semiconductors Manufacturing Company) «hanno firmato un memorandum» che prevede la fornitura, da parte del governo americano, di 6,6 miliardi di dollari di sussidi (con la possibilità di arrivare a 11) a fronte di un investimento da oltre 65 miliardi che Tsmc si impegna a realizzare per la costruzione di tre impianti (due erano in realtà già in lavorazione) di produzione di chip avanzati a Phoenix, in Arizona.
Visto così, l’annuncio può sembrare una semplice nota a margine, interessante solo per gli addetti ai lavori, ma è molto di più.
In primis perché quello di Tsmc è il più grande investimento estero diretto nella storia degli Stati Uniti, ma soprattutto perché si tratta di una notizia con implicazioni che vanno molto oltre la semplice economia o le dinamiche dell’industria tecnologica.
La filiera
I microchip (o semiconduttori) sono il mattoncino alla base dell’intero universo della computazione, e perciò l’ingrediente fondamentale del progresso contemporaneo.
Computer, automobili, tecnologie verdi, data center, intelligenze artificiali, armamenti: i semiconduttori sono dovunque, e più sono avanzati e sofisticati e maggiore sono il loro potere e la loro influenza. Da oltre un decennio, Tsmc è l’azienda che detiene – per ragioni che riguardano la conformazione della filiera dei chip – il monopolio tecnico sulla fabbricazione dei microchip più avanzati, ovvero quelli contenenti il numero più elevato di transistor (parliamo di miliardi di transistor per centimetro quadrato, ciascuno dalle dimensioni di pochi nanometri).
Solo l’eccezionale azienda taiwanese ha le tecnologie e le competenze necessarie a produrre in modo efficiente semiconduttori da 2 o 3 nanometri (per capirci: un virus supera i 40). Grazie alle capacità nella manifattura di Tsmc, aziende di progettisti (in gergo: fabless) come l’americana Nvidia hanno potuto disegnare i chip e i microprocessori potentissimi con cui oggi si addestrano le intelligenze artificiali, alla base tanto di ChatGpt quanto delle armi del futuro.
Tutto ciò fa, evidentemente, di Tsmc una delle aziende più rilevanti al mondo. Il problema è che una tale concentrazione di potere tecnologico è, di per sé, intrinsecamente rischiosa. Ce ne siamo accorti durante il Covid, quando i problemi produttivi di Tsmc si sono riverberati su intere filiere, dall’automotive all’informatica. I principali stabilimenti avanzati di Tsmc sono oltretutto localizzati a Taiwan, l’isola che la Cina punta a riannettere da qui ai prossimi decenni (se non anni).
Rendendosi conto di tale vulnerabilità e dipendenza, nel 2022 gli Stati Uniti hanno promulgato il cosiddetto Chips Act, un pacchetto di finanziamenti multimiliardari per irrobustire la produzione interna di una tecnologia così altamente strategica. Una fetta consistente di tale investimento è andato a “campioni nazionali” come Intel, mentre un’altra, fin da subito, è stata stanziata per convincere, a suon di sussidi, Tsmc a spostare parte della sua produzione negli Usa.
I problemi americani
Fino a oggi la cosa era andata a buon fine soltanto a metà. Grazie a una prima tranche di finanziamenti, Tsmc si era impegnata a costruire due stabilimenti (fab, nel gergo del settore) in Arizona, ma erano sorti subito diversi problemi. Per bocca del suo storico fondatore Morris Chang, Tsmc aveva espresso preoccupazione per la mancanza di sufficiente personale adeguatamente formato (le competenze fisico-chimiche-ingegneristiche coinvolte nella produzione di chip sono notevolissime).
Inoltre l’azienda di Taiwan, anche su pressione del proprio governo, si era mostrata reticente a considerare la costruzione di fab in grado di produrre i chip in assoluto più avanzati. Taiwan considera infatti l’unicità di Tsmc, e la sua rilevanza strategica, una specie di assicurazione sulla vita in caso di attacco cinese, ed è evidente che non ha interesse a diluire l’esclusività di questo know-how.
Che fossero reticenze sincere o pretattica per ottenere (come accaduto) maggiori sussidi, qualcosa nel frattempo deve essere cambiato.
Il risultato è che, attraverso un aumento del 25 per cento rispetto all’investimento iniziale, ora Tsmc si dice pronta a costruire una terza fabbrica, per spostare negli Usa anche la manifattura dei semiconduttori più sofisticati. Ciò ha conseguenze notevoli: significa che gli Stati Uniti, già leader mondiali nella progettazione di chip con aziende come Nvidia, Amd e Qualcomm, riguadagnano percentuali notevoli anche nell’ambito della pura manifattura. Ciò renderebbe gli Usa l’unico paese potenzialmente autosufficiente (o quasi) a livello di fabbricazione di microchip al mondo.
Un fatto che non avrà solo effetti economici, ma anche geopolitici. Un simile irrobustimento della catena del valore Usa dei semiconduttori più avanzati non solo costituisce un potenziale vantaggio economico (gli Stati Uniti accorciano la filiera tra progettazione e fabbricazione), ma rappresenta anche un’importante svolta militare, considerando l’importanza che i chip rivestono nell’addestramento di intelligenze artificiali a scopo bellico.
Ovviamente la cosa non può fare piacere alla Cina ed è logico attendersi delle contromosse da Pechino in tal senso.
Il punto di vista di Taiwan
C’è inoltre, come detto, il punto di vista di Taiwan da considerare. Come ha sottolineato il segretario Usa al Commercio Gina Raimondo: «Dall’ultima volta che gli Stati Uniti hanno costruito una struttura di produzione di chip all’avanguardia da zero, Tsmc ha costruito 22 fabbriche del genere a Taiwan. Quindi gran parte del beneficio che stiamo ottenendo qui è il know-how e la conoscenza di Tsmc e della sua forza lavoro».
È chiaro che un simile trasferimento tecnologico diminuisce forse l’appetibilità di Taiwan per la Cina (che peraltro esprime la sua volontà di annessione da ben prima dell’esistenza di Tsmc), ma indebolisce anche gli incentivi alla sua difesa da parte americana. La notizia infine ha anche una sua rilevanza per l’Europa. Nel nostro continente Tsmc ha investito, forte anche lì del sostegno del governo locale, in una grande fab in Germania, ma, a meno di cambiamenti imprevedibili, non vi si produrranno chip di ultima generazione. Ciò significa che, alla vigilia di un possibile Trump bis, l’Europa rischia di aggiungere una nuova “dipendenza strategica” dagli Stati Uniti, questa volta nel campo dei semiconduttori avanzati.
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