- Dopo lo scoppio della bolla degli Nft, è la volta delle criptovalute: negli scorsi giorni, i bitcoin e gli altri hanno subito perdite violentissime
- Per quanto sia avvenuto, come sempre, in maniera più drammatica, quanto successo nel campo delle criptovalute riflette ciò che si sta verificando in tutti i mercati ad alto rischio, compreso quello tecnologico
- È la fine delle criptovalute? Probabilmente, no: è soltanto la fine di una fase di crescita inarrestabile che prima o poi doveva interrompersi
Dopo quasi due anni di crescita continua, il mercato delle criptovalute era in sofferenza da mesi. Sulle testate specializzate e nei report delle società di analisi, gli addetti ai lavori concordavano nel sostenere che una rapida ripartenza fosse improbabile. Nessuno si aspettava però un crollo così improvviso e profondo: dopo aver veleggiato per tutto il 2022 attorno ai 40mila dollari (e dopo aver toccato un massimo storico di 67mila dollari nell’agosto scorso), nel giro di una settimana i bitcoin sono scesi – nel momento in cui scrivo – fino a 27mila euro, con timori diffusi che il calo possa proseguire.
Il settore delle criptovalute nel suo complesso – che comprende migliaia di monete digitali legate a progetti di ogni tipo: da quelli più seri come Ethereum, fino a vere e proprie catene di Sant’Antonio – è precipitato in una settimana del 35 per cento e vale oggi quasi un terzo dei tremila miliardi di dollari raggiunti nel novembre scorso. Che cos’ha scatenato una discesa di questo tipo? Le ragioni, in realtà, sono molteplici. Anzi, si potrebbe sostenere che il mercato delle criptovalute si sia trovato al centro di una tempesta perfetta, che l’ha travolto nel momento in cui – dopo due anni durante i quali il valore dei bitcoin è aumentato anche del 1.200 per cento – era più vulnerabile.
La bolla degli Nft
Prima c’è stato lo scoppio della bolla legata agli NFT: il certificato digitale basato su blockchain (la tecnologia alla base dei bitcoin e le altre criptovalute) che negli ultimi 12 mesi è stato al centro di un’impressionante ondata speculativa legata al collezionismo di oggetti digitali, ma il cui mercato è sceso del 90 per cento rispetto ai massimi dell’autunno scorso. Essendo un settore legato a doppio filo a quello delle criptovalute (tramite le quali gli NFT vengono scambiati), era inevitabile che l’implosione di questo mercato avesse delle ripercussioni su tutto il settore.
Un altro aspetto fondamentale è invece slegato dal mondo della blockchain e riguarda il più complessivo scenario economico. Per combattere l’inflazione, la Federal Reserve (la banca centrale USA) ha annunciato una settimana fa un ulteriore aumento dei tassi d’interesse di mezzo punto, che potrebbe preludere a una continua crescita nel corso del 2023 e che è attesa anche in Unione Europea, in Regno Unito e altrove. Secondo quanto comunicato dalla stessa Fed, “un netto aumento dei tassi d’interesse potrebbe provocare una crescente volatilità, mettendo pressione al mercato e causando un’ampia correzione dei prezzi degli asset più rischiosi”. E cosa c’è di più rischioso del mercato dei bitcoin e delle criptovalute?
Tutto ciò era stato anticipato da analisti e investitori, che da tempo segnalavano come il mercato delle criptovalute stesse saldamente entrando in una fase ribassista. Più in generale, dopo due anni di crescita inarrestabile – durante i quali il mercato delle criptovalute è decuplicato in valore – era inevitabile che ci fosse una profonda correzione, accelerata e aggravata dall’attuale fase di inflazione, instabilità e tassi d’interesse in crescita.
Sarebbe però sbagliato guardare al crollo delle criptovalute come a un evento isolato. Gli ultimi due anni sono stati all’insegna di un’euforia finanziaria generalizzata – causata secondo gli analisti dai tassi d’interesse bassi o nulli, dal tempo libero a disposizione in fase di lockdown e dai soldi messi in circolazione per sostenere le famiglie – che ha coinvolto non solo le criptovalute, ma anche i già citati NFT, il mercato del collezionismo e soprattutto i titoli tecnologici del Nasdaq.
La fine dell’euforia
Per quanto il crollo delle criptovalute sia stato più repentino, questi due mercati sono in realtà andati di pari passo: dal marzo 2020 al novembre 2021 il Nasdaq è più che raddoppiato, per poi scendere negli ultimi sei mesi di circa il 30 per cento. Le azioni di Meta (prima noto come Facebook) sono scese del 50 per cento nell’ultimo semestre, quelle di Netflix di un impressionante 75 per cento (molto superiore anche al crollo dei bitcoin). In poche parole, la fase euforica è finita ed è in corso una colossale correzione di titoli probabilmente gonfiati. Da questo punto di vista, è semmai interessante notare come il mercato delle criptovalute oggi si muova in sincrono con il mercato tradizionale.
«Dal momento che le criptovalute stanno rapidamente conquistando legittimazione nel mondo finanziario e crescendo in popolarità tra i fondi d’investimento, questo mercato non può che imitare sempre di più i movimenti dei mercato azionario», ha spiegato a The Independent Michael Kamerman, amministratore delegato della piattaforma di trading Killing. «Gli investitori trattano sia le criptovalute sia i titoli tecnologici come asset rischiosi e si rifugiano in angoli più sicuri del mercato durante le fasi di volatilità».
Una ricerca della società di analisi Arcane ha mostrato come il mercato dei bitcoin e quello del Nasdaq abbiano ormai raggiunto un livello di correlazione di 0,82 (in cui un valore di 1 rappresenta un andamento identico e un valore di -1 rappresenta una completa divergenza): il più elevato di sempre. «Questo andamento in parallelo al Nasdaq smonta la tesi che Bitcoin sia l’oro digitale: un bene rifugio», ha spiegato al New York Times Vetle Lunde, analista di Arcane. «Le prove indicano invece che i bitcoin vengano trattati come un qualunque asset ad alto rischio».
I motivi
Nonostante i segnali fossero chiari, perché il crollo delle criptovalute si è verificato così all’improvviso? Il Nasdaq ha perso il 20 per cento in un mese, ma il mercato delle criptovalute è crollato del 25 per cento in 24 ore, tra l’11 e il 12 maggio. La miccia che ha innescato la valanga va probabilmente cercata nell’improvviso collasso di una delle più grandi realtà delle criptovalute: la stablecoin Terra USD.
Una stablecoin è una criptovaluta “stabile”, progettata per avere un valore fisso, di solito ancorato al dollaro o all’euro. Il suo scopo, tra gli altri, è di offrire un riparo immediato in caso di fluttuazione del mercato. Alcune delle più importanti stablecoin – come Tether o Usd Coin – mantengono stabile il loro valore grazie a riserve economiche equivalenti (almeno in teoria) al valore in circolazione.
Terra Usd è però una “stablecoin algoritmica”, che utilizza un complesso sistema per assicurarsi che il valore non fluttui. In sintesi estrema, Terra Usd si affida a un algoritmo che ne controlla il prezzo manipolando l’emissione delle monete. Quando il prezzo sale, l’algoritmo produce nuove monete per farlo scendere; quando scende distrugge quelle necessarie a farlo risalire. Inoltre, Terra Usd è collegato (in modi che sarebbe troppo complesso spiegare in questa sede) a una criptovaluta dal valore fluttuante: Luna.
Il 10 maggio, questo delicato sistema algoritmico si è improvvisamente rotto. In seguito agli scossoni subiti dal mercato e alle numerose vendite, Terra Usd – la cui capitalizzazione di mercato era attorno ai 18 miliardi di dollari – ha perso il suo aggancio al dollaro senza che l’algoritmo reagisse abbastanza rapidamente da tenere il ritmo di tutte le persone che se ne stavano liberando.
Il valore di Terra Usd è sceso fino a 70 centesimi e il giorno dopo ha toccato un minimo di 30 centesimi. Nel momento in cui scrivo è attorno ai 50 centesimi. La criptovaluta collegata, Luna (dal valore fluttuante), è praticamente scomparsa, passando dai 120 dollari di valore di aprile ai meno di dieci centesimi di oggi.
In una fase in cui tutti segnali indicavano una sola direzione, il crollo improvviso e devastante di Terra USD ha contribuito ad aggravare l’ondata di panico, trascinando con sé anche le altre criptovalute e rischiando di mandare al tappeto perfino Coinbase (la più grande piattaforma di compravendita di criptovalute), le cui azioni a Wall Street sono scese del 56 per cento in cinque giorni.
È la fine delle criptovalute? Come avvenuto circa 400 volte in passato, anche in quest’occasione si sono moltiplicati gli elogi funebri nei confronti dei bitcoin e dei suoi fratelli. Eppure, nel corso dell’ultimo decennio, i bitcoin hanno perso oltre il 50 per cento del loro valore in almeno sei occasioni, tornando ogni volta su livelli nettamente superiori ai precedenti. Allo scoppio della bolla del 2018, per esempio, i bitcoin avevano raggiunto l’allora massimo storico di 20mila dollari.
Oggi, dopo un brusco crollo, la più nota delle criptovalute è comunque su valori superiori, rispetto ad allora, di quasi il 50 per cento. In più, non va sottovalutato il fatto che le criptovalute abbiano seguito (anche se più bruscamente) l’andamento del mercato azionario e siano anch’esse vittima di una fase di esuberanza finanziaria giunta inevitabilmente a conclusione.
È impossibile prevedere se i bitcoin e gli altri si riprenderanno anche questa volta, continuando la loro crescita ormai più che decennale e magari, un domani, diventando davvero il pilastro su cui si fonda il web3: la terza incarnazione della rete che secondo molti esperti rappresenta la prossima grande promessa del mondo digitale. Una cosa però è certa: prima di conquistare questo miraggio, bisognerà affrontare un’ennesima, annosa, traversata del deserto.
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