- Nonostante il crollo dei Bitcoin, la fiducia nei loro confronti del presidente Nayib Bukele è incrollabile, convinto che sia solo il preludio a “immensi guadagni”.
- L’adozione dei Bitcoin nel paese resta limitata, mentre la decisione di renderla valuta legale ha causato l’ostilità del Fmi e delle agenzie di rating.
- Per quanto i Bitcoin abbiano sempre mostrato di saper uscire vincitori dalle situazioni più difficili, alcune recenti vicende del settore blockchain dovrebbero indurre a una maggiore cautela.
“Buy the dip”: compra il ribasso. È uno dei principali mantra tra gli entusiasti dei Bitcoin e delle criptovalute, secondo i quali questi strumenti rappresentano il futuro del denaro e della finanza e che, di conseguenza, vedono in ogni tonfo del mercato una ghiotta opportunità d’acquisto, che permetterà loro di diventare ancora più ricchi non appena, inevitabilmente, il valore tornerà a crescere raggiungendo nuove vette.
È una cieca fiducia nelle potenzialità trasformative delle criptovalute che potrebbe, chissà, anche rivelarsi corretta. Fino a oggi, ogni crollo dei Bitcoin è stato infatti un preludio a nuovi successi. Scommettere che quanto avvenuto in passato continui però a verificarsi anche in futuro non è una garanzia di successo. E in un mondo volatile, pieno di incognite e di trappole come quello delle criptovalute, questa scommessa rappresenta un azzardo estremamente rischioso.
L’azzardo di Bukele
Un conto, però, è se a compiere questo azzardo sono singoli investitori più o meno avveduti; un altro è quando a scommettere sull’inevitabile futuro successo dei Bitcoin è invece un’intera nazione. È il caso di El Salvador, paese guidato dal presidente Bitcoin-entusiasta Nayib Bukele, la cui completa fiducia nei confronti delle criptovalute l’ha portato, nel giugno 2021, a dichiarare ufficialmente i Bitcoin “valuta legale” del paese e poi a farne incetta – usando le casse dello stato – non appena il loro valore scendeva, annunciando entusiasticamente su Twitter ogni nuovo “buy the dip” e mostrando una fiducia incrollabile verso il fatto che il valore dei Bitcoin non potrà che “crescere immensamente”.
Nel complesso, dal settembre scorso, El Salvador ha acquistato a varie riprese – l’ultima nel maggio scorso – un totale di 2.300 Bitcoin, pagandoli in media 46mila dollari e spendendo quindi 105 milioni di dollari.
Oltre al potenziale guadagno e alla possibilità di inviare le rimesse (che rappresentano il 22 per cento del pil salvadoregno) senza affrontare spese bancarie, un’altra delle ragioni addotte da Bukele per motivare l’adozione ufficiale dei Bitcoin è la possibilità di dare uno strumento economico digitale anche a quella metà della popolazione che non possiede un conto in banca.
Minacce alla stabilità
Eppure, le cose non stanno andando come previsto: ad accettare Bitcoin nei propri esercizi – teoricamente obbligatorio, ma non sono previste multe – è circa un’attività su cinque, mentre solo il 5 per cento li utilizza regolarmente.
Inoltre, nonostante la retorica dello strumento utile alla porzione più svantaggiata di popolazione, a usare i Bitcoin sono soprattutto giovani uomini istruiti che hanno già anche un conto corrente. Non solo: dai massimi del novembre scorso, quando si era avvicinato a 70mila dollari, il valore dei Bitcoin è nel frattempo precipitato, scendendo – nel momento in cui scriviamo – fino a 20mila dollari. I 105 milioni investiti da El Salvador, ne valgono adesso 45.
Una perdita potenziale di 60 milioni di dollari potrebbe sembrare risibile per un paese con un prodotto interno lordo da 24 miliardi di dollari l’anno (che lo colloca alla metà esatta della classifica delle nazioni economicamente più grandi). «La nazione si trova però pericolosamente vicina al default, con un debito che ha continuato a salire rapidamente dall’inizio della pandemia di Covid-19», scrive Le Monde. «La politica dei Bitcoin del presidente Bukele non sta nemmeno aiutando i negoziati con il Fondo monetario internazionale, che gli ha chiesto di abbandonarla temendo che le vaste fluttuazioni nel prezzo della criptovaluta minaccino la stabilità finanziaria del paese e mettano a rischio i risparmi delle persone in caso di attacco hacker».
Gli scontri con il Fmi
Nonostante tutto ciò, i tassi di fiducia nei confronti del “presidente-millennial” (classe 1981) restano molto elevati, il che ha permesso al ministro delle Finanze Alejandro Zelaya di scrollare le spalle di fronte a una situazione che altrove viene considerata molto pericolosa: «Quando mi dicono che il nostro rischio finanziario è aumentato a causa delle perdite dei Bitcoin, rispondo che la perdita non esiste. Questo dev’essere chiaro, visto che non abbiamo venduto», ha dichiarato il ministro a una televisione locale, a cui ha anche spiegato che il totale investito in Bitcoin rappresenta lo 0,5 per cento del budget nazionale e poi, riferendosi alle richieste del Fmi, che «nessuna organizzazione internazionale può imporci di fare qualcosa, è una questione di sovranità».
La sicurezza mostrata da Bukele e dal suo ministro non è però bastata a convincere le agenzie di rating: Standard & Poor’s ha abbassato il giudizio dell’economia salvadoregna a CCC+ (al pari di Ucraina e Argentina), temendo che il paese – anche a causa degli scontri con il Fmi – non sia in grado di ripagare gli 800 milioni di dollari di bond che scadono a gennaio.
Per quanto non abbia scalfito le certezze della nazione centroamericana, il crollo delle criptovalute ha invece ridotto a più miti consigli i vari paesi che sembravano sul punto di imitare la mossa di Bukele, tra cui Ucraina (ovviamente alle prese con problemi maggiori) e Panama.
In maggio, appena prima dell’ultimo crollo, la strada tracciata da El Salvador è stata invece seguita dalla Repubblica Centrafricana (uno dei paesi più poveri del mondo) del presidente Faustin-Archange Touadéra, che ha definito i Bitcoin «denaro universale».
Terra e Celsius
Il timore di molti economisti è che l’incrollabile fiducia in questi strumenti digitali altamente volatili da parte di leader di nazioni economicamente fragili possa ricreare su scala maxi quanto si è verificato, da ultimi, nei casi di Terra e Celsius: ambiziose realtà della blockchain e delle criptovalute in cui molti risparmiatori avevano scommesso le loro finanze, trovandosi poi improvvisamente rovinati quando la loro capitalizzazione di mercato si è polverizzata.
Terra, per esempio, è una realtà della DeFi (finanza decentralizzata) che è riuscita a bruciare nel giro di pochi mesi una capitalizzazione complessiva di oltre 80 miliardi di dollari, dei quali non è rimasto nulla. A metà maggio un’ondata di panico ha travolto i sostenitori di questo progetto, provocando uno tsunami di vendite che ha di fatto azzerato il valore delle due criptovalute a esso collegato, mandando in rovina parecchi piccoli investitori.
Dando un’occhiata al canale di Reddit dedicato al progetto Terra si trovano parecchie storie simili: «Ho perso i risparmi di una vita, non so bene che fare», ha scritto un utente. Altri segnalano la perdita di cifre che vanno dai 15mila ai 450mila dollari: «Non sono in grado di ripagare la banca e presto perderò anche la casa», scrive un altro.
È solo una delle tante vicende che fanno da monito a chi ripone eccessiva fiducia nei confronti di criptovalute che spesso basano il loro successo proprio e soltanto sulla fiducia, mostrando invece fondamenta estremamente fragili o addirittura truffaldine. Il caso dei Bitcoin, che da oltre dieci anni continuano a crescere di valore e ad attirare investitori sempre più istituzionali, è ovviamente diverso; ma la cautela – soprattutto quando si è alla guida di nazioni economicamente deboli – dovrebbe essere la prima consigliera nel maneggiare un bene speculativo capace di perdere il 70 per cento del suo valore da novembre a oggi.
Inevitabile, quindi, che le tante proposte di regolamentazione non siano più malviste da un settore che inizia a bramare un po’ di stabilità e vuole – almeno nella parte meno avventuristica dei suoi esponenti – superare questa interminabile fase da far west speculativo. È possibile, quindi, che nei prossimi anni il settore delle criptovalute si normalizzi, che la blockchain trovi degli impieghi concreti (oggi ancora molto scarsi) e che la volatilità finanziaria si riduca.
Fino ad allora, a essere maggiormente esposti ai rischi insiti nelle criptovalute continueranno a essere i più deboli: alla mercé di progetti simili a catene di sant’Antonio, di grandi investitori che sanno perfettamente quando è il momento di passare all’incasso (facendo crollare il valore del bene) e anche di presidenti cripto-entusiasti, la cui incrollabile fiducia nei poteri trasformativi dei Bitcoin potrebbe anche mettere a rischio le casse dello stato.
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