- L’abilità principale di Musk è fantasticare molto e molto in grande, e sùbito dopo agire. Come ha fatto dando la spinta essenziale alla creazione del mercato dell’auto elettrica. Oppure con i viaggi nello spazio.
- Fra gli effetti secondari (forse non più tanto secondari) della sua fama e della sua destrezza nell’influenzare la realtà c’è la capacità di muovere i mercati finanziari in modo significativo con un semplice tweet.
- Sia i social sia il mercato sono strutture del consenso, vivono di misurabilità dei risultati ottenuti, quanti follower hai, quanto è virale il tuo tweet e così via. Se il mercato ci impressiona o quantomeno ci fa riflettere con le sue ambiguità, così devono farci riflettere i social.
Elon Musk, fondatore di Tesla e di mille altre avventure, è un grande imprenditore del ventunesimo secolo e da certi punti di vista una delle menti più interessanti. Un simbolo dello spirito della nostra epoca e, in virtù della ricchezza economica che ha prodotto per sé, una rappresentazione della natura del potere contemporaneo. È pure diventato, quasi per forza di cose, in modo naturale, un influencer. Perché ormai non conta solo l’azione e la generazione di denaro, ma anche la capacità di diffondere una storia, anzi molte storie. Tutte le storie possibili. Vivere e creare contenuto, vibrazioni, idealismi e intrattenimento.
L’abilità principale di Musk è fantasticare molto e molto in grande, e sùbito dopo agire. Come ha fatto dando la spinta essenziale alla creazione del mercato dell’auto elettrica. Oppure con i viaggi nello spazio. Dire «mi piacerebbe andare su Marte» e poi provarci per davvero, avere un piano, programmare degli investimenti.
Effetto Musk
Far succedere le cose e incidere sulla realtà è la natura dell’imprenditore in senso classico, ma c’è dell’altro. Il nome di Musk ormai è un marchio, un’idea di futuro che piace e che raccoglie consensi, e che si intona all’epoca. È il nome di un avventuriero perfettamente abbinato agli anni che viviamo; nel bene e nel male, sia chiaro, e naturalmente esistono i suoi detrattori, che sono necessari e che fanno parte del pacchetto di desiderabilità.
Fra gli effetti secondari (forse non più tanto secondari) della sua fama e della sua destrezza nell’influenzare la realtà c’è la capacità di muovere i mercati finanziari in modo significativo con un semplice tweet. Ormai è diventato quasi un gioco, sui mercati si chiama “Effetto Musk”. Basta una parola di Musk, un frammento, un piccolo richiamo a un titolo di Borsa o a una categoria di prodotti finanziari. Anche se si tratta di stimoli in apparenza privi di senso il mercato li ascolterà, li interpreterà e in qualche modo reagirà in maniera tutt’altro che marginale. «Elon Musk su Twitter ha scritto che…» e via con l’effetto domino.
Tutto questo non accadrà in seguito a dichiarazioni sui giornali, o in un contesto in qualche misura formale, ma appunto per via di un tweet. Il potere ipnotico di Musk passa attraverso i social, usa il linguaggio dei meme, usa quella casualità apparente, la giocosità, lo scherzo. Talvolta il nonsense puro. Perciò diremo che Musk influenza i mercati, ma più precisamente diremo che lo fa usando il mezzo dei social, lo fa con quella modalità e per creare intrattenimento in quella sede. È la combinazione di Musk, il soggetto, e dei social che reagiscono giocando.
Cambiare i mercati
Che i social – nell’esempio di Musk o in altri modi – influenzino i mercati finanziari è ormai una questione piuttosto concreta. Esistono app che chiunque può usare per investire sui mercati, fra le analisi che forniscono troviamo gli indicatori tradizionali, i vari coefficienti noti a chi si interessa di finanza, ma troviamo anche parametri che riguardano la prestazione di un titolo dal punto di vista dei social: il “Social sentiment”, il “Twitter volume score”. Perché ormai buttare un occhio a cosa si dice sui social di una determinata impresa, e dei suoi titoli quotati in Borsa, è necessario o almeno è considerato indispensabile da alcuni investitori.
Il mercato (come forma, come struttura) ha passato la sua storia a plasmare gli oggetti culturali e mentali con cui è entrato in contatto.
Ha mostrato la sua capacità di prosperare in qualsiasi contesto, di appropriarsi di ambiti disparati, con grande naturalezza e antifragilità. Siamo abituati a dire «Ormai tutto è mercato», siamo abituati a considerare «il successo di mercato» come un evento di un certo interesse in più o meno qualsiasi circostanza. Il mercato ha anche dato forma ai social, come ho scritto in un articolo tempo fa (dal titolo “Solo usando l’immaginazione si sfugge alla trappola dei social”), perché i social sono fatti di domanda e di offerta di contenuti, e di consenso misurabile. Sono fatti di like che, visti in aggregato, tanto somigliano a un prezzo.
Eppure oggi il mercato, al cospetto dei social, si trova a non essere più soltanto il meccanismo che plasma. Si trova a essere plasmato. Sembra di assistere a un confronto fra organismi che si specchiano l’uno nell’altro.
Strutture del consenso
Sia i social sia il mercato sono strutture del consenso, vivono di misurabilità dei risultati ottenuti, quanti follower hai, quanto è virale il tuo tweet e così via. Se si specchiano, se possono lottare ad armi pari, forse possiamo dire che nei social il mercato ha trovato un antagonista o quantomeno un soggetto con cui confrontarsi. Ma se nella storia del mercato spesso si è parlato del potere eccessivo di questa struttura sulla realtà, dei suoi lati oscuri e della conseguente necessità di regolamentazione del mercato, forse dobbiamo iniziare ad affrontare le nostre preoccupazioni anche intorno al potere dei social e dei soggetti che vi operano in maniera dominante, cioè facendo leva su un elevato numero di follower. L’aristocrazia dei social, gli influencer, appunto.
Se il mercato ci impressiona o quantomeno ci fa riflettere con le sue ambiguità, così devono farci riflettere i social. Non solo. Esistono altre forme, altre strutture che i social e l’aristocrazia dei social sono in grado di plasmare, di influenzare. La politica, la democrazia. È interessante pensarci su. È meno interessante seppellire il problema nascondendosi dietro un’idea naïf di libertà.
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