- Nel mercato mondiale di internet fisso e mobile ha preso forma, in capo a un trentennio di sviluppo, la distinzione fra i soggetti Alfa, i giganti “generalisti” che guardano al globale (americani e, in minori proporzioni, cinesi) e i soggetti Beta che, all’ombra dei primi, si ritagliano segmenti di servizio, popolazione e territorio.
- Sono soggetti Alfa le Big Tech americane che possiedono i fondamenti della rete mondiale sono quasi Alfa i cinesi a casa loro. Sono Beta le piattaforme di servizi vari che sorgono sulla misura del locale.
- Tra alleanze e sinergie la diffusione delle esperienze di taglia Beta potrebbe essere il crogiolo di nuove gerarchie.
Nel mercato mondiale di internet fisso e mobile ha preso forma, in capo a un trentennio di sviluppo, la distinzione fra i soggetti Alfa, i giganti “generalisti” che guardano al globale (americani e, in minori proporzioni, cinesi) e i soggetti Beta che, all’ombra dei primi, si ritagliano segmenti di servizio, popolazione e territorio.
Sono soggetti Alfa le company americane che presidiano l’intera filiera a partire dalla progettazione dei chip (Intel), le molecole intelligenti del sistema, i sistemi operativi (Windows di Microsoft, Android di Google e IOS di Apple) che danno a pc, tablet e smartphone l’anima capace di gestire applicazioni.
Chip e sistemi operativi costituiscono il primo livello della piramide di internet. Gli Usa, oltre a occuparlo, lo proteggono e se occorre lo fanno con forza. Come quando Donald Trump ha ottenuto dai canadesi l’arresto della figlia del proprietario di Huawey e, mentre la trattenevano, ha messo a segno un doppio colpo: ha sanzionato la società privandola degli aggiornamenti di Android, che contribuivano al successo esagerato dei suoi cellulari, e ha stroncato a colpi di ambasciate la tentazione di molti paesi occidentali di acquisire i convenienti sistemi 5G elaborati dalla stessa intraprendente compagnia.
La potenza Usa
A valle della struttura tecnica di internet e dei relativi ruoli dominanti, sta il secondo livello di egemonia costituito dal potere delle applicazioni: motori di ricerca, social, ecommerce e spettacolo. Il tratto comune sta nel guadagno immenso che deriva dalle disintermediazioni che realizzano.
Google è partita dall’omonimo motore di ricerca (come risposta alla richiesta di massa che ha cercato soccorso nella rete) e l’ha impostato meglio di ogni altro, radunando utenti a iosa e profilandoli a beneficio della “pubblicità precisa”, vecchio sogno di chi paga.
Hanno puntato sulla fornitura di profili anche i social, è il caso di Facebook che, col supporto di Wall street, si è subito comprata i potenziali concorrenti, Whatsapp e Instagram, divenendo padrone della piazza. Amazon è partito e ha straripato nell’ecommerce, prendendosi la percentuale su ogni merce che passa dalla cassa e favorendo allo stesso tempo il successo di Pay Pal (la prima creatura di Elon Musk). Hollywood ha iniziato a sbaraccare il sistema delle sale e ha iniziato a produrre per gli abbonati alle piattaforme che prendono piede al seguito di Netflix.
In tutti questi campi, la disintermediazione regala a chi la realizza margini di guadagno giganteschi. Ne beneficiano ovviamente gli azionisti, ma nel contempo le imprese divengono potenze che ogni anno reinvestono centinaia di miliardi nel perfezionamento dei software, nel potenziamento delle strutture, nell’ingresso in settori lontani e vicini, dai metaversi allo spazio.
Una tale capacità di accumulare e investire capitali è senza precedenti e non pare destinata ad arrestarsi. Grazie a internet sembra si stiano ponendo le premesse per una sorta di rinascimento Usa a dispetto dei nodi sociali e razziali ancora da risolvere.
Ma, intanto, non c’è dubbio che questi risultati sono figli degli Stati Uniti: continente economico gigantesco e flessibile, spinto dalla spesa federale, dal capitale in cerca di scommesse, dai centri educativi e di ricerca, dal mantenimento dell’esercito più potente del pianeta. Secondo il dato riportato da The Economist, le imprese tecnologiche americane piazzate al vertice di internet rappresentano il 71 per cento del patrimonio globale del settore, nonostante che la popolazione Usa costituisca il cinque per cento degli umani sulla Terra.
La piramide senza punta
A lato della piramide dell’egemonia Usa c’è quella ancora in costruzione della Cina, l’unico paese che riesca a proteggere, almeno fino a ora, il proprio mercato interno con le cattive (dogane e censura) o con le buone (la barriera del mandarino orale e scritto). Quanto i cinesi abbiano mangiato la foglia di internet lo rivelano le molte righe del documento di intesa Russia-Cina dei primi di febbrai dedicate alla all’intelligenza artificiale.
Tuttavia il primo livello della piramide di internet, quello dei chip e dei sistemi operativi, non vede ancora la Cina come potenza autentica, né sarà facile che riesca a diventarlo dovendo rincorrere i prodotti americani che, grazie ai colossali margini di bilancio di Google e compagnia, migliorano in misura accelerata d’anno in anno.
Al secondo livello della piramide, quello delle applicazioni, la Cina se la cava con Baidu per la ricerca web, Ali Baba e Shein per il commercio, le app di messaggistica (WeChat), l’intrattenimento social (Tik Tok). Grazie all’efficacia di queste applicazioni la Cina riesce, a differenza dell’Europa, a non consegnare ad altri il proprio potenziale di spesa pubblicitaria e, al contrario, mette a punto modelli e algoritmi che penetrano nei mercati occidentali.
TikTok sopra tutti, tant’è che anche in questo caso Trump ha tentato una sorta di esproprio a brutto muso, caduto, per il momento, nel dimenticatoio. Il principale problema per i cinesi potrebbe essere la mobilitazione degli infiniti capitali necessari. Non solo per la dimensione quantitativa, ma perché se li facessero drenare dalle imprese si creerebbe uno squilibrio di potenza fra privati e stato. E questo ai cinesi piace poco, a giudicare dalla disciplina sulla privacy entrata in vigore il primo marzo.
Asia e America latina
I soggetti Beta di internet sono le imprese tecnologiche cresciute in ambiti locali e regionali, sia in Asia sia in America Latina, mettendo in piedi un modello internet, per così dire, “di prossimità” anziché globale. Imprese del luogo (non solo start up ma anche figlie di autentici, locali oligopoli della manifattura e del commercio) che si ritagliano qua e là i proventi di giochi d’azzardo, ecommerce, pagamenti digitali, cibo a domicilio, noleggio di trasporti per le merci o le persone.
In India, ad esempio, il conglomerato Reliance (236mila dipendenti) e Tata (700mila dipendenti) stanno sfornando app a multifaccia capaci di molteplici servizi. Zomato, un’azienda di recensioni di ristoranti e consegne di cibo a domicilio, si sta espandendo ben oltre l’India ed per i pagamenti è associata alla cinese Alibaba, in barba alla strategica inimicizia fra le due potenze asiatiche.
Nel sud est dell’Asia si possono segnalare: Sea e Grab a Singapore; Goto in Indonesia, Kakao e Coupang in Corea. In America Latina c’è l’argentina Mercado Libre. Ognuno di questi soggetti riesce a rastrellare centinaia di milioni, anche se è ancora lontano dal mirare ai miliardi su cui si muovono i giganti della Silicon Valley e i quasi giganti di Pechino.
Ma non è detto che restino “piccoli e locali” per sempre, quanto meno perché per farli funzionare s’ingrossa comunque lo stuolo degli ingegneri del software e la capacità di sperimentazione tecnologica. Al punto che a cavallo di un internet “diverso”, basato sugli oggetti intelligenti e la blockchain, da lì potrebbe arrivare, inaspettata, una sorpresa.
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