Il rapporto di un istituto indipendente statunitense chiamato Common Sense ha raccolto nel settembre del 2022 le risposte di oltre 1.300 ragazzi e ragazze tra i tredici e i diciassette anni, di diversi gruppi etnici e sociali. I risultati parlano da soli: «La maggior parte degli adolescenti (73 per cento) ha riferito di aver consumato pornografia. Molti di questi (41 per cento) dicono di averne guardata in orario scolastico, circa uno su tre (31 per cento) lo ha fatto mentre era effettivamente a scuola e quasi la metà (44 per cento) su supporti telematici in dotazione all’istituto.

Tra tutti i giovani che hanno preso parte all’inchiesta, la maggioranza (54 per cento) ha detto di aver guardato pornografia online per la prima volta a tredici anni o meno, incluso un 15 per cento che non aveva ancora compiuto gli undici anni». L’età media per il primo accesso al porno è di dodici anni.

Un problema educativo 

Immaginiamo la scena: un dodicenne davanti al computer, tablet o smartphone, che osserva un primo piano di organi genitali in azione, con l’accompagnamento di gemiti, insulti, magari anche violenza. In dieci minuti, un’«educazione sessuale» che una volta richiedeva decisamente più tempo. Una visione della sessualità umana, delle sue pratiche e della sua finalità insieme molto dettagliata e disperatamente ristretta.

Al di là dell’eccitazione del proibito, davvero un bambino o una bambina può trovare affascinante questo corpo a corpo? Magari invece correrà in bagno per chiudersi a chiave e controllare la propria dotazione: dovrei essere così anch’io?

Il rapporto di Common Sense interroga i partecipanti anche sul valore educativo di questi video. Il 79 per cento del campione afferma infatti di aver appreso grazie ai siti hard come fare sesso, e sempre il 79 per cento ha compreso in questo modo i dettagli anatomici del corpo umano. Il 73 ne ha ricavato informazioni su ciò che piacerà a loro e ai loro partner.

Addirittura, «un desiderio di capire meglio le proprie preferenze sessuali era la ragione principale per consumare la pornografia». Il 27 per cento era convinto di trovarsi di fronte a «una rappresentazione accurata del modo in cui fa sesso la maggioranza delle persone».

Autodidatti dell’eros grazie alla pornografia. È vero che i ragazzi, da che mondo è mondo, per apprendere la ginnastica dell’amore seguono vie traverse: un tempo giornaletti, videocassette, dvd. Non è una novità che di sesso si parli il meno possibile a casa, per niente a scuola, tanto e male tra amici.

Ma mi sembra preoccupante l’idea che possano considerare le attuali produzioni del porno online come una rappresentazione verosimile e non una fiction. L’obiettivo delle piattaforme hard non è l’educazione ma la massimizzazione del profitto, proprio come per una serie o un videogioco. Prendere per buone e vere queste narrazioni significa entrare in una distopia in cui, nella maggior parte dei casi, l’uomo è uno stallone con una donna al suo servizio.

La violenza

Già, perché lo stesso rapporto riferisce: «La maggioranza degli adolescenti che hanno dichiarato di aver guardato porno è stata esposta a forme di pornografia aggressiva e/o violenta». Un allarmante 52 per cento ha detto di aver assistito a «stupro, soffocamento o sofferenza». Ad appena a uno su tre è sembrato che ci fosse consenso. Ho tenuto per ultimo un numero che possiamo considerare in positivo o in negativo.

Tra gli adolescenti di sedici e diciassette anni, il 21 per cento «credeva che alla maggioranza delle persone piaccia essere picchiato durante il sesso». «Solo» un giovane su cinque arriva a pensare che la violenza sia un fattore positivo: un campanello d’allarme, e forse un dato non del tutto estraneo alle pratiche brutali che troppe donne si ritrovano poi a subire tra le pareti domestiche. Uno scenario del genere è il sintomo di una vera emergenza educativa.

Solo un gioco?

«Prendiamo Game of Thrones, Il Trono di Spade: ne ho viste tre puntate e poi ho smesso perché ero stufa di stupri, di pornografia.» La serie televisiva da record è stata anche criticata per il sesso esplicito e per le molte scene di violenza fisica e sessuale. «Quando ne ho parlato con le mie studentesse mi hanno detto: “Ok, boomer”» e qui, Rosi Braidotti si fa una risata.

Seduta nella sua casa olandese in un sabato pomeriggio di gennaio, ha accettato di condividere con me la sua esperienza di filosofa, di femminista e di educatrice. Dottorato in Filosofia alla Sorbona, Braidotti, friulana di origine, è docente all’Università di Utrecht dal 1988 e ha fondato la Scuola olandese di ricerca in Women’s Studies, dirigendola fino al 2005. Mentre parliamo, fa capolino nel video per un saluto sua moglie, Anneke Smelik, anche lei un’accademica.

La prospettiva di Rosi Braidotti è ricca e complessa, e include un prezioso osservatorio sulle giovani generazioni, che lei frequenta assiduamente come insegnante. E in cui nota un atteggiamento molto diverso, rispetto al nostro, nei confronti della violenza. «Uno spostamento della sensibilità» lo definisce. «Noi siamo cresciuti con Tom e Jerry, questi crescono con Squid Game» mi ricorda. «E lo vedono come una cosa distante, che non ha rapporti con la loro esistenza».

Per questo, sostiene, bisogna che l’educazione sessuale viaggi in parallelo a quella digitale, «perché è un gioco fino a un certo punto. Anche i club per scambisti degli anni Settanta lo erano, ma ti mettevi in gioco in un altro modo». Il mondo virtuale allenta i freni inibitori, consente comportamenti che sarebbero inaccettabili in quello reale. «C’è una specie di analfabetismo sulla distanza fra il reale e il virtuale».

Questo si riflette anche sulle relazioni e sulle abitudini sessuali. Per esempio, dice, chiedere alle ragazze se consumino pornografia o in qualche modo propongano immagini esplicite è una domanda mal posta. Più logico è chiedere quale tipo di pornografia pratichino, e quanto spesso. Un buon esempio è il sexting, opzione di default, con varie gradazioni: «Non è che lo fai subito sul pesante, c’è una sequenza precisa. Come noi mandavamo i bigliettini, loro mandano una serie di immagini, in crescendo, oppure, se sono già convinte, passano subito alle più hard».

Effetti concreti

Uno sviluppo inevitabile e innocente? Non del tutto, perché, come abbiamo visto, l’universo digitale propizia pessimi incontri. «Quando le avverto che la violenza è in aumento, le studentesse mi rispondono che c’è sempre stata, e semplicemente oggi se ne parla di più. Ma io non sono d’accordo» osserva la professoressa Braidotti. Negli scenari tragici dei femminicidi che si susseguono a un ritmo preoccupante, sostiene, sono centrali «le narrative di una pornografia che mette al centro la violenza come se fosse un gioco, ma non lo è».

Gli effetti possono essere molto concreti. All’inizio di gennaio del 2024 la polizia britannica ha avviato un’indagine su uno stupro nel metaverso: durante un gioco immersivo nella realtà virtuale, l’avatar di una sedicenne è stato circondato e attaccato sessualmente da altri. Tutto «finto», ma la vittima è stata traumatizzata davvero. Su questo fronte, in molti hanno osservato che nei giochi di guerra al tuo personaggio può succedere ben di peggio, anche di rimanere ucciso.

Ma il punto è che l’aggressione sessuale è inattesa, non certo prevista dalla «trama», e dunque costituisce un trauma. «È come il giorno dopo una sbornia o dopo un viaggio di Lsd» spiega Braidotti: la rottura brutale dell’emozione positiva del gioco mette in luce la mancanza di strumenti dei ragazzi nell’affrontare situazioni così complesse.

«L’analfabetismo amoroso si rivela in tutta la sua miseria» conclude. «Per questo bisogna fare opera di educazione, sul desiderio e sul piacere, che sono due cose diverse. I giovani oggi sono grandi consumatori di corpi, senza esserne particolarmente innamorati né essere in un rapporto di desiderio. Sono anche grandi collezionisti di corpi. Molti hanno nel computer i cataloghi delle varie prestazioni sessuali che hanno fatto, dei vari partner che hanno avuto». Di nuovo come nei giochi: si segnano i punti.

Manipolazione continua

Non a caso non esistono immagini naturali nel mondo della generazione Z: «Non scattano mai una foto senza immediatamente ritoccare: c’è la rappresentazione e subito dopo la simulazione». E questo produce un immaginario sempre più aderente agli stereotipi e ai modelli dominanti: «C’è un editing della realtà che genera immagini che richiamano il vecchio inconscio libertino. Stiamo ancora con il Marchese de Sade, in pratica».

Questa manipolazione continua offre l’illusione di un controllo completo: invio le immagini che voglio, modificate come voglio. Peccato che poi il mercato ne possa fare l’uso che vuole.

La generazione Z in particolare vive immersa in questi scambi virtuali. E significativamente, spiega la professoressa Braidotti, quando poi si incontrano dal vivo «il massimo segno di amore, di rispetto per l’altro è spegnere il telefonino. Uscire dalla rete vuol dire che mi ami davvero».

Ma uscire dalla rete non è così facile. Intanto, nel silenzio della nostra assenza e in un buio illuminato da immagini pornografiche, le menti degli adolescenti partoriscono ansia e disagio.


Non farti fottere. Come il supermercato del porno online ti ruba fantasia, desiderio e dati personali (Rizzoli 2024, pp. 192, euro 18) è un libro di Lilli Gruber

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