Questo è un estratto del nuovo libro di Martin Ford Il dominio dei robot, edito da Saggiatore (in libreria dall’8 luglio), con la traduzione di Alessandro Vezzoli. Il libro ha già vinto il premio del Financial Times and McKinsey Business Book of the Year Award. 


Il 30 novembre 2020 DeepMind, società con sede a Londra specializzata nello sviluppo dell’intelligenza artificiale e di proprietà di Alphabet, la holding cui fa capo Google, ha annunciato un clamoroso passo in avanti nella biologia computazionale, un’innovazione, probabilmente di portata storica, con il potenziale di trasformare radicalmente la scienza e la medicina.

La società era riuscita a utilizzare le reti neurali profonde per prevedere la struttura definitiva assunta da una molecola proteica a partire dal codice genetico che determina il suo assetto cellulare.

Una pietra miliare che segnava il culmine di cinquant’anni di ricerca scientifica e l’avvento di una nuova tecnologia destinata a inaugurare una comprensione senza precedenti del tessuto stesso della vita, e al tempo stesso un’epoca nuova per l’innovazione medica e farmaceutica.

Le molecole proteiche sono lunghe catene in cui ogni anello consiste di uno dei venti amminoacidi ordinari. I geni codificati nel Dna mostrano l’esatta sequenza, in pratica la «ricetta», degli amminoacidi che compongono la molecola proteica.

Questa ricetta genetica, tuttavia, non specifica quale forma assumerà la molecola, essenziale a determinarne la funzione.

La forma risulta invece dal modo in cui la molecola si piega automaticamente in una struttura tridimensionale estremamente complessa pochi millisecondi dopo la sua comparsa all’interno della cellula.

Prevedere l’esatta configurazione che assumerà una molecola proteica è una delle sfide che più sgomentano gli scienziati.

Il numero di forme possibili è praticamente infinito. Intere carriere sono state consacrate al problema, ottenendo nel complesso solo risultati modesti.

Il sistema di DeepMind utilizza tecniche di intelligenza artificiale sperimentate per la prima volta nei sistemi AlphaGo e AlphaZero, famosi per aver trionfato sui più validi avversari umani di tutto il mondo in giochi come gli scacchi. Tuttavia, l’epoca in cui l’Ia veniva associata in primo luogo alla bravura nel gioco si sta chiaramente avviando al termine.

L’abilità di AlphaFold nel prevedere la forma delle molecole proteiche, con un’accuratezza tale da competere con lunghe e costose analisi di laboratorio per mezzo di tecnologie come la cristallografia a raggi X, dimostra in maniera inequivocabile che la ricerca alle frontiere dell’intelligenza artificiale ha prodotto uno strumento scientifico pratico e indispensabile, potenzialmente in grado di trasformare il mondo.

Il peplomero

Arrivando in un momento in cui praticamente chiunque al mondo si era imbattuto in un’immagine del più famigerato esempio di come una forma tridimensionale di molecola definisce la sua funzione – il peplomero, la «punta» superficiale del coronarivus, una specie di meccanismo di attracco molecolare che consente al virus di agganciarsi al proprio ospite e di infettarlo – questo sistema rivoluzionario ci fa sperare che saremo molto meglio preparati ad affrontare una nuova pandemia.
Un suo importante utilizzo potrebbe consistere nell’esaminare rapidamente le cure mediche disponibili per individuare quelle con maggiori probabilità di efficacia contro un virus sconosciuto, mettendo una potente arma a disposizione dei medici fin dalle fasi iniziali di un’emergenza di tipo epidemiologico.

La tecnologia di DeepMind, inoltre, è destinata a condurci a diversi progressi, tra cui la creazione di farmaci del tutto nuovi e una migliore comprensione delle malformazioni proteiche, fenomeno che viene associato all’insorgere di malattie come il diabete, le sindromi di Alzheimer e di Parkinson.

Si tratta di un’innovazione con il potenziale di accelerare il progresso praticamente in ogni sfera della medicina e della biochimica.

Nell’arco dell’ultimo decennio, il campo dell’intelligenza artificiale ha mosso un enorme passo in avanti e comincia a rendere disponibile un numero sempre crescente di applicazioni pratiche che già stanno trasformando il mondo che ci circonda.

L’acceleratore fondamentale di questo progresso è stato il «deep learning», una tecnica di apprendimento artificiale basata su reti neurali artificiali multistrato del tipo utilizzato da DeepMind.

I principi di base delle reti neurali profonde sono noti da decenni, ma le ultime conquiste sono state rese possibili dalla confluenza di due trend di lunga durata nella tecnologia dell’informazione.

La comparsa di computer immensamente più potenti ha permesso per la prima volta alle reti neurali di trasformarsi in strumenti di un’efficienza mai vista.

Le immense miniere di dati che adesso si generano e raccolgono attraverso l’economia dell’informazione rappresentano una risorsa decisiva per insegnare a queste reti a svolgere compiti utili.

Un’elettricità dell’intelligenza

la disponibilità di dati su scala finora inimmaginabile è il fattore cruciale del  progresso cui abbiamo assistito. Le reti neurali profonde risucchiano i dati da sfruttare proprio come un’enorme balenottera azzurra si nutre del krill, raccogliendo ampie quantità di minuscoli organismi, insignificanti se presi singolarmente, e servendosi della loro energia collettiva per far vivere una creatura maestosa.

Man mano che l’intelligenza artificiale trova applicazione in sempre più àmbiti, appare chiaro come si stia evolvendo in una tecnologia dall’importanza ineguagliabile. In alcune aree della medicina le applicazioni di diagnostica basate sull’Ia già eguagliano o addirittura superano l’operato dei medici più capaci.

Di qui a non molto, competenze diagnostiche all’avanguardia saranno disponibili da una parte all’altra del pianeta, persino in zone dove la popolazione ha accesso a stento anche solo a cure mediche e infermieristiche, e men che meno a un consulto da parte di uno specialista di fama mondiale.

Immaginate di prendere una singola e ben precisa innovazione – uno strumento diagnostico basato sull’Ia o il rivoluzionario sistema DeepMind sulla piegatura delle proteine – e di moltiplicarla in un numero virtualmente illimitato di possibilità in altre aree, dalla medicina alla scienza, dall’industria ai trasporti, dall’energia alla politica e a ogni altro àmbito di attività umana. Ciò che finireste per avere è una nuova risorsa dalla potenza straordinaria. A volerla sintetizzare con una formula, un’«elettricità dell’intelligenza».

Una risorsa flessibile in grado (forse un giorno semplicemente attivando un interruttore) di applicare capacità cognitive praticamente a qualunque problema ci toccherà affrontare. In definitiva, questa nuova risorsa si mostrerà non solo capace di analizzare e di prendere decisioni, ma di risolvere problemi complessi e persino di dare prova della propria creatività.

Il libro che ho scritto, Il dominio dei robot, si prefigge di esplorare le implicazioni future dell’intelligenza artificiale non considerandola nei termini di un’innovazione specifica quanto invece come una tecnologia straordinariamente scalabile e potenzialmente rivoluzionaria, una nuova, potente risorsa pronta ad attuare una trasformazione dall’impatto che un giorno si mostrerà più determinante di quello dell’elettricità. 

Il lato oscuro

Considerare l’intelligenza artificiale come la nuova elettricità offre un modello utile per riflettere sull’evoluzione della tecnologia e tocca in definitiva quasi ogni sfera dell’economia, della società e della cultura. C’è comunque un aspetto fondamentale da tenere a mente.

L’elettricità viene considerata da tutti come una forza assolutamente positiva. Con l’eccezione dei più inflessibili eremiti, sarebbe difficile trovare un abitante di un paese sviluppato che abbia motivo di pentirsi dell’avvento dell’elettricità.

L’Ia è un altro discorso: possiede un lato oscuro, e si accompagna a rischi autentici tanto per l’individuo quanto per la società nel suo complesso.

Man mano che l’intelligenza artificiale prosegue nel suo sviluppo, mostra il potenziale di sconvolgere il mercato del lavoro e l’economia in generale in una misura probabilmente senza precedenti. In pratica ogni lavoro di natura routinaria e prevedibile – o, in altre parole, quasi ogni ruolo in cui un lavoratore si trova ad affrontare più volte problemi simili – può essere in tutto o in parte automatizzato.

Gli studi hanno rivelato che metà della forza lavoro americana è impegnata in attività ripetitive di questo tipo, e che decine di milioni di posti di lavoro nei soli Stati Uniti potrebbero andare in fumo. E l’impatto non si limiterà ai lavoratori non qualificati di basso livello.

 Molti di coloro che svolgono ruoli impiegatizi e attività professionali devono affrontare compiti relativamente di routine. Il lavoro intellettuale che segue procedure standard è particolarmente esposto al rischio di venire automatizzato, dato che si può delegare a un software.

Il lavoro manuale, invece, richiede robot costosi. Ferve ancora il dibattito in merito all’impatto dell’automazione sulla futura forza lavoro. Verranno creati nuovi impieghi non automatizzabili in quantità sufficiente ad assorbire tutti coloro che avranno perso un lavoro routinario?

E se così fosse, questi lavoratori avranno le abilità, le capacità e le caratteristiche personali necessarie a una transizione efficace in questi nuovi ruoli? Sarebbe meglio non dare per scontato che ex autisti di camion o ex inservienti nei fast food possano diventare ingegneri robotici – o, per quello che vale, badanti per anziani.

Come ho sostenuto in Il futuro senza lavoro, sono dell’opinione che una grossa fetta della nostra forza lavoro rischierà di smarrirsi con il progresso dell’Ia e della robotica. E, come vedremo, ci sono ottime ragioni di credere che la pandemia da coronavirus e la conseguente flessione economica accelereranno l’impatto dell’intelligenza artificiale sul mercato del lavoro.

Se anche escludiamo la completa eliminazione del lavoro attraverso l’automazione, la tecnologia già influenza il mercato del lavoro in altri modi cui dovremmo prestare attenzione.

Le mansioni del ceto medio rischiano di venire dequalificate, in modo che un lavoratore a basso salario e scarsa formazione, ma con l’ausilio della tecnologia, possa coprire un ruolo che in passato sarebbe stato associato a una retribuzione più elevata.

Sempre più spesso le persone lavorano sotto il controllo di algoritmi che ne monitorano o scandiscono le attività, trattandoli in pratica come dei robot.

Molte nuove opportunità create si collocano nella cosiddetta «gig economy», dove ai lavoratori non viene garantito nulla in termini salariali e di orario di lavoro. Tutto ciò punta ad accrescere la diseguaglianza e rischia di disumanizzare le condizioni di vita per una parte crescente della nostra forza lavoro.

La rivoluzione nascente

A parte l’impatto su lavoro ed economia, esiste un’ampia gamma di altri pericoli che accompagnano la travolgente crescita dell’intelligenza artificiale. Una delle minacce più immediate sarà alla nostra sicurezza collettiva.

Mi riferisco ai cyberattacchi perpetrati grazie all’Ia ai danni di infrastrutture fisiche e di sistemi critici sempre più interconnessi e gestiti da algoritmi, ma anche alle minacce al processo democratico e al tessuto sociale.

L’ingerenza russa nelle elezioni presidenziali Isa del 2016 è un’anteprima relativamente blanda di quanto potrebbe attenderci in futuro.

L’intelligenza artificiale ha la capacità di mettere il turbo alla diffusione di fake news attraverso la creazione di video, audio e immagini manipolate praticamente indistinguibili dalla realtà. Eserciti di bot di ultima generazione rischiano di invadere i social media, seminando confusione e manipolando l’opinione pubblica con terrificante abilità.

In tutto il mondo, ma soprattutto in Cina, i sistemi di sorveglianza che impiegano il riconoscimento facciale e altre tecnologie basate sull’Ia vengono utilizzati in modalità che accrescono in larga misura il potere e la sfera d’influenza dei governi autoritari ed erodono qualsiasi speranza di privacy personale.

Negli Stati Uniti si è dimostrato che i sistemi di riconoscimento facciale sono influenzati da genere ed etnia, così come gli algoritmi utilizzati per esaminare i curriculum o anche per assistere il lavoro dei giudici nell’esercizio della giustizia penale.

Forse la più spaventosa minaccia a breve termine è lo sviluppo di armi completamente autonome in grado di uccidere senza che sia necessaria la specifica autorizzazione di un umano.

Peggio delle armi nucleari

Probabilmente armi del genere verrebbero usate per prendere di mira intere popolazioni e sarebbe estremamente difficile difendersi da esse, soprattutto qualora cadessero nelle mani di terroristi.

Si tratta di un’evoluzione che molti all’interno della comunità di ricerca sull’Ia si adoperano per scongiurare, e alle Nazioni unite è in corso un’iniziativa per mettere al bando armi come queste.

Tra alcuni anni potremmo imbatterci in un pericolo anche maggiore. L’intelligenza artificiale rischia di porre una minaccia all’esistenza stessa dell’umanità? Un giorno potremmo realizzare una macchina «superintelligente», provvista di un potenziale che ci superi a tal punto da agire, intenzionalmente o no, in modo da danneggiarci? Si tratta di una paura di gran lunga più teorica, che si manifesterà solo a condizione che in futuro si riesca a costruire una macchina davvero intelligente.

Per ora resta nell’ambito della fantascienza. Nondimeno, la ricerca della creazione di un’autentica intelligenza artificiale di livello umano è il sacro graal di questo campo, e un certo numero di persone molto in gamba prendono decisamente questa sfida sul serio.

Personalità di primo piano come il compianto Stephen Hawking ed Elon Musk ci hanno messo in guardia sullo spettro di un’ia fuori controllo, e Musk in particolare ha scatenato un putiferio mediatico affermando che la ricerca sull’intelligenza artificiale è «evocazione di demoni» e che «l’Ia è più pericolosa delle armi nucleari».

Alla luce di tutto questo, verrebbe spontaneo chiedersi per quale motivo dovremmo decidere di scoperchiare il vaso di Pandora. La risposta è che l’umanità non può permettersi di rinviare la questione dell’intelligenza artificiale a un tempo indeterminato.

Amplificando il nostro intelletto e la nostra creatività, l’Ia sarà il traino dell’innovazione pressoché in ogni ambito dello sforzo umano. Possiamo aspettarci nuovi farmaci e terapie, fonti di energia pulita più efficienti e una moltitudine di altri fondamentali cambiamenti.

Di certo l’Ia cancellerà molti posti di lavoro, ma al tempo stesso renderà prodotti e servizi disponibili per un maggior numero di persone.

Un’analisi della società di consulenza PwC prevede che entro il 2030 l’Ia avrà introdotto circa 15,7 miliardi di dollari nell’economia globale, e ciò è tanto più decisivo, ansiosi come siamo di riprenderci dalla gravissima crisi economica scatenata dalla pandemia da coronavirus.

Verso il futuro

Forse, ed è un aspetto ancora più importante, l’intelligenza artificiale diverrà uno strumento indispensabile per affrontare le più importanti sfide del nostro tempo, tra cui il cambiamento climatico e il dissesto ambientale, la prossima inevitabile pandemia, la scarsità di energia e acqua dolce, la povertà e la mancanza di accesso all’istruzione.

La strada da percorrere consiste nell’accogliere in pieno il potenziale dell’intelligenza artificiale, ma con gli occhi bene aperti. Dobbiamo occuparci anche dei rischi che essa comporta. Dobbiamo regolare, e in certi casi vietare, determinate applicazioni dell’ia.

E tutto questo deve accadere adesso, perché il futuro arriverà molto prima di quando noi saremo pronti ad accoglierlo. Sostenere che il mio libro tracci una «roadmap» verso il futuro dell’intelligenza artificiale rischierebbe di essere un’iperbole.

Nessuno sa con quanta rapidità avanzerà l’Ia, i modi in cui verrà sfruttata, le nuove industrie che sorgeranno o i pericoli che incomberanno.

È probabile che il futuro dell’intelligenza artificiale sia tanto imprevedibile quanto dirompente. Non esiste nessuna roadmap. Ci toccherà improvvisare.


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