- Doveva sostituire il sistema di transazioni interbancarie Swift: anni dopo la sua nascita, ancora oggi non è però assolutamente chiaro a cosa serva la criptovaluta collegata al colosso della blockchain Ripple
- Lo stesso discorso vale per altri ambiziosi progetti come IOTA, Cardano o Stellar, le cui criptovalute potrebbero sembrare avere il solo scopo di arricchire i loro fondatori
- Mentre il settore inizia a risollevarsi dopo l’ultima tempesta, è possibile riporre fiducia in progetti diversi dai vecchi Bitcoin ed Ethereum?
Nel dicembre 2017, una nuova realtà del mondo blockchain nota come Ripple balza improvvisamente agli onori delle cronache. Come sempre in questi casi, a far discutere è soprattutto il valore della criptovaluta collegata: XRP.
In soli trenta giorni, tra il dicembre 2017 e il gennaio 2018, XRP cresce infatti vertiginosamente, facendo impallidire tutte le altre criptovalute che, in quell’inverno, stanno cavalcando la prima grande bolla dei bitcoin.
Nel giro di un mese, la moneta digitale di Ripple passa da un valore pari a 0,25 dollari a oltre 3 dollari. È un aumento superiore al 1000 per cento, che si verifica in un lasso di tempo rapidissimo e trasforma temporaneamente una semi-sconosciuta criptovaluta nella seconda più importante del settore blockchain, con una capitalizzazione di mercato di 120 miliardi di dollari.
Chris Larsen, il fondatore di Ripple che ovviamente detiene moltissimi XRP, diventa da un giorno all’altro – ma solo per qualche tempo – la quinta persona più ricca del mondo.
Transazioni fulminee
Speculazione a parte, a generare la crescita di XRP sono le grandi ambizioni di questa piattaforma, che vuole diventare concorrente del sistema di transazioni interbancarie Swift, ormai risalente agli anni Settanta e per molti versi antiquato.
Sfruttando la blockchain, Ripple punta quindi a rendere le transazioni incredibilmente rapide ed economiche, sfruttando la criptovaluta XRP come “ponte” temporaneo per eseguire il trasferimento di valore.
Tra le società che, in quel periodo, si mostrano interessate ad adottare Ripple troviamo colossi del calibro di Crédit Agricole e Santander. Ripple ha insomma un caso d’uso chiaro, una tecnologia innovativa e partnership prestigiose: tutto sembra andare per il verso giusto.
Negli stessi mesi, si fa largo un’altra piattaforma blockchain dalle caratteristiche molto simili: Stellar. Anche Stellar è infatti dotata di una sua criptovaluta, XLM, e ha l’obiettivo di facilitare lo spostamento di denaro.
A differenza di Ripple, Stellar pone però l’accento sui paesi economicamente più arretrati, promettendo di ridurre i tempi e i costi dell’invio di rimesse e permettendo di riceverle direttamente sullo smartphone. In questo modo, Stellar promette di semplificare la vita degli oltre due miliardi di “unbanked” del mondo.
Insomma, Ripple e Stellar sono due progetti radicalmente diversi sia dai bitcoin, sia soprattutto dalle migliaia di criptovalute sorte a scopi esclusivamente speculativi. Entrambi promettono di avere un impatto concreto sul mondo e di far evolvere il sistema finanziario globale.
Il flop e la bolla
Avanti veloce di cinque anni, che cos’è rimasto di questi progetti? Più che per aver sostituito il sistema Swift (ancora oggi dominante), Ripple è diventato noto per gli scontri legali con la SEC (la Consob statunitense) e per essere stato uno dei più lampanti moniti sui rischi legati alle criptovalute: dopo essere arrivato in poche settimane a un valore di oltre tre dollari, il prezzo di XRP è infatti crollato in poche settimane di oltre il 90 per cento, mandando sul lastrico migliaia di piccoli investitori che avevano creduto nella possibilità che questa criptovaluta potesse rivoluzionare il sistema bancario.
Ancora oggi, nonostante nel frattempo ci sia stata un’altra colossale bolla delle criptovalute, XRP si aggira attorno a 0,4 dollari: un valore vicino a quello che aveva preceduto la sua prima improvvisa ascesa. Com’è possibile?
Nonostante la tecnologia di Ripple si sia comunque parzialmente diffusa nel settore delle transazioni interbancarie (tra i clienti segnalati sul sito troviamo perfino Bank of America), col tempo si è capito che la funzione di “ponte” svolta dalla criptovaluta XRP non era necessaria e infatti non è utilizzata da nessuno dei clienti di Ripple, che ne sfruttano la tecnologia usando le normali valute.
E allora perché emettere miliardi di XRP (dalla quale col tempo la società si è infatti separata)? È possibile che l’unico scopo fosse quello di arricchirsi promettendo casi d’uso che si sono poi rivelati inesistenti?
Una situazione simile si è ripetuta anche con Stellar, progetto ancora oggi attivo ma la cui criptovaluta XLM ha perso negli anni il 90 per cento del valore. E questo nonostante, nel frattempo, un importante realtà delle rimesse come MoneyGram abbia instaurato una collaborazione proprio con Stellar per il trasferimento di denaro. Peccato che, nemmeno in questo caso, sia previsto l’utilizzo della criptovaluta XLM.
È una storia che si è ripetuta più e più volte nel mondo delle criptovalute. Anche lasciando perdere le vere e proprie truffe, il settore della blockchain è costellato di progetti ambiziosi, con una missione chiara e partner prestigiosi, ma che, nonostante il passare degli anni, non hanno mantenuto nessuna delle promesse fatte e non hanno mai saputo dimostrare concretamente a cosa servisse la loro criptovaluta.
Iota e Cardano
Che dire, per esempio, di un altro progetto di enorme rilievo come IOTA, che tutt’oggi, a oltre sette anni dalla nascita, promette di dare vita, un giorno, a un sistema di pagamento automatizzato tra dispositivi connessi alla internet of things (pensate a un’automobile che paga da solo la benzina al distributore)?
Col tempo, i potenziali utilizzi di questa tecnologia, a giudicare dal sito, si sono diversificati, ma la domanda da porsi è sempre la stessa: quale funzione ha la criptovaluta collegata che, all’apice del successo, valeva oltre 5 dollari e oggi ne vale 0,25? Non avrebbe più senso, per eseguire pagamenti, usare una stablecoin (criptovaluta dal valore fisso) invece di una dal valore fluttuante?
E cosa pensare invece di Cardano, la cui blockchain potrebbe a breve essere impiegata in Eritrea in vari progetti istituzionali, tra cui quello volto a fornire agli studenti delle scuole del paese una sorta di carta d’identità digitale utilizzabile dal ministero dell’Istruzione per tenere traccia delle performance scolastiche? Per utilizzi di questo tipo serve davvero una criptovaluta?
Non solo molti presunti progetti rivoluzionari legati alla blockchain si sono col tempo rivelati ben poca cosa, ma il sospetto è soprattutto che le relative criptovalute fossero del tutto superflue, come se fossero state introdotte in maniera posticcia al solo scopo di arricchire i loro creatori, perfettamente consapevoli della loro inutilità.
È un sospetto difficile da scrollarsi di dosso, osservando monete digitali che oggi non vengono utilizzate nemmeno all’interno dei progetti per cui sono (teoricamente) nate, di cui non si è mai capita la funzione e il cui valore è miseramente precipitato nel tempo. Di esempi simili se ne potrebbero fare moltissimi altri; così come ci sono, per fortuna, altrettanti casi di progetti blockchain di cui le criptovalute sono invece parte integrante. È il caso per esempio dei “metaversi” (finora comunque di scarso successo) come Decentraland o The Sandbox, all’interno dei quale le monete vengono effettivamente impiegate.
Resta bitcoin
Nel momento in cui il settore delle criptovalute sembra timidamente riprendersi dal grande crollo dell’autunno 2021 (Bitcoin ed Ethereum sono cresciuti di oltre il 40 per cento dall’inizio dell’anno), è possibile evitare di riporre ancora una volta la propria fiducia in progetti sbagliati o che comunque non avrebbero bisogno di criptovalute che, di conseguenza, sono inevitabilmente destinate a sgonfiarsi?
Storicamente, e in assenza ovviamente di qualunque certezza, nel mondo della blockchain ci sono stati solo due progetti che hanno dimostrato più volte di essere in grado di riprendersi dopo le varie bolle speculative e, contestualmente, di progredire sia dal punto di vista tecnologico sia da quello dell’adozione: i bitcoin (che ormai giocano un importante ruolo di bene d’investimento) ed ethereum, quasi all’unanimità considerata la piattaforma che ha le migliori chance di dare vita al cosiddetto web3.
In un settore già di suo circondato da dubbi, legato a una speculazione selvaggia e ciclicamente travolto da scandali, la cosa più saggia da fare è probabilmente tenersi alla larga da realtà che, a colpi di marketing, promettono cripto-rivoluzioni tanto futuristiche quanto dubbie.
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