Se ampie sono le conferme circa il fatto che Vittorio Mangano, anche su incarico di Brusca e Bagarella, ebbe a contattare Marcello Dell'Utri ricevendo da questi rassicurazioni che si sarebbe adoperato per caldeggiare le modifiche legislative, non è altrettanto certo se di siffatte trame sia stato messo al corrente Berlusconi all’epoca in qualità di leader della nascente formazione politica Forza Italia
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci delle motivazioni della sentenza di secondo grado del processo sulla trattativa stato-mafia.
In buona sostanza, dalle dichiarazioni di Cucuzza, in modo analogo a quanto può trarsi dalle dichiarazioni di Brusca e Di Natale, si ottiene si conferma degli incontri tra Mangano e Dell'Utri già in questo periodo preelettorale, ma non anche del fatto se, a queste interlocuzioni, collocabili prima della scarcerazione dello stesso Cucuzza (intervenuta il 29 giugno 1994 “questi incontri me li diceva che erano da molto prima che io uscissi”), abbia fatto seguito un’interlocuzione con Silvio Berlusconi per veicolargli la c.d. “minaccia preventiva” adesso di interesse.
Non vi è certezza del fatto se Berlusconi, allora già “sceso in politica” ma non ancora eletto e senza alcun incarico di governo, sia stato partecipe di questo accordo preelettorale (o di questa promessa elettorale come pure definita) esplicitato nei termini formulati a Marcello Dell'Utri e nato sotto la terribile minaccia, già allora manifestata dagli uomini di Cosa nostra, per volere di Bagarella e di Brusca, che se la promessa non fosse stata in futuro rispettata sarebbe proseguita (o ripresa) la stagione delle bombe.
Per quanto la minaccia fosse sottoposta, almeno in quella fase, alla duplice condizione già illustrata, il fatto adesso di interesse non è tanto riferito alla linea politica che si prefiggeva di seguire in campagna elettorale il partito Forza Italia, ben nota anche in termini di posizioni garantiste sulla “questione giustizia” intesa in senso ampio, ma invece se Berlusconi, quale leader di quella neo formazione, fosse stato messo al corrente da Dell'Utri di quali gravissime conseguenze sarebbero conseguite per il Paese intero qualora il suo operato, una volta e se assunto un incarico di governo, non si fosse adeguato a certe precise aspettative.
Un ricatto preventivo e condizionato (o meglio doppiamente condizionato) se letto rispetto alla configurazione della minaccia a Corpo politico dello stato ex art. 338 c.p., ma invece una minaccia più che attuale rispetto alla linea politica da seguire come contraltare alla raccolta di voti in favore di Forza Italia, per la quale si erano spesi celti uomini di Cosa nostra.
In questa prospettiva, ben inteso, non è sufficiente aver prova dell’accordo politico mafioso in senso stretto, che per sua natura implica perfino una comunanza di interessi, ma occorrerebbe la dimostrazione che, oltre a questo patto (per quanto illecito e profondamente immorale), fosse già insita la minaccia stragista; non basterebbe dimostrare una collusione politico-mafiosa, anche ai più elevati livelli del partito di Forza Italia e per la raccolta di voti per quella tornata elettorale, ma sarebbe necessario dimostrare che già in quella fase “l’accordo” nasceva viziato dalla minaccia stragista nota e chiara anche a Berlusconi.
Ma in merito alla questione della consapevolezza di Silvio Berlusconi non sono di particolare aiuto neppure le parole di Salvatore Riina intercettate durante i suoi colloqui in carcere.
[…] Se tali dichiarazioni oggetto di captazione assumono un’importanza effettivamente centrale per asseverare sia il fatto che Vittorio Mangano ebbe ad eseguire più trasferte per contattare, attraverso Dell'Utri, Berlusconi (v. intercettazione del 29 settembre 2013: [...]), sia il fatto che Mangano ebbe a parlare con Dell'Utri (v. intercettazione del 22 agosto 2013: […]), dalle stesse non può tuttavia evincersi se Berlusconi sia stato davvero coinvolto in siffatte interlocuzioni ed eventualmente in quali termini.
Al riguardo è bene aggiungere che, considerato il momento in cui si collocarono tali iniziative cui ha fatto riferimento il collaboratore Brusca, ovvero prima del maggio 1994, non è rinvenibile un motivo diretto e stringente per il quale lo stesso Dell'Utri avrebbe dovuto mettere al corrente Berlusconi dei suoi incontri con Mangano quale emissario dei desiderata della compagine mafiosa con la nota stonata e terribile delle conseguenze future in termini di possibili nuove stragi. In quella fase e per quel canale di comunicazione non si trattava, come già accennato, di rivolgere una minaccia al governo della Repubblica, che non era (ancora) rappresentato da Berlusconi, ma, semmai, di ottenere rassicurazioni pre elettorali cioè ottenere degli impegni circa l’atteggiamento futuro secondo il meccanismo intimidatorio già illustrato della minaccia sottoposta a duplice condizione (se Berlusconi avesse assunto incarichi di governo e se, in tale veste, non avesse rispettato i desiderata di Cosa nostra).
Solo in questa prospettiva avrebbe avuto senso, per la compagine mafiosa, minacciare Berlusconi al tempo importante imprenditore già avviato alla fase politica ma ancora privo di incarichi politici/istituzionali o di funzioni governative.
Bagarella, Brusca ed i loro accoliti, sollecitando per mezzo di Mangano e nei termini detti l’interlocutore Marcello Dell'Utri, volevano ottenere rassicurazioni “politiche” circa il fatto che, a prescindere da una certa decantata linea garantista caldeggiata pubblicamente dal partito che Berlusconi stava costituendo, dopo l’assunzione degli incarichi di governo venissero mantenuti i patti intessuti con lo stesso Dell'Utri.
Ricostruita la vicenda entro questi termini, va aggiunto che neppure la sentenza di primo grado ha affermato che Berlusconi sapesse di queste minacce “preventive” (o “preelettorali” che dir si voglia) relegando quasi sullo sfondo questo aspetto della vicenda che non attiene, del resto, alla integrazione del reato. Semmai questa stessa decisione si è premurata di dimostrare, ricorrendo sul punto ad una prova “logica fattuale” (vedi infra), che Berlusconi sia stato informato dopo l’insediamento del governo, così portando a consumazione l’azione delittuosa ex ari 338 c.p..
Come detto vi è l’interesse di esplorare l’antefatto, per come descritto in particolare da Brusca, avendo cura di precisare e ribadire che questo antecedente, così strutturato, è diverso da un accordo preelettorale in senso stretto.
Un accordo di tale genere, come tradizionalmente inteso implica, invero, una raccolta di voti indirizzati dalla compagine criminale verso un partito o una formazione politica che si mostri, più o meno esplicitamente, disponibile a concedere dei “benefici” a seguito del successo elettorale ma senza implicare, sol per questo, anche un ricatto teso a far si che i desiderata dell’organizzazione criminale debbano essere rispettati a pena di rappresaglie violente e sanguinarie.
Nel caso di specie, poi, tali rappresaglie, perlomeno come prospettate da Bagarella e Brusca e per quanto dichiarato da quest’ultimo, non erano neppure dirette a ledere i fautori politici dell’accordo politico/mafioso, a partire da Marcello Dell'Utri, ma semmai l’intera nazione secondo lo schema mafioso/stragista che aveva insanguinato gli anni 1992/93.
Dunque una prospettiva che inverte le logiche tradizionali del negoziato politico/mafioso poiché un accordo di questo genere (o anche la semplice promessa elettorale) si fonda su una convergenza di interessi lontana dal concetto della minaccia, anzi sotto questo profilo tutt’altro che minacciosa né tanto meno bellicosa (men che meno per l’intero Paese) nel senso che, in virtù di un rapporto sinallagmatico, viene assicurata una concentrazione di voti su una determinata compagine politica che, per affinità di prospettive o per accordi espliciti pre elettorali, possa assicurare un certo tornaconto all’organizzazione mafiosa.
A ritenere, infatti, che vi sia stato un accordo preelettorale, in quanto diretto a far confluire i voti su Forza Italia (come riferito da Brusca, Giuffré e dagli altri soggetti di cui si dirà nel paragrafo che segue) e tale per cui i non pochi voti che Cosa nostra pilotava dovevano essere guidati per quelle elezioni su questo partito, un simile accordo non implicherebbe, per sua natura, una preventiva minaccia nei termini sopraddetti, addirittura precoce rispetto alla costituzione di una formazione parlamentare o governativa ma tale, in prospettiva, da poter condizionare le scelte legislative.
Secondo le dinamiche ben note le mafie sono solite “salire sul carro dei vincitori”, anche a prescindere dalla coloritura delle formazioni politiche, per soddisfare i propri interessi e se questo tipo di accordo politico-mafioso finisce per legare indissolubilmente i singoli esponenti politici compiacenti, che si prestano a simili subdoli accordi, non si registra, sempre secondo un percorso comportamentale comune, una minaccia che vada addirittura al di là di chi questo accordo abbia siglato o favorito.
In siffatta prospettiva si tratta di verificare se Forza Italia, che più delle altre forze politiche dell’epoca ha caratterizzato la nascita della c.d. “Seconda Repubblica”, sia stata condizionata, ed a che livelli, non tanto da un accordo pre elettorale per ottenere voti, ma perfino dalla terribile minaccia di Cosa nostra che certamente avrebbe pesato (e non poco) sulle dinamiche comportamentali già allora in atto all’interno di questo partito oltre che, in prospettiva, su quelle future del governo che si sarebbe potuto insediare con esponenti di quella stessa formazione politica.
Ebbene, in riferimento ad un così complesso capitolo di indagine non si dispone di conferme certe e residua - sempre su un piano rigorosamente probatorio -soltanto il fatto che Dell'Utri sia stato esortato a fare in modo che in quella delicata fase pre elettorale i desiderata dei mafiosi venissero in futuro rispettati mettendosi in questo senso a disposizione e così impegnandosi, pena ulteriori stragi, sempreché il partito capeggiato da Berlusconi, e per il quale si era speso lo stesso Dell'Utri, fosse “salito al governo” nei modi sperati.
Se ampie sono le conferme circa il fatto che Vittorio Mangano (il quale aveva preso in affitto un immobile a Como, ove risiedeva anche Dell'Utri, chiedendo perfino di essere rimborsato della relativa spesa, di lire 4.000.000 annuali, dalla “famiglia” mafiosa di comune appartenenza col Cucuzza), anche su incarico di Brusca e Bagarella, ebbe a contattare Marcello Dell'Utri ricevendo da questi rassicurazioni che si sarebbe adoperato per caldeggiare le modifiche legislative (“vediamo quello che possiamo fare “), non è altrettanto certo se di siffatte trame e soprattutto se della sanguinaria “minaccia condizionata” sottesa a tali contatti sia stato messo al corrente Berlusconi Silvio all’epoca in qualità di leader della nascente formazione politica Forza Italia.
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