Ciò che conta, ai fini del presente giudizio è la prova che Riina colse l’occasione che gli si era offerta dell’apertura di un canale di comunicazione con quelli che riteneva essere emissari dello Stato per far sapere — e per dettare - le condizioni poste da Cosa nostra per interrompere la campagna stragista. Ebbene quella prova, a parere di questa corte, è stata in effetti raggiunta.
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci delle motivazioni della sentenza di secondo grado del processo sulla trattativa stato-mafia.
Lo stupore di Brusca è un elemento che denota la sincerità anche delle pregresse dichiarazioni, che, come puntualmente annota la sentenza appellata, furono rese quando effettivamente Brusca ignorava che tra coloro che si erano fatti sotto v’erano i Carabinieri.
Il racconto primigenio del papello non è quindi ritagliato sulla conoscenza che solo in seguito si ebbe della interlocuzione avviata con Ciancimino da Mori e De Donno, che ne parlarono per la prima volta in pubblico dibattimento alla fine di gennaio del 1998, e Mori, prima ancora, nelle dichiarazioni rese alla procura di Firenze (1° agosto 1997) e alla procura di Caltanissetta (23 settembre 1997): dichiarazioni, queste ultime, consacrate in verbali ai quali vennero allegate altrettante copie del memoriale in cui lo stesso Mori ha fornito la sua versione dei fatti, quanto ai contatti intrapresi con Ciancimino e alla loro evoluzione fino all’arresto intervenuto il 19 dicembre.
Quei verbali avrebbero dovuto restare riservati, ma qualcosa era trapelato, a giudicare dall’articolo di Francesco Viviano citato da Brusca. Ma è innegabile che le prime dichiarazioni di Brusca precedono il memoriale Mori e ogni possibile indiscrezione sulle dichiarazioni di quest’ultimo alla procura di Firenze e alla procura di Caltanissetta.
E la corrispondenza tra la vicenda evocata da Brusca e la narrazione della “trattativa” Ciancimino-Ros non si ferma qui. Essa riguarda anche l’interruzione della presunta trattativa. Secondo quanto Brusca dice di avere appreso dalla viva voce di Riina, la risposta alle sue richieste non era stata quella sperata: le richieste erano state respinte perché ritenute eccessive.
E tuttavia la partita non era definitivamente chiusa, perché quella risposta non escludeva la possibilità di proseguire il dialogo su basi negoziali diverse (ovvero, ridimensionando le pretese di Cosa nostra). Tant’è che, sempre secondo il racconto di Brusca, lo stesso Riina ritenne utile, per sbloccare la situazione di stallo in cui versava, dare un altro “colpetto” per indurre i riluttanti emissari delle Istituzioni a tornare al “tavolo dei negoziati”.
Una “trattativa” interrotta per richieste ritenute eccessive
Ebbene, è proprio questo lo scenario che sembra intravedersi in controluce alla narrazione da parte di Mori e De Donno e dello stesso Ciancimino circa l’interruzione della trattativa seguita all’irricevibile proposta avanzata dai carabinieri.
Tutti e tre convennero che Ciancimino non poteva trasmettere quel tipo di proposta ai suoi referenti mafiosi; e quindi concordarono di far sapere che la trattativa doveva intendersi congelata, ma in modo da lasciare aperto uno spiraglio alla possibilità di riprendere il dialogo.
È quindi del tutto plausibile che la risposta pervenuta a Riina, opportunamente “filtrata” da Vito Ciancimino, fosse stata nel senso che le sue richieste erano state ritenute eccessive; e che, conseguentemente, la trattativa non era definitivamente chiusa, ma solo sospesa, in attesa di rinegoziare i termini di un possibile accordo (cfr. De Donno: «Quindi lasciammo cadere la cosa, però lasciammo aperta la porta a questo dialogo»).
Deve quindi convenirsi con l’apprezzamento espresso dal giudice di prime cure, secondo cui l’anteriorità delle rivelazioni di Brusca sul “papello” rispetto alla divulgazione delle notizie sulla trattativa Ciancimino-Ros e l’originalità del loro contenuto in un momento in cui la vicenda non aveva assunto il risalto anche mediatico che solo diversi anni dopo avrebbe avuto non può che avvalorarne l’attendibilità.
E deve aggiungersi che le due narrazioni, dunque, combaciando nei loro contenuti salienti, e non soltanto nella corrispondenza cronologica, si riscontrano vicendevolmente, posto che esse traggono origine da fonti di conoscenza del tutto autonome e non sospettabili di reciproca contaminazione.
Brusca racconta che Riina fu raggiunto da una sollecitazione ad avviare un dialogo finalizzato alla cessazione delle stragi emissari dello stato e decise di raccogliere tale sollecitazione che del resto realizzava uno degli obbiettivi della guerra che aveva scatenato contro le Istituzioni. E lo dichiara, ignorando che in quell’interlocuzione erano coinvolti i carabinieri, con largo anticipo rispetto a quando filtrano le prime indiscrezioni sui contatti che gli ufficiali del Ros avevano instaurato con Vito Ciancimino.'
E come puntualmente rilevato dal primo giudice, dalla Nota a firma del Generale Mori, datata 25 gennaio 1998, indirizzata ai Comandi Provinciali dei Carabinieri di Roma e Palermo per sollecitare gli opportuni adempimenti a tutela dell’incolumità di Vito Ciancimino e dei suoi familiari prova inequivocabilmente che, fino a quando Mori e De Donno non ne parlarono espressamente e in pubblico dibattimento all’udienza del 24 gennaio 1998 del processo di Firenze sulle stragi in continente, la notizia della “trattativa” tra Ciancimino e il Ros non era affatto di dominio pubblico.
D’altra parte, l’ex sindaco di Palermo, già nell’interrogatorio reso il 17 marzo 1993, aveva dichiarato - non potendo certo immaginare che tre anni dopo Giovanni Brusca avrebbe parlato in termini analoghi di un’interlocuzione avviata tra Riina e non meglio precisati emissari delle Istituzioni – che “l’altra sponda”, cioè i vertici mafiosi, contattati attraverso il dottore Antonino Cinà, avevano accettato la proposta di avviare un dialogo che, nelle parole di De Donno, era finalizzato proprio a trovare un punto d’intesa per far cessare la violenza stragista.
E Mori e De Donno a loro volta si sono detti certi che Ciancimino non avesse mentito, nel senso che era effettivamente riuscito a contattare i vertici mafiosi come gli era stato chiesto, anche se loro stessi non lo avevano creduto capace di tanto, ancorando tale certezza non già ad una mera deduzione (come vorrebbe la difesa dell’imputato Cinà), ma ad un dato estremamente tangibile e da loro percepito con assoluta immediatezza: la reazione violenta, in un mix di ira e di paura, opposta dal Ciancimino nel sentire la proposta irricevibile che, gettando la maschera, si era determinati a fargli.
Narrazioni divergenti
Ma su un punto le due “narrazioni” sembrano divergere. Un punto che riveste particolare importanza per l’accertamento dei fatti, perché attiene alla prova che Riina non soltanto fu raggiunto dalla sollecitazione al dialogo, ma accettò la proposta di “trattativa” - in tali termini quella sollecitazione gli fu trasmessa da Ciancimino per il tramite di Cinà — avanzando una serie di specifiche richieste (il “papello” di cui parla Brusca).
Infatti, Ciancimino sul punto si è limitato a dichiarare — e a scrivere — che la trattativa si interruppe bruscamente non appena Mori alla sua richiesta di scoprire le carte e dire cosa avessero da offrire in cambio della cessazione delle stragi, rispose con un’intimazione, e cioè la consegna dei latitanti, accompagnata dall’offerta di trattare bene le famiglie dei latitanti mafiosi che si fossero consegnati alla giustizia (si tornerà in proseguo su alcune discrasie tra le versioni rese al riguardo dai tre protagonisti di quella surreale interlocuzione).
Ciancimino non ha mai parlato — o scritto — di avere ricevuto da Riina particolari istruzioni o richieste da rappresentare alla controparte, ma solo di avere ricevuto una piena delega a trattare. E comunque sul punto gli si è usata, da parte di chi lo interrogava (rectius, da parte di chi si limitò a raccoglierne le dichiarazioni) la cortesia di non insistere più di tanto per averne i dovuti chiarimenti.
Mori e De Donno invece in più sedi hanno escluso di avere mai ricevuto da Ciancimino un documento contenente richieste provenienti dai vertici di Cosa Nostra; così come hanno escluso che lo stesso Ciancimino gliene avesse mai fatto il minimo cenno. Il loro assunto è che non si arrivò neppure a discutere di possibili condizioni “negoziali”, anche perché essi non avevano avuto alcuna autorizzazione a negoziare e mai era stata loro intenzione negoziare alcunché.
Naturalmente ogni dubbio sarebbe frugato se potesse credersi all’autenticità del documento che fu consegnato da Massimo Ciancimino, a margine di uno dei tanti interrogatori, contenente un’elencazione di richieste (in effetti omogenee, almeno alcune, a quelle di cui è traccia nelle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che hanno riferito delle principali questioni che all’epoca stavano a cuore di Riina e dei Brusca, Cancemi, Giuffré, Naimo, Lipari).
Ma se non vi sono elementi che ne provino la falsità, neppure ve ne sono che comprovino la sua autenticità. Anzi, il fatto stesso che a “garantirla” sia una fonte inaffidabile come Massimo Ciancimino è un elemento che impone ex se di elevare a sospetto l’autenticità di quel documento. E Massimo Ciancimino ci ha aggiunto del suo per avvalorare il sospetto che si tratti di un artefatto, tanto contorte, involute e contraddittorie sono le dichiarazioni che ha reso su modalità e circostanze in cui sarebbe venuto in possesso del documento in questione.
C’è la prova del dialogo Cosa Nostra-Ros
In realtà, come giustamente chiosa la sentenza appellata, poco importa che Riina avesse recapitato a Ciancimino un documento del tipo di quello prodotto dal figlio Massimo; o che si fosse limitato a fargli avere precise istruzioni e indicazioni su cosa chiedere per conto di Cosa Nostra; o che le sue indicazioni siano state da altri annotate in un appunto scritto, e magari dallo stesso Vito Ciancimino, una volta edotto (dall’ambasciatore Cinà) su quali fossero i “desiderata” di Riina.
Ciò che conta, ai fini del presente giudizio, è la prova che Riina colse l’occasione che gli si era offerta dell’apertura di un canale di comunicazione con quelli che riteneva essere emissari dello stato per far sapere — e per dettare - le condizioni poste da Cosa Nostra per interrompere la campagna stragista, facendo pervenire le sue richieste a Ciancimino in risposta alla sollecitazione al dialogo proveniente dai Carabinieri. E poco importa che fossero condensate proprio nel “papello” consegnato da Massimo Ciancimino o in altro documento (mai rinvenuto) di analogo tenore; o che fossero semplicemente appuntate in un foglio o che fossero state trasmesse oralmente a Ciancimino e poi da questi annotate per iscritto anche come pro-memoria.
Ebbene quella prova, a parere di questa Corte, è stata in effetti raggiunta, attraverso un variegato coacervo di fonti e di elementi che corroborano l’attendibilità delle rivelazioni di Giovanni Brusca.
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