Diverse e qualificate fonti confermano quanto Mori fosse interessato al tema dei colloqui investigativi, tanto da farne oggetto di incontri e interlocuzioni con diversi esponenti istituzionali: non solo con Di Maggio, ma anche, e prima ancora, con Liliana Ferraro. Del resto, questo strumento faceva parte della cultura investigativa di vecchia scuola di cui Mori, a dire del prof. Arlacchi, era convinto interprete...
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci delle motivazioni della sentenza di secondo grado del processo sulla trattativa stato-mafia.
Diverse e qualificate fonti confermano quanto Mori fosse interessato al tema dei colloqui investigativi, tanto da farne oggetto di incontri e interlocuzioni con diversi esponenti istituzionali: non solo con Di Maggio, ma anche, e prima ancora, con Liliana Ferraro, che infatti aveva la delega del ministro per le autorizzazioni ai colloqui investigati (per detenuti o internati, nonché imputati, mentre per gli indagati la competenza era del pubblico ministero) e che, già al processo Mori/Obinu aveva confermato di avere ricevuto sollecitazioni, in particolare dal Ros (ma mai da Di Maggio), nel senso di un allargamento della sfera dei possibili delegati ai colloqui.
Del resto, questo strumento, molto più di quello costituito da una formale collaborazione con la giustizia, faceva parte della cultura investigativa di vecchia scuola di cui Mori, a dire del Prof. Arlacchi, era convinto interprete e che puntava sull’apporto dei confidenti e quindi sull’attivazione di sempre nuove fonti confidenziali che consentissero di acquisire notizie aggiornate dall’interno delle organizzazioni mafiose, grazie alle soffiate di chi ne faceva ancora parte.
Ma già dalla testimonianza di Ganzer, che pure è attento a rimarcare come lo il Ros ricorresse a questo strumento con le dovute autorizzazioni (lui stesso cita ad esempio il colloquio investigativo da lui avuto con Salvatore Biondino al carcere di Pianosa, previa rituale autorizzazione), trapela come l’interesse a sfruttare le potenzialità dei colloqui investigativi non andasse disgiunto da quello di ampliarne la fattibilità oltre i limiti imposti dall’art. 18 bis.
Ganzer e Mori, infatti, nel rivolgere proprio a di Di Maggio la richiesta di segnalare in anticipo eventuali segnali di cedimento di detenuti al 41 bis, contavano sul fatto che questi avesse attivato propri sensori che lo mettessero in condizione di captare quei segnali e quindi di informarne il Ros, nella persona di Mori o dello stesso Ganzer (e già una simile prassi sarebbe stata di dubbia compatibilità con il rispetto delle competenze e dei doveri di un alto dirigente del Dap). E questa aspettativa collimava con il progetto che Di Maggio aveva in niente, secondo quanto riferito, da Morini, di dare vita ad una rete di intelligence interna alle carceri, in cui, essendo la raccolta di informazioni di interesse investigativo l’obbiettivo principale, la captazione della disponibilità di qualche detenuto a collaborare con gli inquirenti si integrava con lo sviluppo successivo costituito dalla prassi di colloqui investigativi.
Una prassi che però per funzionare nella logica dell’attivazione di una rete di fonti confidenziali dovevano lasciare meno tracce possibili e quindi passare attraverso la collaborazione diretta dei direttori dei penitenziari rimanendo però all’interno del sistema carcerario.
Sono i colloqui investigativi un po‘ sconsiderati, cioè praeter legem, di cui ha parlato appunto Loris D'Ambrosio, riferendosi ad una prassi vista con favore da una certa cordata istituzionale della quale avrebbero fatto parte Mori e Di Maggio propensa ad un uso flessibile del 41 bis, in funzione dell’instaurazione di rapporti confidenziali.
Protocollo FARFALLA
E quanto questo disegno sollecitasse l’interesse di Mori lo dimostra la vicenda del c.d. “Protocollo Farfalla”, che prenderà corpo, tra il 2003 e il 2004, sulla base di accordi intercorsi tra Mori, n.q. di direttore del Sisde, e Tinebra, quale Direttore Generale del Dap (con la “complicità” del dott. Leopardi, preposto all’Ufficio Ispettivo del Dipartimento) e che costituì il tentativo più compiuto di dare concreta realizzazione al progetto che dieci anni prima Di Maggio aveva adombrato, facendone verosimilmente oggetto di promettenti interlocuzioni con Mori (che però non ebbero poi ulteriori sviluppi perché Di Maggio, dopo burrascosi contrasti con il nuovo ministro Biondi, fu prima emarginato - e si limitò a collaborare con la Ferraro all’organizzazione del Convegno Onu sul Crimine organizzato tenutosi a Napoli nel novembre del 1994 a dire di Ganzer - e poi lasciò il Dipartimento, nel novembre del 1994 l)
Al riguardo, all’udienza del 12.05.2017. Felice Ierfone ha riferito di avere personalmente curato l’operazione Farfalla, dopo che era transitato tra i ranghi del Sisde. L’operazione prevedeva il reclutamento di detenuti sottoposto al 41 bis come terminali di una rete destinata a raccogliere informazioni all’interno delle carceri su possibili propositi e progetti di destabilizzazione che potessero involgere questioni di sicurezza nazionale, e da qui l’interesse del Servizio. C’erano state agitazioni e manifestazioni di protesta all’interno delle carceri, e alcune clamorose esternazioni (ndr. di Bagarella e di Aglieri, ma quest’ultimo sul terna della dissociazione), anche con toni di minaccia all’indirizzo di avvocati dei boss.
L’operazione fu avviata a partire dal 2002 sulla base di accordi tra il vertice del Dap, nella persona del dott. Tinebra e il Direttore del Servizio, il generale Mori. Questi accordi non furono mai consacrati in documenti ufficiali anche se agli archivi del Servizio figurano diversi documenti classificati sull’operazione.
Il teste è apparso a disagio quando gli è stato chiesto se talvolta i documenti che venivano trasmessi dall’interno del Dap sui contatti o sulle informazioni acquisite presso i detenuti, o sul loro “profilo”, venissero distrutti e non conservati negli archivi del Servizio: in sostanza non lo esclude.
Ha confermato poi che lii bypassato il dirigente del Dap che avrebbe avuto competenza specifica (si trattava anche di autorizzare tra l’altro contatti e colloqui tra agenti del Servizio e detenuti al 41 bis), e cioè il dott. Sebastiano Ardita, e che il suo referente diretto all’interno del Dap fu piuttosto il dott. Leopardi che in effetti era a capo dell’Ufficio Ispezioni e Controlli dello stesso Dap. Fu redatta una lista di detenuti al 41 bis per i quali si ventilava la possibilità di inserirli nel programma (tra loro c’era anche Di Giacomo Giuseppe). Era previsto anche un compenso in denaro, ma da erogare senza passare attraverso funzionari del Dap.
Fu aperto un procedimento penale istruito forse nel 2007 dalla procura di Roma ma conclusosi con un’archiviazione. Nessun funzionario del Servizio per quanto a sua conoscenza fu indagato. Lui stesso (Ierfone) fu sentito dalla procura di Roma e poi anche dal Copasir.
Un documento riservatissimo
Tra gli atti acquisiti figurano un documento con classificazione originaria riservato, datato 24 maggio 2004 e avente ad oggetto “Settore carcerario mafioso. Operazione “Farfalla”. Pianificazione”, che riassume il contenuto e le linee programmatiche dell’Operazione convenzionalmente denominata Farfalla.
Premesso che «nel contesto dell’attività informativa sviluppata in direzione del “carcerario” mafioso era stata a sito tempo pianificata un‘attività d‘intelligence finalizzata a realizzare un‘articolata penetrazione informativa “intramuraria”, supportata — sulla base di riservati moduli di raccordo — da concomitante azione del Dap, attraverso l’ingaggio di preindividuati detenuti appartenenti alle maggiori strutture criminali autoctone», il documento illustra poi in dettaglio “le linee di gestione operativa dei sottoelencati detenuti che, in esito ad una mirata strategia di “approccio” (avviata sin dal settembre dello scorso anno), si sono resi disponibili a garantire un flusso informativo di natura fiduciaria di tematiche di specifico interesse istituzionale, a fronte di un idoneo compenso da definire”, precisando che le linee di gestione operativa predette erano state definite nel corso di appositi contatti con dirigente del Dipartimento dell‘Amministrazione Penitenziaria.
Si raccomandavano poi sotto il profilo operativo e considerato lo stato di detenzione degli interessati, «modalità digestione “peculiari”, necessariamente ‘‘intermediate” da personale del Dap responsabile dello sviluppo dei contatti, nel quadro di una programmazione strategica di competenza del Servizio, volta a determinare priorità di intervento e finalità d‘impiego di ogni singolo fiduciario (nell’ottica di ottimizzarne progressivamente l‘efficienza e l‘efficacia) ed a garantire il controllo delle informazioni assunte (verifica di attendibilità ed affidabilità della fonte) e dell’operazione (sicurezza soggettiva e di contesto)».
Tra le linee guida dello sviluppo dell’operazione si erano concordati la gestione finanziaria a carico del Servizio e il criterio della remunerazione della produzione “a ragion veduta”, in funzione della qualità delle informazioni e del conseguimento di risultati info-operativi strettamente rientranti tra gli obbiettivi istituzionali; ed inoltre, una pianificazione dell’attività di ricerca informativa calibrata in base alle presunte potenzialità dei singoli fiduciari e comunque funzionalizzate alla penetrazione delle strutture criminali di appartenenza (con particolare riguardo a: strategie delittuose, interessi economico-finanziari, localizzazione di latitanti, individuazione di soggetti di vertice, equilibri interni e dinamiche relazionali esterne), al monitoraggio dei circuiti carcerari di interesse e in progressione, ad avvenuto consolidamento del rapporto — all‘attuazione di progetti di intelligence di più ampio respiro»: frase che allude alla possibilità di un salto di qualità nelle regole di ingaggio, ma al contempo proietta ombre inquietanti sull’asservimento delle risorse così reclutate per progetti di intelligence di più ampio respiro.
E’ stato acquisito poi un altro documento riservato, datato 23luglio 2004, indirizzato all’attenzione del Direttore del Servizio (cioè di Mario Mori) avente ad oggetto: “Settore carcerario mafioso. Progetto Farfalla. Situazione”, che, nei riprendere i contenuti del precedente elaborato, fa il punto della situazione, segnalando che lo sviluppo dell’operazione aveva consentito la redazione di appunti informativi che erano stati trasmessi l’uno al ministero della Giustizia (in data 25.06.2003) e l’altro ai Ministeri dell’Interno e della Giustizia (in data 16.07.2004).
[…] Il documento riscuoteva l’assenso del Direttore, come si evince dall’annotazione manoscritta su foglio intestato al “Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Democratica - Ufficio del Direttore”, e datata “24.7.04”, unitamente alla raccomandazione di “continui e puntuali raccordi con la dirigenza del Dap”. Nonostante i costanti richiami alla necessità di raccordarsi con la Dirigenza ed il personale del Dap, ed anzi proprio per questa ragione, ve n’è abbastanza per giustificare i pesanti apprezzamenti formulati dal dott. Ardita sui profili di illegittimità del Protocollo Farfalla.
Anzitutto, per lo stravolgimento dei principi che regolano l’ordinamento penitenziario a causa della contaminazione che ne scaturiva tra le attività e le finalità d’istituto del personale del Dap e le finalità di stretta intelligence e di esclusivo appannaggio del Servizio cui l’operazione era asservita, al di fuori di qualsiasi controllo dell’A.g. e restando quindi opaco l’uso delle informazioni raccolte: […].
Inoltre, il ricorso a fonti confidenziale ingaggiate dietro remunerazione non prometteva nulla di buono sotto il profilo dell’attendibilità e della genuinità delle informazioni raccolte (“si tratterebbe di una prassi totalmente illegale dal punto di vista dell’ordinamento penitenziario, ecco, io a quello mi riferisco, sarebbe una prassi che non solo va ad incidere sui colloqui investigativi, ma addirittura potenzialmente può creare un inquinamento.
Allora rifacendosi all’esempio di poc’anzi, se una persona diciamo... A una persona vengono rivolte domande prima che collabori con la giustizia e poi viene dato un contributo economico, magari connette le due cose e ritiene che la risposta a quella domanda sia l’effetto del contributo, questa è una cosa assolutamente diciamo... Rappresenta un pericolo, ecco, un pericolo grave. mi auguro che non sia mai successo, che non sia mai accaduto un contatto del genere. Per quello che mi riguarda e che so, ritengo che non sia accaduto, ma diciamo che... Mi auguro sinceramente che non sia accaduto”).
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