Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci delle motivazioni della sentenza di secondo grado del processo sulla trattativa stato-mafia.


Il punto di frizione tra la versione rettificata proposta da Brusca per gli incontri con Riina vertenti sulla vicenda del papello e le vecchie e nuove risultanze in ordine ai contatti tra Vito Ciancimino e gli ufficiali del Ros nella sua prima fase - e cioè quella sfociata nella proposta da recapitare ai vertici mafiosi di avviare un dialogo - attiene ai tempi di svolgimento della trattativa; o, più esattamente, al momento in cui si può ritenere che Riina abbia avuto contezza del fatto che uomini dello Stato si era fatti sotto per trattare. E, a cascata, se e, in caso affermativo, quando fece avere ai suoi interlocutori istituzionali, o quanto meno a Ciancimino perché li recapitasse ai destinatari, le richieste compendiate nel famoso “papello”.

La proposta di trattativa o di sondare la disponibilità ad intavolare un negoziato, che fu avanzata esplicitamente da Mori, poteva essere presa in considerazione da Ciancimino solo se avesse avuto l’avallo di un autorità superiore a quella di un capitano dei carabinieri (come il comandante del Ros, poiché Mori non mancò di fare sapere a Ciancimino che Subranni era il suo superiore e che gli avrebbe portato i suoi saluti, con ciò lasciando chiaramente intendere che la sua iniziativa era o sarebbe stata condivisa dal Comandante del Ros).

Ecco perché, dopo avere accettato o addirittura dopo essere stato lui stesso a sollecitare a De Donno la partecipazione diretta di Mori ai loro colloqui, Ciancimino pretese altresì di poter fare i loro nomi a quella che apostrofava come “l’altra sponda”.

Ed ecco perché diventa decisivo stabilire il momento della discesa in campo di Mori per rivolgere a Vito Ciancimino l’invito a fare avere ai vertici mafiosi [...] la sollecitazione ad avviare un dialogo finalizzato a fare cessare le stragi: e, conseguentemente, potere stabilire se Riina ne abbia potuto esserne informato prima della strage di via D’Amelio.

E qui deve convenirsi con il rilievo formulato nella sentenza impugnata, che segnala come i tre protagonisti di quei contatti abbiano fatto a gara per spostare in avanti quel momento, allontanandolo in particolare dalla strage di via D’Amelio, sia pure con un taglio diverso. Infatti, sia Ciancimino che De Donno sembrano attribuire un rilievo dirompente a quel tragico evento, che avrebbe indotto De Donno a forzare i tempi e la mano a Ciancimino - chiedendogli se fosse disposto a incontrare Mori, per alzare il livello della loro interlocuzione e della posta in palo — e avrebbe indotto Ciancimino, per l’orrore che gli aveva suscitato, ad accettare di ricevere il De Donno (25 agosto) per sentire cosa intendesse proporgli e subito dopo ad incontrare Mori (1° settembre), con quel che ne segui. Mentre Mori glissa completamente su quell’evento.

Tutte le fonti esterne al terzetto predetto, che la sentenza si preoccupa di compulsare per trarne riscontri utili a comprovare anche i tempi di svolgimento della trattativa intrapresa attraverso i contatti con Vito Ciancimino, non dicono nulla o non forniscono elementi che possano dare certezza di una diversa datazione, tale da spostare indietro nel tempo, e in particolare al periodo compreso tra la strage di via Capaci e la strage di via D’Amelio, il momento topico di quella trattativa.

A parte Massimo Ciancimino, che per la sua inaffidabilità non può far testo, e le testimonianze di Liliana Ferraro e di Fernanda Contri, di cui si è già fatto cenno, vanno riesaminate al riguardo le dichiarazioni di Cancemi e Giuffré; nonché le testimonianze dell’avv. Giorgio Ghiron e di Giovanni Ciancimino. Mentre, per le ragioni illustrate dallo stesso giudice di prime cure, non può far testo la

deposizione dell’altro figlio, parimenti avvocato, Roberto Ciancimino perché della vicenda sarebbe venuto a conoscenza, per avergliene parlato suo padre, la prima volta, solo nel mese di settembre, ovvero circa due mesi dopo la strage di via D’Amelio. Sicché Roberto Ciancimino può solo confermare che a quella data — cioè a settembre — un’ipotetica trattativa fosse già pendente e in fase avanzata.

Le dichiarazioni di Antonino Giuffré

Corroborano la prova che Riina fu informato della sollecitazione proveniente da uomini dello Stato a “trattare” e autorizzò tale trattativa, ossia autorizzò Ciancimino a sentire cosa avessero da chiedere i carabinieri e a farsi latore della sua risposta. Tale prova si ricaverebbe già dalle dichiarazioni di Brusca e Cancemi, ma inevitabilmente soffrirebbe delle criticità che investono l’attendibilità delle loro propalazioni, se ad esse non si aggiungesse il puntello di un’autorevole conferma qual è quella proveniente dal Giuffré. Riina viene informato dell’invito a far conoscere le sue richieste (e quindi viene informato solo dopo che Ciancimino ha avuto da Mori in persona la conferma della ragione per la quale lo avevano contattato), e autorizza Ciancimino a “trattare”, cioè a farsi latore della sua risposta e ad attendere un riscontro dalla controparte. Ma il dubbio e il cruccio di Giuffré, stando al suo racconto, era che Ciancimino avesse di propria iniziativa avviato contatti con i carabinieri, ovvero avesse accettato di incontrarli (anche più volte) senza esserne previamente autorizzato. E Provenzano, stando sempre al racconto dell’ex boss di Caccamo, avrebbe fugato tale dubbio e la conseguente preoccupazione del Giuffré, dicendogli appunto che quei contatti erano stati autorizzati e che Ciancimino stava trattando con i carabinieri perché era in missione per conto di Cosa nostra […]. In ogni caso, le dichiarazioni di Giuffré nulla dicono in ordine ai contenuti dell’interlocuzione avviata attraverso i contatti di Ciancimino, debitamente autorizzati, con i carabinieri; né consentono di stabilire a quale stadio del suo sviluppo fosse giunta la “trattativa”. Ma, giusta l’ipotesi adombrata sulla probabile dislocazione temporale della confidenza fatta da Provenzano, se ne dovrebbe inferire che Provenzano fosse convinto che la missione di Ciancimino non era finita, ma era ancora — a marzo del 1993 - in pieno svolgimento, nonostante che, nel frattempo, fosse intervenuta la cattura di Riina. E quindi è lecito dubitare, già per la portata dirompente di un evento che sconvolgeva gli scenari precedenti, che la missione predetta si identificasse con quella a suo tempo autorizzata da Riina.

I “ tempi” di Cancemi

Colloca a giugno del 1992 e qualche settimana dopo la strage di via Capaci l’episodio della riunione ristretta di Riina alla villa di Guddo con alcuni capi tra quelli a lui più vicini (Biondino e Raffaele Ganci) nel corso della quale Riina sventolò un foglietto in cui erano appuntate una serie di questioni, invitando i presenti ad aggiungere eventuali loro richieste; e diede ampie rassicurazioni che sarebbero andate a buon fine, perché sarebbero state recapitate a persone degne della massima fiducia (Berlusconi e Dell'Utri) che si sarebbero fatto carico di farle accogliere. La prima volta ne parla nell’interrogatorio reso alle procure di PA e CL il 23 aprile 1998 (v. pag.1573-1574 della sentenza); e poi lo ripeterà in pubblica udienza al Borsellino bis, udienza 4.04.2001.

Al dibattimento di I grado del processo sulla strage di Capaci (udienze del 19 e 20.04.1996) Cancemi ammette di avere avuto colloqui informali con il Mar. Scibilia e altri carabinieri del Ros, proprio nel periodo più travagliato del suo sofferto percorso collaborativo. In particolare, a Scibilia avrebbe confidato che c’erano delle cose che ancora non aveva detto e intendeva rivelare ai giudici (cfr. pag. 66 del verbale udienza del 20.04.1996).

Non è allora azzardato ipotizzare che Cancemi si sia deciso a rievocare l’episodio della sollecitazione di Riina ad aggiungere eventuali ulteriori richieste a quelle che lui aveva già annotate — per farle avere a chi, suo dire, sarebbe stato in grado di farle accogliere — non solo per le remore a fare i nomi di Berlusconi e Dell'Utri come terminali delle rivendicazioni di Cosa nostra, ma anche perché della trattativa avevano riferito in pubblica udienza, appena pochi mesi prima e cioè nel gennaio del 1998, Giovanni Brusca e gli ufficiali del Ros, cioè del reparto che, surrogando il servizio centrale di protezione, gestiva di fatto la sicurezza del Cancemi.

Questi si sentiva quindi affrancato da ogni remora a fare rivelazioni che potessero risultare imbarazzanti o compromettenti per i suoi “tutori”.

Ma, detto questo, è evidente che la trattativa che, sia pure con dichiarazioni tardive e non immuni dal sospetto di contaminazione con conoscenze acquisita nel frattempo dalle cronache di altri processi, Cancemi lascia intravedere, è distonica rispetto a quella desumibile dal “combinato disposto” delle rivelazioni di Brusca sul papello e di quelle di Mori e De Donno, unitamente alle dichiarazioni di Vito Ciancimino sui contatti intrapresi nei giorni o nelle settimane successive alla strage di Capaci. Diverse gli intermediari, diversi gli ipotetici terminali e nessun cenno ad un possibile ruolo di Vito Ciancimino; e diversa era anche la cornice strategica delle stragi, perché, a dire di Cancemi, attraverso queste azioni il Riina voleva sfiduciare coloro che all’epoca erano in sella; e si riprometteva di portare al potere Berlusconi e Dell'Utri, risultato questo che avrebbe rappresentato un bene per tutta Cosa nostra.

In sostanza, secondo la lettura di Brusca le stragi avrebbero costretto lo stato a venire a patti, sia pure creando le premesse per nuovi scenari politici: secondo la lettura di Cancemi, invece, le stragi dovevano servire a destabilizzare il quadro politico e istituzionale per favorire l’ascesa al potere di nuove forze nuovi soggetti che si sarebbero fatto carico di realizzare quelle riforme che stavano a cuore ai mafiosi; e da questi stessi soggetti sarebbe venuta non già la sollecitazione ad avviare un dialogo per far cessare le stragi, ma al contrario un input o un incoraggiamento ad attuare la strategia stragista per raggiungere i rispetti obbiettivi. […].

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