Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci delle motivazioni della sentenza di secondo grado del processo sulla trattativa stato-mafia.


Stupisce però che lo stesso procuratore e il sostituto che procedeva con lui all’interrogatorio non abbiano avvertito la necessità, nel corso del medesimo atto, di approfondire o esplicitare alcuni passaggi dell’inedito (per loro) racconto di Ciancimino, a partire proprio dal suo incipit (“Avevo avuto al capitano De Donno varie sollecitazioni per iniziative comuni”), per non parlare del “piano” che a dire del sedicente collaborante lui stesso avrebbe prospettato inizialmente ai carabinieri - che lo avrebbero accettato - prima che sopravvenisse l’irricevibile proposta, e cioè quello di cercare un contatto per collaborare con i carabinieri.

E sarebbe stato decisamente opportuno chiedere chiarimenti, ai due ufficiali del Ros., in separata sede, almeno per la parte che più specificamente concerneva le finalità della loro iniziativa e l’effettivo tenore della proposta inizialmente rivolta al potenziale confidente, che, giustamente, l’aveva intesa come sollecitazione a stabilire un contatto con i vertici mafiosi per verificarne la disponibilità ad aprire un fronte di dialogo che facesse cessare quel muro contro muro — e cioè la strategia di contrapposizione frontale tra la mafia e lo stato che minacciava di mietere ulteriori vittime, in un escalation di violenza stragista.

Ed ancora, chiarimenti sarebbero stati opportuni per spiegare il brusco cambio di registro della trattativa intrapresa con Ciancimino, con la formulazione, da parte di Mori e De Donno di quella proposta che fece impallidire e infuriare (almeno sulle prime) lo stesso Ciancimino, determinando una presunta, repentina rottura dei contatti, che in realtà non vi fu mai, come s’è visto a proposito degli incontri effettuati da Mori con Liliana Ferraro e con l’on. Violante proprio nei giorni dell’assenta rottura.

E per accertare se fosse vero che gli stessi carabinieri avevano accettato la nuova proposta di collaborazione avanzata da Ciancimino dopo aver maturato la decisione di passare il Rubicone, che prevedeva il suo inserimento nell’organizzazione mafiosa, ma a vantaggio dello stato; e contemplava altresì, per poter svolgere tale incarico, il rilascio del passaporto, che Ciancimino avrebbe richiesto per le vie normali. Ed anche questo punto del piano, secondo la versione dell’aspirante “infiltrato” per conto dello stato, sarebbe stato accettato dai carabinieri.

I quali, dal canto loro, si guardarono bene dall’informare il procuratore Caselli di avere effettivamente perorato l’interesse di Ciancimino ad ottenere il passaporto, veicolando questa sua esigenza alla Ferraro e così innescando la furibonda reazione del ministro Martelli sfociata in una vibrante sollecitazione al procuratore Siclari per stroncare l’intraprendenza — e l’impudenza, dal suo punto di vista – del Ros.: retroscena dei quali per quanto consta il procuratore Caselli e la procura di Palermo in generale non furono mai messi al corrente.

Dispiace poi dover constatare che, nel ricostruire la vicenda dei rapporti instaurati dai carabinieri del Ros. con Vito Ciancimino a partire dalle dichiarazioni dello stesso Ciancimino, tutto quello che poteva essere fatto per inquinare (oggettivamente e non certo intenzionalmente, si capisce) una fonte dichiarativa già inquinata ed inquinante di suo — se è vero quanto asserito dallo stesso Caselli che anche dinanzi a questa Corte lo ha dipinto come un dichiarante viscido, sfuggente e inaffidabile, per non parlare del severo apprezzamento espresso dall’on. Violante — è stato fatto.

Gli interrogatori susseguitisi a partire da quello del 27 gennaio 1992 sono stati quasi tutti sempre presidiati da Mori e De Donno, presenti, in particolare agli unici interrogatori in cui si è parlato o fatto cenno dei contatti intrapresi (così per l’interrogatorio del 3 marzo 1993, nel quale si è però solo preannunciato che sarebbero state messe a verbale le dichiarazioni di Ciancimino al riguardo; e per l’interrogatorio del 17 marzo 1993, e segnatamente quello assunto di mattina, come da verbale delle ore 09:30, presente il solo De Donno). E la serie dei primi interrogatori era stata preceduta da un colloquio investigativo, che è stato anche documentalmente provato, effettuato in data 22 gennaio 1992.

Stando poi a quanto dichiarato da Liliana Ferraro in occasione della sua audizione dinanzi alla Commissione Antimafia nel febbraio del 2010, ve ne sarebbero stati altri ma sotto controllo dell’A.g. competente, e cioè la procura di Palermo. Circostanza che è stata ammessa da De Donno al processo Mori/Obinu, nel senso che al primo colloquio, datato 22 gennaio 1992, ne seguirono molti altri, non ricorda quanti, sia nel 1993 che l’anno successivo, ma tutti autorizzati sempre dalla procura di Palermo.

La presenza di Mori e De Donno agli interrogatori di Ciancimino ben poteva essere giustificata da esigenze investigative, anche se nessuno ha mai spiegato quali fossero tali esigenze e perché richiedessero una presenza così assidua.

Interrogatori anomali

Ma il dato più inquietante è un altro.

Gli interrogatori in questione, e in particolare proprio quello del 17 marzo, sono consistiti in una sorta di monologo del dichiarante al quale si è consentito di dare sostanzialmente lettura di appunti da lui stesso predisposti — e che sono stati poi acquisiti per essere allegati ai verbali in fotocopia — e che sono stati poi sequestrati unitamente a tutto il materiale cartaceo rinvenuto nella cella occupata da Ciancimino a Rebibbia, in esito alla perquisizione del 6 giugno 1996.

Dal verbale dell’interrogatorio del 17 marzo, che pure era stato sollecitato dallo stesso Ciancimino attraverso il suo difensore, avv. Ghiron, si evince che in effetti per larga parte dell’atto istruttorio, l’imputato si è limitato a rendere dichiarazioni spontanee e i verbalizzanti a prenderne atto. Solo dopo tre ore di soliloquio, i verbalizzanti danno un timido segno di vitalità: “A questo punto alle ore 12:20 si allontana per sopraggiunte esigenze professionali l‘avv. Giorgio Ghiron.

Anzi, si dà atto che prima dell‘allontanamento dell ‘avv. Ghiron l‘Ufficio comunica a Vito Ciancimino il proposito di formulare domande a precisazione ed integrazione delle dichiarazioni spontanee appena rese, nonché il proposito di formulare domande a proposito degli omicidi Dalla Chiesa, La Torre e Mattarella. Tanto nell‘ottica del verbale del 10/03/1993 laddove lo stesso Vito Ciancimino e il suo difensore avevano fatto riferimento a collaborazione rilevante ai sensi di legge”.

In particolare, “l‘Ufficio chiede al signor Ciancimino di fare il nome dell’interlocutore intermediario”. E sarà questa l’unica domanda che l’Ufficio avrà l’ardire di porre e alla quale l’interrogato si degnerà di rispondere dopo essersi consultato con il proprio difensore. Dopodiché riprenderà sino alla fine dell’atto istruttorio a rendere spontanee dichiarazioni, anche sui temi sui quali l’Ufficio aveva preannunciato il proposito di formulare domande, per poi rinunciare sommessamente a darvi corso.

Identica impostazione avrà anche il successivo “interrogatorio” del 31 marzo, in cui figura un fugace, ma, va anticipato, rilevantissimo cenno alla collaborazione intrapresa con i carabinieri, premendo al dichiarante - in relazione alle notizie di stampa che nei giorni precedenti avevano rivelato come egli stesse collaborando con l’A.g., pubblicando persino parte del contenuto dei verbali degli interrogatori già resi - «che sia falla assoluta chiarezza, rivelando che fin al 25/08/1992 (“prima di essere arrestato”), senza sollecitazioni avevo deciso di collaborare coi: i carabinieri e ritengo che di ciò debbano essere informati il Capo dello stato, 11 Presidente del Consiglio dei Ministri, il ministro degli Interni e il ministro di Grazia e Giustizia». Ebbene, anche in questo caso, l’atto istruttorio è consistito nel consentire a Ciancimino di sciorinare, mediante lettura dei suoi appunti manoscritti, dichiarazioni spontanee, come s’evince dall’incipit del verbale [...].

Ma c’è di più. In un successivo interrogatorio reso da Vito Ciancimino in data 3.06.1996 (ossia quello che diede luogo alla perquisizione della sua cella) il dichiarante, nel riproporre un sintetico resoconto dei suoi pregressi contatti con gli ufficiali del Ros. di cui aveva già parlato in precedenti interrogatori (in realtà solo uno, quello del 17.03.1993, delle ore 09:30), intercala frequentemente frasi che denotano come egli più che consultare leggesse gli appunti redatti a suo tempo e ancora in suo possesso (“ho letto qua” “o ho letto sono pronto ad andare avanti...”, “io per ora sto leggendo”). A pag. 12 del verbale integrale, l’Ufficio dà atto che, dopo una breve interruzione per un lieve malessere del dichiarante, questi proseguiva la lettura dei suoi appunti (“a questo punto alle ore 12:15 il signor Ciancimino, ripresosi dal lieve malessere dichiara di essere pronto a ricominciare e si dà inizio ancora alla, si continua la lettura dei suoi appunti. Prego”).

Ad un certo punto, lo stesso dichiarante si lascia scappare che «io non sono un bugiardo, io tutto quello che avevo.. ..l’avevo scritto pure con i carabinieri, oltre scritto e l’abbiamo dettato...tutto io a mano l’ho scritto»: frase che conserva un margine di ambiguità (nell’inciso “l’abbiamo dettato”), ma che fa intendere che, se la fonte a cui Ciancimino attingeva la sua narrazione era costituita da appunti scritti di suo pugno, quegli appunti li aveva scritti insieme ai carabinieri, o addirittura sotto dettatura. E anche se l’inciso “oltre scritto, l’abbiamo dettato” alludesse alla verbalizzazione in sede di interrogatorio, resterebbe indelebile un implicito riferimento al fatto che la verbalizzazione rispecchiava fedelmente gli appunti preconfezionati insieme ai carabinieri.

Nessuno chiede spiegazioni al Ros

In pratica, al capitano De Donno e all’allora colonnello Mori non furono chieste spiegazioni e chiarimenti e tanto meno furono invitati a redigere una relazione di servizio sulla vicenda dei contatti intrapresi con Ciancimino, all’insaputa dell’A.G. prima e dopo il suo arresto. E lo stesso Ciancimino di fatto non è mai stato interrogato su tale vicenda, limitandosi a rendere dichiarazioni spontanee, consiste peraltro nel dare lettura di appunti preconfezionati. Quando si è presentata l’occasione di tornare, in successivi atti istruttori, su quella vicenda, Ciancimino si è di fatto tirato indietro.

Lo ha fatto platealmente, avvalendosi della facoltà di non rispondere - in quanto doveva essere sentito nella veste di imputato di reato connesso - quando venne citato su richiesta dei difensori di Riina e Graviano. imputati nel processo sulle stragi in continente all’udienza del 13.10.1999, dinanzi alla Corte d’Assise di Firenze, nel processo nr. 13/96 a carico di Graviano Giuseppe+3.

Eppure, gli si chiedeva solo di riferire sui contatti avuti con il Gen.le Mori e con il capitano De Donno nell’estate del 1992, così come già riferiti, questi contatti, dallo stesso generale Mori e dal capitano De Donno di fronte alla Corte d’Assise di Firenze in un processo connesso al presente, nonché in data 24gennaio 1998. Ciancimino in tale occasione avrebbe potuto riportarsi alle sue precedenti dichiarazioni, ma ha preferito sottrarsi, come del resto aveva sempre fatto fino a quel momento, al rischio di un vero interrogatorio/esame sulla vicenda; e in particolare al rischio di contraddire la versione di Mori e De Donno, o di far risaltare innegabili differenze già riscontrabili tra le sue prime dichiarazioni e la ricostruzione offerta dai due Ufficiali del Ros. Al dibattimento del processo fiorentino sulle stragi in continente.

E si trincerò dietro la formula di non avere altro da aggiungere rispetto a quanto già dichiarato all’autorità giudiziaria di Palermo, allorché, nel corso dell’interrogatorio del 3 aprile 1998 dinanzi ai pubblici ministeri di Firenze, Palermo e Caltanissetta fu sollecitato, preliminarmente, dai verbalizzanti a dire se avesse nulla da aggiungere (in ordine a quanto dichiarato in precedenza all’A.g. di Palermo), «anche con riferimento alle recenti notizie diffuse da organi di stampa circa le dichiarazioni di Giovanni Brusca, del generale Mori e del capitano Giuseppe De Donno».

Ma quando, nel prosieguo dell’interrogatorio, si torna al tema delle notizie di stampa diffuse sul suo arresto - che lo stesso Ciancimino ha voluto rettificare, segnalando che era falso che fosse stato arrestato per un residuo pena da scontare, perché la verità era che l’arresto lii motivato in relazione al ritenuto pericolo di fuga ricollegato alla mia richiesta del rilascio del passaporto, richiesta che però, ha tenuto a sottolineare, veniva concordata con i carabinieri — l’ufficio esibisce il verbale dell’interrogatorio del 17 marzo 1993 (quello delle ore 09:30), che Ciancimino inizia a leggere.

Ma dal verbale (quello del 3 aprile ‘98) risulta che “dopo la lettura di alcune pagine, il Ciancimino fa presente che si è stancato, tanto che non riesce a percepire nemmeno il significato di quello che legge e pertanto non si sente nelle condizioni di proseguire l’interrogatorio a causa cli un sopraggiunto malessere fisico e mentale”.

Insomma, neppure in questa occasione è stato possibile porre domande o richiedere chiarimenti o approfondire aspetti della vicenda che avrebbero richiesto ben altra attenzione, anche alla luce di quanto dichiarato pochi mesi prima e in pubblico dibattimento dal generale Mori e dal capitano De Donno, oltre alle rivelazioni di Giovanni Brusca.

A parziale giustificazione dell’inerzia dell’Ufficio requirente, e del plateale disinteresse del procuratore Caselli ad approfondire la vicenda dei contatti informali e dei colloqui riservati (o se si preferisce “clandestini”) avuti da Ciancimino con i carabinieri del Ros., può addursi l’essersi lo stesso dott. Caselli sempre attenuto, come ha dichiarato dinanzi a questa Corte, ad una sorta di regola aurea di condotta nei suoi rapporti con gli organi di polizia giudiziaria: la regola in forza della quale egli non interferiva nella gestione di una fonte confidenziale che restava appannaggio esclusivo dell’organo di polizia che la gestiva.

D’altra parte, che Ciancimino fosse stato o avrebbe potuto diventare una fonte confidenziale dei carabinieri era, sempre per quanto l’ex procuratore ha dichiarato in questa sede, una questione ornai definitivamente chiusa, poiché, a partire dal momento in cui era stato consegnato alle patrie galere, Ciancimino non poteva più ricoprire il ruolo di confidente, ammesso che lo fosse mai stato quando ancora era in libertà. Né il procuratore Caselli o altri magistrati del suo Ufficio furono messi al corrente dei contatti riservati che gli stessi carabinieri del Ros. avevano avuto, contestualmente a quelli avviati con Ciancimino, con esponenti qualificati dei vertici istituzionali dell’epoca, e del fatto che quell’iniziativa fosse stata — ai medesimi esponenti istituzionali - additata come una delle più importanti operazioni messe in campo per contrastare la violenza mafiosa e porre fine alle stragi.

Resta il fatto che sarebbe stato opportuno un report più accurato sui contenuti salienti di un’operazione che si era trascinata per circa sei mesi, passando attraverso un numero imprecisato di incontri e di colloqui tra Ciancimino e i carabinieri del Ros., ma anche attraverso spostamenti dello stesso Ciancimino dalla sua residenza romana fino a Palermo, per reiterati contatti con il suo diretto referente (identificato nella persona del dott. Antonino Cinà), che a sua volta si sarebbe interfacciato con esponenti di vertice dell’organizzazione mafiosa, avendone la possibilità ed essendo lo stesso Ciancimino, evidentemente, consapevole ditale possibilità.

E infatti doveva pensarla così il procuratore di Firenze Pierluigi Vigna, che, nel quadro delle indagini condotte dal suo Ufficio sulle stragi in continente, ebbe a richiedere alla procura di Palermo che gli venisse inviata copia degli interrogatori di Vito Ciancimino vertenti sui contatti intrapresi con i carabinieri, oltre a quello del 17 marzo 1993, ed eventuali relazioni di servizio o dichiarazioni assunte dagli stessi carabinieri. Ma, come si evince dal carteggio tra i due Uffici giudiziari che è stato versato agli atti del presente giudizio, gli fu trasmesso, in data 10 ottobre 1996 e in aggiunta al verbale del 17 marzo 1993, ore 09:30, già trasmesso in data 26agosto 1996, soltanto il verbale sempre del 17 marzo, ma aperto alle ore 16:30, con 1’ allegato manoscritto del Ciancimino medesimo.

La garbata sollecitazione del procuratore Vigna a trasmettere anche le eventuali dichiarazioni assunte dai due ufficiali del Ros. che avevano gestito la fonte Ciancimino non venne dunque raccolta. Non resta che prendere atto che in quel frangente storico, 1993-1996, lo stesso Ufficio requirente che di lì a qualche anno aprirà un primo procedimento (a carico del Cinà, di Riina Salvatore e dello stesso Ciancimino) poi archiviato, e successivamente chiederà e otterrà l’autorizzazione alla riapertura delle indagini che sarebbero poi sfociate nel presente procedimento, in quel frangente storico non nutrì alcun sospetto sulle reali finalità perseguite dai carabinieri del Ros né sulla vera natura di quell’operazione; e tanto meno ebbe ad adombrare l’ipotesi accusatoria che cominciò a delinearsi dopo che furono acquisite le rivelazioni di Giovanni Brusca (sul c.d. papello) e le dichiarazioni di Mori e De Donno al processo di Firenze sulle stragi in continente.

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