Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci della sentenza d'appello su Marcello Dell’Utri, del presidente del tribunale Raimondo Loforti, giudici Daniela Troja e Mario Conte


Il 28 novembre 1986 - undici anni dopo l'attentato subito da Berlusconi ai danni della villa di Via Rovani - ancora ai danni di detta villa, in fase di restauro, si verificava un secondo attentato, seppur di non particolare gravità (Berlusconi: “fatta con molto rispetto, quasi con affetto”: v. conversazione intercorsa con Dell'Utri il 29.11.1986). Alle 00,12 del 29 novembre 1986, cioè subito dopo l'attentato, Silvio Berlusconi chiamava Dell'Utri e gli rappresentava che - a suo avviso - il responsabile del gesto, così come lo era stato 11 anni prima, era Vittorio Mangano. Dell'Utri, mostrando qualche perplessità (Dell'Utri: "perché non si spiega proprio spiega proprio'') diceva all'amico che non sapeva che Mangano fosse libero (''fuori'').

Il 30 novembre 1986 nel corso di una telefonata intercorsa sempre tra Berlusconi e Dell'Utri, quest'ultimo riferiva al primo di avere parlato con Cinà e che quest'ultimo aveva escluso che la responsabilità dell'attentato potesse attribuirsi a Mangano, perché era detenuto.

Dell'Utri, tranquillizzando Berlusconi, concludeva la telefonata dicendogli che gliene avrebbe parlato di persona (Dell'Utri:" "Dunque, io stamattina ho parlato con quello lì... e poi ho visto Tanino ( .. ) che è qui a Milano. Ed invece è da escludere quella ipotesi .. perché è ancora dentro. Non è fuori. ( .) . E Tanino mi ha detto che assolutamente è proprio da escludere, ma proprio categoricamente. Comunque, poi ti parlerò .... perché ..... di persona. E quindi, non c'è proprio ... guarda, veramente, nessuna, da stare tranquillissimi, eh!"; Berlusconi: "ho capito''). Dell'Utri, dunque, da un lato escludeva la possibilità che l'artefice dell'attentato potesse essere stato Vittorio Mangano; dall'altro sottolineava a Berlusconi che poteva stare tranquillissimo e che in ogni caso, al riguardo, vi era qualcosa di cui doveva parlargli di persona.

Orbene, il motivo di detta rassicurazione è collegato al fatto che l'attentato di Via Rovani è del tutto estraneo ai rapporti di Berlusconi e Dell'Utri con "cosa nostra" e non è in alcun modo collegabile a quegli elementi di "avvitamento" nei rapporti tra le parti, indicati dalla Suprema Corte.

L'attentato, infatti, non era stato commesso da Riina e ad esso non può essere attribuito alcun significato rilevante nell'indagine della sussistenza dell'elemento soggettivo del dolo nella condotta di Dell'Utri. Come è stato già evidenziato dalle dichiarazioni di Galliano è emerso invero che tale attentato era stato commesso dalla mafia catanese di Nitto Santapaola. Deve essere ricordato che alla fine del 1986 Cinà in quella riunione tenutasi presso la villa di Giovanni Ci tarda ( uomo d'onore della famiglia di Malaspina e nipote di Cinà), Galliano - dopo avere appreso delle consegne di denaro da Dell 'Utri a Cinà e da quest'ultimo dapprima a Stefano Bontate e dopo la morte di Bontate ai Pullarà - aveva sentito Gaetano Cinà, che era "molto arrabbiato", lamentarsi del fatto che Dell'Utri aveva assunto un atteggiamento "ritroso" nei suoi riguardi, comunicando che, per questo motivo, aveva deciso che non sarebbe più andato a ritirare i soldi da Dell 'Utri a Milano.

Questo atteggiamento era iniziato subito dopo la morte di Stefano Bontate "cioè quindi dopo 1'81, '82". Mimmo Ganci - intuendo che la vicenda era rilevante, (Galliano "attraverso Berlusconi potevamo arrivare a Craxi'') ne aveva parlato con Salvatore Riina. E così agli inizi del 1987 Mimmo Ganci su ordine di Riina si era recato a Catania per imbucare una lettera intimidatoria indirizzata al Berlusconi e per effettuare, sempre da Catania, una telefonata di minaccia all'imprenditore. Ganci era andato con Francesco Spina, uomo d'onore della famiglia della Noce; dopo qualche settimana erano tornati nuovamente a Catania per fare una telefonata intimidatoria diretta ad Arcore ( al numero telefonico che gli aveva dato il Cinà) allo stesso Berlusconi.

Riina aveva ordinato che la telefonata e la lettera provenissero da Catania in quanto in quel periodo la mafia catanese di Nitto Santapaola aveva effettuato un attentato a Berlusconi posizionando un esplosivo nella "proprietà "di quest'ultimo. Riina - dopo averne parlato con il boss catanese - aveva fatto credere all'imprenditore che ad agire fossero stati i catanesi. (Galliano:" Il Riina quando li manda a Catania, li manda a Catania per due motivi: uno perché, dice, che quando aveva parlato con ... quando Riina parla con i catanesi .. i catanesi avevano messo in quel periodo una bomba in una proprietà del Berlusconi e quindi questo fatto cadeva a fagiolo ... diciamo .. autorizza ... i catanesi autorizzano, diciamo, i palermitani a imbucare la lettera e fare la telefonata a Catania per far capire che sempre le intimidazioni provengano dalla mafia catanese ").

Orbene appare evidente che l'attentato alla proprietà di Berlusconi la notte del 28 novembre 1986, poco prima che Ganci si recasse a Catania per mettere in atto le azioni intimidatorie nei confronti di Berlusconi (lettere e telefonate anonime), non era stata opera dei mafiosi palermitani, ma dei catanesi che avevano messo una bomba in una proprietà di Berlusconi). Riina, che ben conosceva la matrice di detto attentato, aveva ritenuto che l'azione di intimidazione che lui aveva ordinato a Mimmo Ganci sarebbe stata ricondotta alla mafia catanese. Detta circostanza doveva essere stata riferita a Dell'Utri da Cinà allorché l'imputato lo aveva chiamato per avere notizie dell'attentato, apprendendo che non poteva essere stato Mangano perché era in galera.

Come è stato già rilevato il giorno successivo, quando Dell'Utri aveva chiamato Berlusconi escludendo categoricamente la responsabilità di Mangano, gli aveva anche detto di stare tranquillissimo e che poi gli avrebbe spiegato di persona perché il coinvolgimento di quest'ultimo era categoricamente da escludere (Dell'Utri:" e Tanino mi ha detto che assolutamente è proprio da escludere ma proprio categoricamente .. comunque poi ti parlerò ... perché .. di persona'').

Orbene appare del tutto evidente che detto attentato non può m alcun modo significativo di "avvitamento o torsione" dei rapporti tra le parti interessate, proprio perché dette parti non erano protagoniste dell'attentato. Deve essere rilevato che Riina aveva fatto sì che le proprie azioni intimidatorie e cioè le lettere e le telefonate minatorie - di rilievo molto modesto rispetto all'attentato alla villa (anche questo invero non era stato di particolare gravità (Berlusconi: "fatta con molto rispetto, quasi con affetto") - creassero un turbamento in Dell'Utri per fargli cambiare atteggiamento nei confronti di Cinà e pagare una somma più alta; aveva però voluto escludere che tali azioni fossero riconducibili a lui.

Va invero ricordato che Dell 'Utri, malgrado avesse assunto un atteggiamento "ritroso" nei confronti di Cinà, secondo quanto riferito da quest'ultimo, facendolo aspettare per consegnargli la busta con i soldi, ha sempre onorato il patto del 1974. Non può tuttavia negarsi (l'argomento sarà oggetto di un successivo paragrafo) che la successione di Riina a Stefano Bontate aveva cambiato i rapporti interpersonali tra i protagonisti del patto. Riina, uomo dalle caratteristiche totalmente diverse da Bontate, che non ha mai avuto rapporti diretti e personali con Dell'Utri e che considerava quest'ultimo solo una disponibile fonte di guadagno ed anche un modo per tenere viva la possibilità di un legame con l'onorevole Craxi (attraverso Berlusconi), non aveva tollerato l'atteggiamento arrogante di cui si era lamentato Cinà.

Orbene dopo le azioni intimidatorie, Dell'Utri aveva chiamato a Milano Cinà per riferirgli quello che era successo. Cinà era tornato in Sicilia, aveva parlato con Di Napoli che aveva convocato Mimmo Ganci il quale si era rivolto al boss Riina. Era stato allora che quest'ultimo aveva ordinato che la somma doveva essere raddoppiata e che doveva chiedersi a Dell'Utri chi doveva pagare per la "messa a posto" delle emittenti televisive.

La richiesta di raddoppio della somma era stata accettata da Berlusconi e comunicata tramite Dell 'Utri che tuttavia per le televisioni aveva risposto che dovevano rivolgersi ai titolari delle emittenti locali. Le considerazioni fin qui svolte consentono di affermare che l'attentato alla villa di via Rovani, non ha lascito trasparire alcun mutamento dei rapporti tra le parti interessate; e se vi era stato un aumento della richiesta da parte di Riina, esso era da collegarsi non già all'attentato che era stato opera dei catanesi, ma alla volontà di Riina di riequilibrare i rapporti tra Dell'Utri e Cinà e di aumentare nel 1987 la somma che l'imprenditore in ascesa versava fin dal 1974. […].

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