Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Dopo la prima serie dedicata alla sentenza della corte d'assise di Bologna che ha condannato all'ergastolo Paolo Bellini per la strage di Bologna, il Blog mafie pubblica una seconda serie che si concentra sul ruolo dei mandanti


Gli elementi di giudizio esposti in questo e nei precedenti capitoli e in generale in tutte le parti di questa sentenza consentono alcune rapide conclusioni.

Si è finalmente giunti a porre un punto fermo che considera la strage del 2 agosto 1980 a Bologna come il momento conclusivo, sia pure sui generis ed atipico rispetto ai momenti precedenti della c.d. "strategia della tensione".

È ormai appurato, grazie alle indagini sul quinto terrorista, l'ex militante di Avanguardia Nazionale Paolo Bellini, e grazie alle nuove acquisizioni su Sergio Picciafuoco, che la compagine degli esecutori materiali non agiva nel vuoto di strategia e fuori da contesti politici nazionali e probabilmente internazionali. Gli esecutori erano strettamente collegati a chi la strage aveva deciso, agevolato e finanziato, attraverso un fitta rete di legami e di mediazioni, di cui tuttavia si intravede ora il vertice, come è stato per le stragi politiche dei primi anni Settanta, la cui funzione fu tutta interna alle strategie atlantiche di prevenzione dell'espansione del comunismo in Europa, mediante operazioni connesse al contrasto alla "guerra rivoluzionaria" con l'impiego della controguerriglia psicologica che prevedeva anche il ricorso a stragi e provocazioni nelle varie forme delineate nell'operazione Chaos.

La strage di Bologna rispecchia questa strategia in un modo sui generis, in un mondo che è diventato molto più complesso e vede in atto il consueto tentativo, questa volta riuscito definitivamente, di influire sulla politica nazionale attraverso la strage indiscriminata per chiudere definitivamente con il passato resistenziale del nostro Paese, di cui l'omicidio dell'onorevole Moro e poi del presidente Mattarella furono precisi momenti attuativi.

L'inserimento della strage in un contesto assai più ampio della semplice azione dello "spontaneismo armato" finisce con l'aggiungere senso a quell'azione e al ricorso anch'esso strumentale alla manovalanza fornita dall'estremismo nero, come il terrorismo rosso aveva contribuito con l'operazione Moro.

Possiamo ritenere fondata l'idea, e la figura di Bellini ne è al contempo conferma ed elemento costitutivo, che all'attuazione della strage contribuirono in modi non definiti, ma di cui vi è precisa ed eclatante prova nel documento Bologna, Licio Gelli e il vertice di una sorta di servizio segreto occulto che vede in D'Amato la figura di riferimento in ambito atlantico ed europeo.

L'Avvocatura dello Stato ha sostenuto che la "strategia della tensione" si realizza nella strage di Bologna, come suo ultimo stadio, partendo da Portella delle Ginestre.

È una prospettiva suggestiva sul piano storico-politico-giudiziario.

L'analogia è importante perché consente di cogliere, come è ormai pacifico per quel lontano evento del 1947, un filo nero, che giunge a Bologna, di azioni coordinate e connesse per interferire sul libero e autonomo sviluppo della politica nazionale da parte di forze esterne, generalmente legate agli esiti del secondo conflitto mondiale.

Il punto d'arrivo è importante, ma è solo un "campo base" per riprendere la salita.

Ciò che si può dire, all'esito dell'indagine della Procura generale e del dibattimento, è che l'ipotesi sui "mandanti" non è un'esigenza di tipo logico-investigativo, ma un punto fermo.

La strage di Bologna ha avuto dei "mandanti" tra i soggetti indicati nel capo d'imputazione, non una generica indicazione concettuale, ma nomi e cognomi nei confronti dei quali il quadro indiziario è talmente corposo da giustificare l'assunzione di uno scenario politico, caratterizzato dalle attività e dai ruoli svolti nella politica interna e internazionale da quelle figure, quale contesto operativo della strage di Bologna. Anche la causale plurima affonda radici nella situazione politico-internazionale del paese e nei rapporti tra estremisti neri e centrali operative della strategia della tensione sul finire degli anni Settanta. È nella complessa realtà politica di quegli anni che vanno trovate le causali della strage, una causale la cui individuazione va compresa allargando ancora di più il campo di osservazione cui ci si è dovuti necessariamente contenere in questo processo.

Qui abbiamo accertato che Gelli, la P2, i servizi segreti e quel centro occulto di potere coagulatosi intorno all'ex capo dell'Ufficio affari riservato avevano gestito e destinato ingenti somme di denaro all'esecuzione di un fatto che gravi convergenti indizi indicano nella strage di Bologna. Le complesse e intrecciate causali che portarono quel gruppo di potere, al cui servizio operavano le diverse squadre di eversori neri sempre a disposizione per manovre di attacco alla democrazia e alla Costituzione, sono tuttora questioni aperte e hanno solo parzialmente formato oggetto di analisi in questo processo.

Uno dei moventi emersi è consistito nella necessità di impedire ogni prospettiva di accesso della sinistra al potere in Italia, in una fase di ripresa formidabile della guerra fredda sul finire degli anni '70 e all'inizio degli '80, con l'invasione sovietica dell'Afghanistan e il dispiegamento dei missili Cruise in Sicilia.

Poi ancora l'attuazione del Piano di Rinascita democratica attraverso l'impiego misurato della strategia delle bombe in una prospettiva di guerra psicologica, di provocazione e di preparazione dell'opinione pubblica al taglio delle ali estremi del sistema politico.

Vi è poi il tema della connessione tra la strage del 2 agosto e la strage di Ustica. Ad una tale prospettiva ha accennato Vincenzo Vinciguerra, senza approfondire.

Non è peraltro chiaro se la strage del 2 agosto possa essere stato un modo per spostare l'attenzione dell'opinione pubblica rispetto a un attacco militare francese-americano all'aereo civile o se questo sia intervenuto deviando un percorso già predisposto per il 2 agosto, rendendo necessarie nuove forme di depistaggio, provocando al contempo disfunzioni nel piano già ordinato.

È noto che Maurizio Tramonte, alcune settimane prima di Ustica, aveva rivelato in confessione a don Mario Bisaglia di avere saputo dal Melioli che la destra ordinovista (alla quale era strettamente legato il gruppo dei Nar, come risulta dai rapporti Fachini/Cavallini e Signorelli/Fioravanti) stava preparando un gravissimo attentato alla stazione di Bologna per la fine di luglio 1980 e che il sacerdote ne aveva verosimilmente riferito al fratello, il quale avrebbe informato i servizi, senza riuscire a prevenire l'attentato.

Sta di fatto che i fratelli Bisaglia morirono in circostanze che legano la loro morte alla strage (il ministro annegato in circostanze dubbie e misteriose nel 1984, il fratello prete quasi certamente assassinato qualche anno dopo).

Le due stragi sono poi legate da un comune depistaggio legato alla figura dell'ex ordinovista Marco Affatigato. Sono temi che non hanno trovato spazio nell'istruttoria e ci limitiamo semplicemente a enunciarli per segnalare la complessità dei moventi che chiamano pur sempre in causa Gelli e la loggia P2.

L'Avvocatura dello Stato propone un'interessante lettura degli avvenimenti all'interno delle logiche di potere atlantiche e dei rapporti di conflitto radicale all'interno stesso della P2, tra Gelli e i suoi riferimenti d'oltreoceano.

Nel triennio 1978-198 l Gelli subisce un attacco dall'interno della massoneria e della stessa sua organizzazione. Tale attacco viene scandito in varie fasi. Dapprima il processo al Grande Oriente d'Italia per le iniziative golpiste di Gelli nel quinquennio 1969-1974, iniziato dalla Gran Loggia di New York, con la costituzione della Commissione Frossel, che provoca le dimissioni del Gran maestro Salvini.

Nello stesso momento in cui il Grande Oriente d'Italia rischiava di essere espulso dalla massoneria internazionale, dall'interno della P2 inizia un sorprendente, quanto singolare, attacco a Licio Gelli e alla Loggia P2, proprio da parte di personaggi chiave della Loggia occulta, vicini al Gelli.

È la vicenda degli attacchi rivoltigli dalla rivista di Pecorelli, che entra in possesso del famoso memoriale Cominform, con il quale si vuole dimostrare che il Gelli è stato agente dei servizi dell'est e ne annuncia la pubblicazione poco prima di essere ucciso.

Si tratterebbe del ricatto dei servizi segreti, che disponevano del vecchio fascicolo degli anni Cinquanta mai più ripreso e aggiornato per costringere Gelli a lasciare la direzione della P2. Il documento viene passato a Pecorelli dal colonnello Viezzer, in forza al SID, che detiene il documento.

Scrive l'Avvocatura che "Pecorelli fa presente a Gelli che le "potenti e fraterne amicizie" del Viezzer (rectius dell'apparato che è in grado di by-passarlo nei rapporti con il vertice del Servizio di informazione italiano, ndr) hanno deciso di invitare il venerabile maestro della loggia P2 a farsi da parte e che per questi "oscuri disegni" è stato incaricato Viezzer di consegnare al fratello Pecorelli il documento Com-in-form, che era stato predisposto per salvare l'organizzazione nel caso in cui l'agente Gelli fosse stato bruciato. Dopo l'omicidio Pecorelli, la manovra non viene meno; nel ruolo rivestito dal giornalista ucciso, subentra il Col. Federico Mannucci Benincasa, Capo Centro SISMI di Firenze".

Costui, insieme al colonnello Nobili, avvia una campagna di discredito anonima del Gelli, accusato di essere l'autore dell'omicidio Pecorelli. La campagna si sviluppa con lettere e telefonate anonime alla procura di Roma. La manovra è attribuita al vertice dei Servizio segreto composto da piduisti che avevano alimentato le campagne di Pecorelli contro Andreotti (e quindi contro Gelli), fornendogli documenti riservatissimi trovati in redazione dopo la sua morte, come il fascicolo convenzionalmente denominato Mi.Fo.Biali (Miceli-Foligni-Libia) dal quale Pecorelli stava per trarre un articolo, mai pubblicato, in cui si attribuiva al potente uomo politico la percezione di tangenti su vendite di petrolio libico.

L'azione è attribuita all'intero vertice di comando del Servizio, con tessera P2, che intendeva con ciò cercare di sbarazzarsi del suo vero capo "occulto".

Scrive l'Avvocatura che "è l'apparato più fidato di Gelli e, nel contempo, il suo più efficace strumento di controllo della vita politica ed economica italiana, che all'improvviso si ribella al suo capo, al quale manda messaggi intimidatori per indurlo a mettersi da parte.

Ma se Gelli è il vero capo dei Servizi Segreti italiani, oltre che di quelli argentini (come ebbe modo di dichiarare il Presidente dell'Argentina Arturo Ercole Frondizi e se nello stesso tempo è anche a capo della loggia massonica più potente del Grande Oriente, come è possibile che il vertice del Servizio, che era alla sua "doppia obbedienza", abbia ritenuto di dover tramare contro il suo capo?"

La risposta è legata "all'eventuale esistenza di un soggetto, o di un organismo sovrastante Licio Gelli, in grado di by-passare quest'ultimo e chiedere al Servizio di informazioni italiano di disfarsi del venerabile maestro, divenuto scomodo e pericoloso". Geli i resiste all'attacco della massoneria americana del nord, mantenendo la protezione di quella del sud, grazie al ruolo che riesce ad avere nella gestione del caso Moro. Fu anche grazie a Gelli e ai suoi uomini che si riuscì a realizzare l'obiettivo di impedire la liberazione di Moro, secondo quanto risulta dalle memorie di Steve Pieczenik.

Secondo la memoria "quel che è comunque certo è che, nella gestione dell' affaire Moro, si sono rinsaldati i legami tra i servizi piduisti italiani, l'intelligence americana e, in particolare, l'ambiente del partito repubblicano americano, di cui esponente di rilevo era Philip Guarino, assai vicino a Richard Nixon e a George Bush, che da un lato fruiva di importanti finanziamenti, che d'altro lato elargiva con generosità perché venissero compiute attività, spesso illecite, necessarie per destabilizzare allo scopo di stabilizzare la situazione politica italiana. Fiduciario italiano di questo sistema, che ha rivestito il ruolo di coordinatore di tutta la variegata attività compiuta durante il periodo della strategia della tensione, era proprio Licio Gelli. Questo spiega il perché il personaggio sia stato - al momento - risparmiato, dalle indagini e dalle conclusioni della Commissione presieduta da Charles Frossel".

In sostanza, il programma di ascesa al potere della destra americana che aveva operato con Nixon fino al 197 4 riemergeva per preparare il terreno ali' elezione di Reagan (con Bush, capo della CIA, vicepresidente) e questo progetto reintegrava Gelli nel suo ruolo di principale burattinaio delle vicende politiche italiane.

Vi sarebbe stata quindi «la ripresa della strategia varata fin dal 1969 per tenere sotto controllo la situazione politica italiana, per prevenire il pericolo comunista».

Tale strategia viene rivitalizzata da Gelli in occasione del sequestro Moro, la cui gestione - quanto meno - (non importa ai fini che ne occupano, risalire a possibili ulteriori e maggiori responsabilità per il rapimento dello statista italiano) imponeva che dell'insuccesso segnato dalla morte del sequestrato, non ne fruisse politicamente il partito comunista.

«Il sistema di controllo politico, assicurato dal compimento di attentati terroristici in Italia, per il quale il soggetto fiduciario era Licio Gelli, è necessariamente attivo anche nel 1978- 1979 (attentati Mrp) e nel 1980 (campagna stragista varata da Fioravanti e soci) come l'istruttoria dibattimentale ha ampiamente dimostrato. L'escalation di violenza sempre più brutale e micidiale, di cui massimo protagonista è Valerio Fioravanti e la banda dei Nar, culmina con la strage di Bologna, le cui mostruose conseguenze inorridiscono anche i partner d'oltre oceano».

A questo punto, anche gli americani capiscono che bisogna liberarsi di Gelli, ormai sovraesposto anche sul piano giudiziario, e questo porta alla perquisizione e alla scoperta delle liste di Castiglion Fibocchi, attraverso pianificati input informativi agli inquirenti (testimonianza di Joseph Crimi e anonimi sui documenti tenuti a Castiglion Fibocchi). Gelli, consapevole dell'imminente caduta, porta con sé i documenti esplosivi che potrebbero trascinare nella caduta un intero mondo politico di governo, realizzando quel discredito universale che avrebbe riaperto la partita con il partito comunista. In particolare, porta con sé l'elenco riservatissimo degli appartenenti alla P2, non inseriti nelle liste di Castiglion Fibocchi, nomi evidentemente assai più potenti e determinanti di quelli identificati.

Il potere di ricatto di Gelli prevale su ogni tentativo dei piduisti ormai bruciati, come Santovito ed altri, di resistere rimanendo al loro posto, giocando la vecchia carta del Gelli doppiogiochista e legato ai servizi dell'est e dell'uso delle liste da parte sua come estremo gioco delle spie russe per destabilizzare i servizi segreti e gli apparati italiani. La scoperta dei documenti nascosti nella valigia della figlia di Gelli, tra cui il segretissimo manuale Westmoreland, è il segnale, che il governo recepisce, pubblicando infine le liste e facendo fuori i piduisti che avevano fatto a loro volta il doppio gioco con Gelli e salvando il gran maestro. Il documento Cominform era sostanzialmente falso, come viene spiegato con elementi documentali certi dall'avvocatura. Gelli era stato fascista e poi si era autonomamente inserito nel sistema, per svolgervi un ruolo occulto finalizzato alla restaurazione di un sistema autoritario.

Le conclusioni sono coerenti con quanto fin qui emerso: «La storia che è seguita agli avvenimenti che hanno costretto Licio Gelli ad abbandonare il suo ruolo di tessitore occulto delle operazioni politiche e di intelligence, nonché di attività criminali funzionali a tenere sotto controllo la politica italiana, che sono state poste in essere proprio dal medesimo apparato che vedeva in lui il suo vertice, in ragione di un doppio legame di dipendenza e di ubbidienza, attesta come quest'ultimo, dopo che era stato bruciato e destituito dal ruolo, è stato in grado di costringere chi lo aveva allontanato a proteggerlo e ad assicurargli l'impunità sostanziale. Gli attacchi a Gelli vengono a cessare dopo che, il 4 luglio del 1981, il gran maestro fa ritrovare una valigia, mentre viene portata dalla figlia Maria Grazia, nel cui ampio doppiofondo sono presenti documenti originali la cui capacità ricattatoria non è dubitabile: il piano di rinascita democratica, il memorandum sulla situazione politica italiana e, soprattutto, la Direttiva Westmoreland un documento statunitense segretissimo, formato negli anni '70, che costituiva il Field manual della guerra non convenzionale e della strategia delle tensione da attuare, in caso di necessità, anche nei paesi alleati. Viene in tal modo realizzato quel "venerabile ricatto in arrivo in jet" che il giorno prima era stato annunciato a mezzo stampa, su "Agenzia Repubblica", dal giornalista Lando Dell'Amico. Nonostante le sentenze di condanna, Gelli non ha mai scontato in Italia un sol giorno di detenzione ed è rientrato nel nostro Paese in sicurezza, mediante l'"Operazione Artigli", incentrata sulla efficacia ricattatoria del "Documento Bologna", ed è stato posto al riparo da ogni pericolosa attenzione della magistratura italiana».

Alla luce degli elementi addotti, quella sviluppata dall'Avvocatura è una ricostruzione plausibile, che specifica nel modo anzidetto l'interesse di Gelli alla realizzazione della strage, della quale era oltretutto espressamente accusato da un lungo esposto anonimo inviato alla magistratura bolognese dopo il 2 agosto.

Neppure questo profilo è stato particolarmente approfondito nel corso dell'istruttoria. Non era né possibile, né necessario, perché nel processo, come ripetuto più volte, Gelli non era imputato.

La semplice prospettazione di uno dei tanti possibili interessi "politici" di Gelli all'azione destabilizzante si lega sul piano indiziario agli altri elementi che ne hanno lasciato emergere un ruolo di finanziatore, del tutto compatibile con l'accusa rivolta al Bellini e in grado di rendere credibile lo scenario all'interno del quale si colloca l'azione di quest'ultimo e degli altri esecutori accertati della strage.

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