Il risultato delle elezioni per il Parlamento europeo, con lo spostamento a destra degli equilibri, ha dato slancio alla campagna contro il Green Deal europeo e in particolare contro l’obbligo di vendere solo auto a emissioni zero dal 2035. La mobilitazione è partita a livello politico e della lobby dell’auto.

L’amministratore delegato di Stellantis, Carlos Tavares, ha espresso dure critiche al Green Deal mettendo anche in dubbio la sua legittimità. «Quando è stata presa la decisione [di vietare i motori a scoppio dal 2035] non è stato fatto alcuno studio sui possibili impatti [sociali e sulla filiera]», ha detto ai giornalisti il 13 giugno, aggiungendo: [Non capisco perché] «una decisione di tale impatto sulle questioni sociali sia stata presa senza quello che io chiamerei un dibattito parlamentare».

Nessuna delle due affermazioni di Tavares è corretta. Dopo il primo annuncio del luglio 2021, la Commissione ha interpellato tutti gli stakeholder e ha fatto circolare un documento comprendente una valutazione dei potenziali impatti; e l’impatto netto sull’occupazione veniva valutato relativamente basso. Anche l’associazione europea dei costruttori Acea è stata consultata. Falsa anche l’accusa che non vi sia stato un dibattito parlamentare, e grave di conseguenza l’osservazione che Tavares ha fatto seguire: «Penso che questo sia un problema per le democrazie».

Il problema politico del Green Deal è la spaccatura che c’è stata fin dall’inizio, tra gruppi politici e tra i paesi. Il pacchetto ha ottenuto il sì definitivo con una maggioranza ristretta che non comprendeva i popolari. I contrari hanno subito iniziato una battaglia di logoramento, ed è mancata anche da parte della Commissione un’azione forte per spiegare le ragioni del Green Deal. Due settimane fa il capogruppo dei popolari Manfred Weber ha ribadito l’intenzione di eliminare il divieto; le destre sarebbero sicuramente d’accordo.

In questo contesto non sono solo Meloni e Salvini ad alzare i toni. In un recente intervento pubblico Marco Tronchetti Provera, vice presidente esecutivo di Pirelli, ha detto che «quella che stiamo affrontando in Europa è autentica follia. Dei politici ignoranti ideologizzati stanno creando un danno enorme all'economia dell'Unione». L’ex manager Fiat Alfredo Altavilla ha rincarato la dose, scrivendo di «follia ideologica di un branco di incompetenti».

Il prezzo da pagare

E’ vero che la transizione elettrica comporterà la perdita di posti di lavoro è vero, ed è il principale problema che la politica dovrà affrontare contribuendo a finanziare la loro riconversione. Un manager dell’auto come Tavares, che ha costruito la sua carriera sull’abilità nel tagliare i costi – a partire da quelli del lavoro – non è peraltro particolarmente credibile quando piange sul destino degli operai; è più probabile che il suo obiettivo sia di massimizzare i contributi pubblici che dovranno risolvere il problema.

Quanto al prezzo tuttora elevato delle auto a batterie, la forbice si sta riducendo e lo stesso Tavares si è detto ottimista: «Puntiamo ad avere lo stesso margine di profitto sulle auto tradizionali e quelle elettriche entro tre anni».

L’associazione dei costruttori europei Acea (da cui Stellantis è uscita) chiede alla prossima Commissione Ue «sostegni tangibili alla transizione verso la mobilità a emissioni zero». Servono aiuti alla riconversione dei lavoratori e la nomina di un Vice-presidente con delega all’industria. Acea conferma tuttavia che «l’industria dell’auto sostiene fermamente l’obiettivo di un’economia clima-neutrale entro il 2050».

Scenari politici

Come e quanto verrà ritoccato il Green deal? Nel 2026 la Commissione dovrà valutare se il motore elettrico sarà ancora il vettore considerato più adatto a raggiungere il target di abbattimento delle emissioni di CO2. Come visto sopra, c’è chi reclama un aggiustamento ancora prima. Saranno importanti i ruoli chiave nella Commissione, in particolare se qualcuno assumerà il ruolo di alfiere del Green deal che nella precedente legislatura è stato del socialista olandese Frans Timmermans.

Molto dipenderà dall’esito dei negoziati politici: se la presidente Von der Leyen punterà a coinvolgere i Verdi il pacchetto rischia solo qualche aggiustamento; nell’ipotesi di un allargamento più o meno esplicito a destra, il programma potrebbe comprendere ritocchi al ribasso, tra cui per esempio un rinvio della fine dei motori a scoppio o un allargamento delle maglie (almeno teorico) ai carburanti sintetici e molto in teoria “verdi”.

In quest’ultimo caso i costruttori si troverebbero a dover gestire per un periodo più lungo due gamme di prodotto; quanto converrebbe?

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