Nel 2023 nel paese si è registrato il più alto numero di attivisti ambientalisti uccisi a livello globale. Durante la COP16, la Conferenza mondiale sulla biodiversità che si sta realizzando nella città di Cali, i rappresentanti di organizzazioni sociali e ong discutono delle minacce che corre chi difende la terra e la vita nei territori
A Cali, in Colombia, dal 21 ottobre al 1° novembre i delegati di 150 paesi hanno discusso delle azioni da mettere in campo per l’implementazione dell’Accordo Kunming-Montreal firmato nel 2022 in Canada alla COP15 per la protezione della biodiversità.
Nell'ultima giornata di lavori sono stati fatti alcuni passi avanti e firmati alcuni accordi: tra questi, uno per la protezione degli oceani e uno sul riconoscimento del ruolo dei popoli indigeni e delle comunità locali nella presa di decisioni per la difesa dell’ambiente.
Durante queste giornate caotiche incontriamo Magaly Pino, a Cali non solo per partecipare alla COP, ma perchè è stata sfollata dal suo villaggio per le minacce di morte che ha subito per il ruolo politico che ricopre. È vicepresidente del Cna, la Coordinadora nacional agraria, e racconta perché ha dedicato la sua vita alla lotta per la difesa del territorio: «La prima volta che me ne sono dovuta andare dal villaggio avevo 16 anni. Ero stata minacciata perché denunciavo come si comportavano le bananeras. Ora ho 60 anni, e per la mia attività politica sono stata sfollata 10 volte e per almeno 6 anni non ho potuto vedere i miei familiari. Tutto questo non mi ha fatto desistere, anzi. Sento che il mio ruolo è imprescindibile, sento che nella vita non potrei fare altro che questo».
Guarda con uno sguardo vispo, allegro, acuto, e ripete che questa lotta si deve affrontare con tanta allegria, è quello che vorrebbero tutte le persone che hanno sacrificato la loro vita per la causa.
Minacce e violenza
Secondo il bollettino trimestrale realizzato dalla Campagna colombiana Somos defensores, tra il 2016 e il 2024 sono stati perpetrati 174 attentati contro leader ambientalisti e autorità indigene, che hanno subito complessivamente 2.037 aggressioni, da parte di attori armati che hanno interesse a controllare il territorio, per traffici illeciti o per attività imprenditoriali legali o illegali.
Tra il 2016 e il 2023, si contano 16 sparizioni forzate e 1.383 minacce avvenute attraverso la consegna di volantini, chiamate telefoniche o messaggi, l’uso dei social media, molestie e minacce fisiche con l’uso di armi da fuoco. Gli attacchi si concentrano soprattutto nei dipartimenti di Cauca e Antioquia, dove la violenza è spesso legata al conflitto per la gestione della terra.
La situazione di violenza in Colombia è confermata dal triste primato riportato dai report dell'organizzazione internazionale Global Witness: nel 2023 sono stati registrati 79 omicidi di attivisti ambientali, il numero più alto a livello globale. Di questi, 31 erano membri di comunità indigene e 6 di comunità afrodiscendenti. Nel 2024 gli omicidi e i sequestri si mantengono a livelli molto elevati, con un aumento significativo nei casi di sequestro (33 per cento).
L'Alto Commissariato delle Nazioni unite per i diritti umani ha espresso profonda preoccupazione per la situazione colombiana. Le organizzazioni sociali riconoscono un aumento della violenza nonostante questo governo abbia mostrato un’attenzione particolare al tema e la messa a terra di meccanismi di protezione tanto nazionali come internazionali.
Il governo di Petro ha intrapreso diverse iniziative per implementare l'Accordo di Escazú, un trattato internazionale per la protezione dei diritti ambientali in America Latina e nei Caraibi che mira a garantire il diritto di accesso alle informazioni ambientali, alla partecipazione pubblica, oltre a proteggere i difensori dell'ambiente.
«La Colombia si è distinta come un paese che ha una giurisprudenza molto avanzata in tema di difesa dei difensori ambientali. Ha ratificato l’Accordo di Escazù, ma il problema di fondo rimane perché non si trovano strumenti efficaci con i quali far ricadere le norme di protezione nei territori e tra le comunità», spiega Rosa Maria Mateus, avvocata del Collettivo di Avvocati José Alvear Restrepo (Cajar) un'organizzazione non governativa che da più di 45 anni difende i diritti umani e ambientali.
«Quello che abbiamo osservato» continua, «è che gran parte degli abusi avvengono in contesti dove sono presenti politiche estrattiviste. Tutti i dati che abbiamo analizzato ci portano a dire che gran parte delle responsabilità sono delle imprese e degli attori armati che hanno interessi economici nei territori dove avvengono le violazioni. Inoltre i nuovi attori armati nati dopo lo smantellamento delle guerriglie agiscono senza una catena di comando chiara, situazione che fa sì che gli abusi, le sparizioni, gli sfollamenti, siano ancora più violenti e inaspettati di prima. Di fronte a questa situazione spesso lo stato non protegge, anzi rincara la dose con azioni di criminalizzazione della protesta dei leader ambientali e comunitari. La difesa della vita intesa come vita delle persone e del territorio, in Colombia si paga con la vita».
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