Le prime indiscrezioni su quale sarà la posizione negoziale dell’Unione europea alla prossima conferenza sul clima, la Cop29 di Baku, rendono chiaro quale sarà uno dei temi chiave del vertice: il ruolo della Cina nella geopolitica del clima.

Sono anni che la questione si trascina, di Cop in Cop. I termini del discorso sono questi: la Cina può ancora considerarsi o comportarsi come se fosse un paese in via di sviluppo, come quando è cominciata la diplomazia climatica nel 1992 con il summit di Rio, oppure bisogna prendere atto che da tempo è diventata una grande potenza industriale, che è il primo paese per contributo di gas serra al riscaldamento globale, e che quindi deve comportarsi di conseguenza, soprattutto dal punto di vista finanziario?

L’Ue pone il tema

È una domanda che ha il potenziale di cambiare la forma stessa della lotta ai cambiamenti climatici e l’Unione europea sembra intenzionata a mettere la questione sul piatto come sua base negoziale. È quello che emerge da una serie di documenti riservati consultati dal sito Politico.

Non è un caso che il tema, dopo essere stato per anni nelle pieghe e nelle sfumature dei discorsi, possa esplodere proprio a Baku, in Azerbaijan. La Cop29 sarà la Cop della finanza, la conferenza Onu sul clima in cui si dovranno rinegoziare gli obiettivi sugli aiuti che i paesi industrializzati devono erogare a quelli climaticamente vulnerabili per reggere il doppio peso della transizione ecologica e dell’adattamento agli effetti inevitabili del riscaldamento globale.

Fino a oggi, la quota concordata di questa grande colletta climatica globale (chiamata Green Climate Fund) era di 100 miliardi di dollari totali ogni anno. L’accordo è una delle basi della cooperazione climatica globale e scade quest’anno: a Baku i paesi del nord e del sud globale si vedono anche per rinegoziare un nuovo accordo, che dovrà essere necessariamente al rialzo, in modo proporzionale agli effetti della crisi.

Si parla già di passare da 100 a 1000 miliardi di dollari l’anno, è un obiettivo ambizioso e probabilmente irrealizzabile (anche perché i paesi ricchi sono riusciti a mantenere per la prima volta l’impegno dei 100 miliardi di dollari solo nel 2022, con anni di ritardo), ma intanto l’Unione europea vuole che sia rinegoziata la platea dei paesi donatori, e che dentro siano incluse anche le «economie emergenti», una formula diplomatica dentro la quale si legge soprattutto: Cina.

Il ruolo cinese

Finora i paesi industrializzati, e quindi considerati più responsabili della crisi climatica e tenuti a decarbonizzare per primi e aiutare gli altri a farlo, sono quelli definiti da tabelle scritte quando è stata scritta la Convenzione Onu sui cambiamenti climatici, più di trent’anni fa, nel 1992. Nel frattempo il mondo è cambiato, da tempo è evidente che quella lista non è una fotografia fedele delle cosiddette «responsabilità comuni ma differenziate», principio politico che regge l’impalcatura morale della lotta ai cambiamenti climatici.

Nel documento si legge che l’Ue chiede «l’espansione della base dei contributori», in modo che rifletta la natura cambiata delle rispettive capacità rispetto agli anni Novanta. Questo allargamento dei donatori offre un’opportunità per aumentare la dotazione finanziaria a favore dei paesi più vulnerabili e rifletterebbe meglio la solidarietà globale nei loro confronti».

È un modo per dire che la Cina non può più permettersi di essere il sindacalista dei paesi più poveri e climaticamente in pericolo, come ha fatto in particolare quando è stato deciso di creare un fondo per i danni e le perdite due anni fa in Egitto, ignorando la realtà: la Cina ormai è la seconda economia del mondo. Da tempo fa parte dei paesi che inquinano di più, se ci sono delle responsabilità a cui far seguire delle azioni (e per correggere le quali bisogna mettere dei soldi) la Cina non si potrà più tirare indietro.

Almeno, questo è il principio che l’Unione europea spera di riuscire a portare avanti a Baku. Non è solo una questione di Cina: è proprio la tradizionale distinzione tra nazioni ricche e povere che l’Ue proverà a ridiscutere a Baku, anche perché paesi pesantemente responsabili dal punto di vista del clima, come Emirati Arabi, Qatar o Arabia Saudita, continuano a sfuggire a quelle responsabilità, sempre in base ai principi del 1992.

Il mondo è cambiato, la geografia della ricchezza anche, l’Unione europea proverà a spiegarlo al mondo nelle due settimane di Baku. Questa, fa presente Politico, è solo una bozza che potrebbe essere ancora ridefinita prima del vertice, che parte l’11 novembre.

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