- A Cop27 è stato trovato un accordo storico atteso da trent’anni per la creazione di un fondo che risarcisca i paesi vulnerabili per i danni e le perdite della crisi climatica
- A guidare il negoziato è stata l’Unione europea, dopo giorni di trattative molto tese.
- Rimangono una serie di nodi fondamentali da sciogliere: chi sono i paesi che ne hanno diritto, chi sono i paesi che dovranno donare, come si trovano i soldi.
È stata una stretta di mano durante la Cop27 in Egitto tra il vicepresidente della Commissione Europea Frans Timmermans e la ministra dei cambiamenti climatici del Pakistan Sherry Rehman a sancire un accordo storico, atteso da tre decenni.
I paesi industrializzati accettano la creazione di un nuovo fondo speciale per assistere finanziariamente quelli più colpiti dai danni e dalle perdite della crisi climatica.
Questo articolo viene scritto nella sera di sabato a Sharm El Sheikh, nel momento in cui inizia un'assemblea plenaria nella quale ogni colpo di scena finale è ancora possibile, in base al principio che in diplomazia niente è deciso finché tutto non è deciso, ma l'accordo, dopo due settimane di negoziati estenuanti, è stato raggiunto.
Le trattative
È stata l'Unione Europea a guidare la parte finale del vertice, che a un certo punto sembrava destinato a un fallimento. Prima c'è stata l'apertura nella sera di giovedì alle richieste del blocco composto da oltre 130 paesi, guidato dalla Cina e chiamato G77.
Quell'apertura è stata un passo decisivo e sorprendente, che prima dell'inizio di Cop27 sembrava impensabile.
Le condizioni europee: legare la creazione di quel fondo a un impegno globale per ridurre le emissioni e contenere l'aumento delle temperature a 1.5°C.
«Se non riusciamo in questo obiettivo, e le temperature aumentano di 2.5°C o più, non c'è fondo loss and damage che possa compensare i disastri che ne verrebbero», ha confermato l'inviato italiano per il clima Alessandro Modiano.
L'accordo ha fatto breccia nel gruppo dei paesi in via di sviluppo, mai così compatto nelle proprie richieste come a questa Cop, e sembra sia arrivato anche l’okay dell’inviato Usa per il clima John Kerry, in isolamento per Covid.
Il fondo viene istituito, ci vorranno due anni di lavoro per tutti i dettagli, e non sono dettagli di secondo piano, anzi, sono tutti potenziali punti di rottura: chi ha diritto ai soldi, chi ha il dovere di mettere i soldi, come si trovano i soldi.
I beneficiari
Il primo punto ha rischiato di far saltare tutta la trattativa. Nella proposta europea si parlava inizialmente solo di «paesi vulnerabili».
Rischiavano di rimanere fuori grandi economie emergenti che sono però allo stesso tempo afflitte dalla crisi climatica, come la Nigeria, le Filippine, il Kenya e soprattutto il Pakistan, che quest'anno ha subito 30 miliardi di euro di danni e che ha guidato la narrativa di questa conferenza sui cambiamenti climatici.
«Se non fosse successa la catastrofe in Pakistan, sarebbe stato molto più difficile imporre il tema del loss and damage», commenta Mauro Albrizio di Legambiente, che segue le Cop dagli anni Novanta.
L'intesa tra Timmermans e la ministra pakistana Rehman ha sancito l'apertura europea a includere tra i paesi che possono attingere a questo fondo non solo i microstati del Pacifico dove l'oceano sta salendo o le economie africane più povere, ma anche grandi nazioni emergenti come Pakistan o Nigeria.
Chi paga?
La seconda questione da risolvere è la più geopolitica: chi devono essere i donatori di questo fondo? La posizione europea è che non è più accettabile la fotografia fatta delle Nazioni Unite nel 1992, quando fu firmata la convenzione quadro sui cambiamenti climatici, perché in quell'immagine la Cina è ancora un paese in via di sviluppo.
Tra le grandi domande emerse da Cop27 c'è proprio questa: fino a quando la Cina potrà considerarsi tale ed essere allo stesso tempo una superpotenza economica e primo emettitore globale?
Per questo motivo la richiesta europea è allargare la base di chi contribuisce a questo fondo, legandola al più recente accordo di Parigi (2015).
Infine, c'è da capire come si troveranno le risorse per questo fondo. Già entro la fine del decennio i danni e le perdite potrebbero arrivare a 400 miliardi di dollari all'anno, troppi per le sole finanze pubbliche dei paesi donatori.
Ci vorrà tempo perché vengano verbalizzate, ma le ipotesi sul tavolo sono: integrare con una tassa sui profitti delle aziende energetiche che estraggono e vendono combustibili fossili (responsabili della crisi) o con i proventi di una tassa sui viaggi aerei.
Il risultato di Cop27 è però la creazione del fondo: entro la prossima Cop28 a Dubai del 2023 arriveranno le raccomandazioni della commissione istituita ad hoc su chi ci metterà i soldi e chi li riceverà, mentre dal 2024 il fondo loss and damage dovrebbe diventare operativo ed essere in grado di erogare le prime compensazioni.
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