Negli ultimi mesi tutte le politiche agricole più ambiziose sono state ostacolate dal blocco conservatore, influenzato dalle lobby dell’agroindustria. È difficile pensare che dopo le elezioni di giugno si andrà in un’altra direzione
Questo articolo è tratto dal nostro mensile Cibo, disponibile sulla app di Domani e in edicola
Si è parlato molto poco di cibo in Italia, durante la campagna elettorale per le prossime elezioni europee: semmai lo si è fatto con i toni tipici della propaganda. Nei manifesti della Lega sono spuntati slogan e immagini contro i grilli a tavola e contro la carne coltivata. Quasi che il voto fosse una sorta di referendum, in cui si deciderà cosa saremo costretti a mangiare nei prossimi anni. In realtà la questione è più complicata e si lega alle sfide epocali dei nostri tempi.
Oggi il mondo deve fare i conti con la pressione demografica, che farà crescere ulteriormente la popolazione e la richiesta di cibo. Intanto, la questione ambientale rende obbligatoria una svolta sostenibile anche per l’agricoltura. Con il cambiamento climatico, aumenta la siccità e si impoverisce la biodiversità. I paesi più ricchi vanno alla ricerca di nuovi terreni da coltivare a scapito dei più poveri, mentre l’assenza di cibo spinge le persone a emigrare. Intanto, le associazioni di categoria premono per garantire un giusto reddito agli agricoltori.
Le differenze economiche, le disuguaglianze, l’eccellenza dei prodotti locali, e anche l’introduzione di nuovi alimenti sono tutte questioni di cui si parla ogni giorno a Bruxelles. E se ne continuerà a parlare nei prossimi anni, nel nuovo parlamento che nascerà dal voto. Chiunque sarà eletto dovrà comunque occuparsene.
Uniti per l’agricoltura
L’Unione europea è ancora un territorio dalla forte vocazione rurale. Secondo i dati di Eurostat, nel 2020 c’erano 9,1 milioni di aziende agricole, circa i due terzi (63,8 per cento) delle quali erano di dimensioni inferiori ai cinque ettari. Nello stesso anno, sono stati utilizzati 157 milioni di ettari per la produzione agricola, sfruttando così il 38 per cento totale del terreno.
Questi dati fanno capire l’importanza di una politica agricola comune, ma anche la difficoltà di far convivere esigenze diverse. Qualsiasi intervento rischia di minare un equilibrio precario, come ha scoperto nei mesi scorsi la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen.
Passi indietro
La sua idea generale era di guidare la transizione ecologica, mettendo il rispetto dell’ambiente al centro di tutte le altre politiche. Tutto questo è stato sintetizzato nella formula del cosiddetto “Green deal”, il patto verde per l’Europa. Fra gli obiettivi più ambiziosi, c’era anche quello di garantire un forte sostegno all’agricoltura biologica, con norme stringenti sull’utilizzo dei pesticidi. Si puntava a ridurre il più possibile la filiera, dal produttore al consumatore, premiando chi utilizza metodi sostenibili.
La cosiddetta “legge sul ripristino della natura” avrebbe dovuto intervenire sulla perdita di biodiversità. Di fatto, però, tutta l’impronta verde della riforma è stata smantellata nei suoi propositi più dirompenti, sotto i colpi inferti dalle lobby e dalle resistenze dei conservatori e dell’estrema destra.
La scorsa primavera, i contadini hanno invaso Bruxelles a bordo dei loro trattori, temendo che le novità potessero sfavorirli rispetto alla concorrenza del resto del mondo.
Opinioni diverse
Secondo un’indagine di Euronews, la metà delle azioni promesse da “Farm to fork” – la strategia sul cibo inserita nel Green Deal – sono rimaste sulla carta. Alla fine, la legge sui pesticidi è stata ritirata. La politica agricola è stata formalmente approvata, ma con misure annacquate rispetto alle proposte iniziali. Secondo i detrattori, la transizione ecologica promuoveva misure irrealistiche, senza tenere conto delle difficoltà del settore agricolo, anche rispetto alle condizioni generali del mercato.
Secondo Coldiretti, il regolamento sui pesticidi avrebbe compromesso «il 30 per cento delle produzioni alla base della dieta mediterranea, dal vino al pomodoro». Dimezzare l’uso dei fitofarmaci sarebbe stato «irrealistico».
A metà maggio, è stata diffusa una lettera aperta scritta da più di 140 associazioni ambientaliste, fra cui ActionAid, Greenpeace e Wwf, e rivolta ai decisori europei: «Negli ultimi mesi, la Commissione europea ha allentato le norme sull’inquinamento per le aziende agricole industriali, abbandonato i piani per una produzione alimentare sostenibile e gli obiettivi di riduzione dell’uso dei pesticidi», hanno scritto.
«L’ambiente non è in conflitto con la capacità della nostra società di prosperare, ne è il fondamento stesso. Ma le scelte di alcuni politici a Bruxelles stanno accelerando la crisi ambientale».
Il nuovo parlamento
È difficile immaginare che questa tendenza possa cambiare dopo il voto di giugno. Anzi, i sondaggi fanno pensare che l’asse conservatore ne uscirà ulteriormente rinforzato e con esso la tendenza ad ascoltare gli agricoltori, mettendo in secondo piano le richieste degli ambientalisti.
In particolare, dovrebbero perdere seggi sia i Verdi sia i liberali di Renew (dove sedevano, nell’ultima legislatura, i parlamentari di Azione e Italia viva).
Secondo un sondaggio di Ipsos per Euronews, che ha considerato le opinioni di quasi 26mila persone in 18 paesi dell’Unione europea, i centristi dovrebbero comunque mantenere la maggioranza. Ursula von der Leyen potrebbe essere rieletta presidente della commissione europea, potendo eventualmente contare sulla stessa maggioranza attuale (fatta dal Ppe di centrodestra, dai socialisti e dai liberali).
Allo stesso tempo, cresceranno molto sia i conservatori di Ecr (il gruppo di Fratelli d’Italia), sia l’ultradestra di Identità e democrazia (dove siede la Lega di Matteo Salvini). In altre parole, chi negli scorsi anni si è più battuto per una svolta ambientalista non solo è già stato sconfitto, ma rischia di trovarsi ancora più indebolito dalle nuove elezioni.
La stessa von der Leyen sembra aver barattato la sua agenda verde pur di avere la certezza di un secondo mandato. Potrà mai tornare indietro?
Il fronte conservatore
Di sicuro il Partito popolare europeo, di cui la stessa von der Leyen è espressione, non sembra intenzionato a farlo. Secondo i sondaggi, saranno loro ad avere il maggior numero di seggi nel prossimo parlamento europeo. Proprio sulle questioni ambientali potrebbero trovare una sintonia, più o meno esplicita, con i conservatori di Giorgia Meloni.
Secondo il sito di informazione Politico, specializzato in questioni europee, il Ppe si sta raccontando come il grande difensore degli agricoltori e degli interessi rurali, proprio in vista delle elezioni europee. Per farlo, ha scelto la via del populismo, appoggiando la retorica che piace anche all’estrema destra.
Le ong hanno promosso un’analisi delle politiche adottate dai vari gruppi europei, stilando una classifica sulla base dei voti su questioni ambientali nell’ultima legislatura. Senza troppe sorprese i primi sono i Verdi (con 92 su 100), poi la Sinistra (84), i socialisti e democratici (70), i liberali (56), il partito popolare (25), i conservatori e riformisti (10) e l’ultradestra (6). Non esiste una classifica analoga promossa dall’agroindustria, ma è facile immaginare che le posizioni sarebbero invertite.
Programmi
Così, nel programma di Fratelli d’Italia per le europee le parole d’ordine sono le stesse del resto del fronte conservatore. Promuovono la battaglia contro carne e cibi sintetici, ma anche contro la legge sul ripristino della natura. Puntano a «rivedere la politica agricola comune, rimuovendo le norme che riducono le superfici coltivabili e il reddito degli agricoltori». «Gli agricoltori», scrivono, «sono stati visti come un “problema”, ma in realtà sono una risorsa preziosa per far fronte alla crisi climatica».
Per la Lega, il «primo atto della prossima legislatura» dovrebbe servire proprio «a rivedere da cima in fondo il Green deal, affinché obiettivi e tempistiche siano realistici». «Tutte le filiere agricole devono tornare ad avere piena legittimità, sgomberando il campo dalle campagne di demonizzazione». Anche per Forza Italia va rivisto il Green deal per non «avvantaggiare avversari strategici come la Cina».
Il Movimento 5 stelle la pensa diversamente: il Green deal va al contrario rinforzato, bisogna frenare la perdita della biodiversità e vanno eliminati i pesticidi «dannosi per la salute umana». «Il sistema alimentare attuale è insostenibile», scrivono. Meglio puntare sulla «carne coltivata per un’alimentazione sana e sostenibile».
Per i socialisti e democratici europei – che sono la famiglia europea del Partito democratico – va promosso «un nuovo patto verde e sociale per una transizione giusta», riducendo «la nostra impronta ambientale». «Le agricoltrici e gli agricoltori devono essere sostenuti finanziariamente e tecnicamente», scrivono, «per raggiungere gli obiettivi di transizione verso metodi agricoli rispettosi dell’ambiente».
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