Abbiamo bisogno degli Stati Generali della Giustizia climatica e sociale? È la domanda che si è posto il collettivo dell’ex fabbrica GKN in un primo incontro esplorativo con realtà in lotta, singoli attivisti e movimenti ambientalisti. «Noi a quella domanda rispondiamo sì, ma il percorso va creato insieme» ha spiegato a Domani Dario Salvetti, membro del collettivo e delegato sindacale della Fiom.

Per gli operai della Gkn di Campi Bisenzio la vita è cambiata la mattina del 9 luglio 2021, quando il fondo finanziario Melrose, che aveva acquisito la multinazionale, ha inviato una PEC alle rappresentanze sindacali per mettere tutti in ferie collettive e aprire un processo di licenziamento. Molti lavoratori quel giorno erano già dentro i cancelli della fabbrica. Si sono dichiarati in assemblea permanente e non si sono più mossi di lì. Attorno a loro si sono stretti cittadinanza, collettivi e in prima linea il sindacato Fiom.

Due mesi dopo, 40 mila persone sfilavano con loro a Firenze, i licenziamenti venivano temporaneamente ritirati per ordine del Tribunale, i lavoratori gettavano le basi di una lotta duratura, moltiplicandone forme e direzioni e soprattutto cercando alleati e orizzonti più vasti. Ne nasce un’ampia convergenza che unisce le voci, le forze e le intenzioni di sindacati e centri sociali, studenti, movimento ambientalista e altre realtà in lotta. Si organizzano concerti in fabbrica, spettacoli teatrali, festival di letteratura working class, cortei enormi in collaborazione con Fridays For Future, tour nazionali e internazionali per raccontare la propria storia, confrontarsi e tessere reti.

Nel frattempo cambia la proprietà della fabbrica per un progetto di reindustrializzazione mai avviato, si avvicendano una cassa integrazione rimasta in sospeso per mesi, corsi e ricorsi del Tribunale, interventi statali e infine la procedura definitiva di licenziamento presentata nell’ottobre 2023 e attiva dal primo gennaio 2024. Da allora gli operai non ricevono stipendio.

La reindustrializzazione dal basso

Hanno però un grande progetto di reindustrializzazione dal basso. La multinazionale in cui hanno lavorato fino al luglio 2021 produceva componenti destinate al settore automobilistico. Nel percorso partito da quella mattina di luglio, i lavoratori che nell’immediato chiedevano “solo” di essere riassunti, hanno man mano ampliato le proprie istanze.

Non bastava più tornare a lavorare, serviva anche produrre qualcosa che non peggiorasse il mondo ma lo migliorasse. Non pezzi per auto private, ma per mobilità condivisa. E che non inquinasse. Allora cargo-bike e pannelli solari da costruire con materie prime che vengano da vicino, di cui sia facile controllare il cammino e le condizioni. Il progetto, affinato in varie tappe è stato sviluppato in collaborazione con un comitato scientifico e la Rete italiana delle imprese recuperate.

Nei mesi scorsi è stato aperto un crowdfunding per creare una cooperativa di lavoratori e nel pomeriggio di venerdì 11 ottobre, dopo lo sciopero per il clima, si è tenuto il primo incontro per chi è interessato a divenirne socio-lavoratore. Domenica 13 ottobre si terrà invece l’assemblea internazionale dell’azionariato popolare. L’operazione era partita un anno fa e il termine di partecipazione scadeva il 30 settembre, la cifra fissata era di un milione di euro ed è stata ampiamente superata con adesioni dall’Italia e dall’estero, di cui 736 persone fisiche e 143 persone giuridiche.

Fra queste la Società di Mutuo Soccorso Insorgiamo, fondata dagli stessi membri del collettivo. Per ora le azioni sono state solo prenotate, verranno effettivamente vendute solo quando il piano di riconversione ecologica dell’azienda vedrà la luce.

Intanto, a cavallo fra Climate Strike e azionariato popolare, ieri è cominciato il percorso verso gli stati generali della giustizia climatica e sociale.

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Il presupposto da cui si partiva è che i movimenti ambientalisti sono spesso, anche giustamente, concentrati su battaglie molto territoriali o specifiche. Il rischio però è di incastrarsi in una campagna dopo l’altra senza poi cambiare nulla a livello sostanziale e macroscopico. «Si finisce per perpetrare la stessa frammentazione che vediamo e viviamo nella società» spiega Salvetti, secondo cui invece la parola d’ordine dovrebbe essere convergenza.

«Il movimento climatico non è una somma di vertenze, attraversa ogni aspetto delle nostre vite, dal lavoro alla guerra. È un tema permanente. Per questo ci deve essere una progettualità ampia. Lo immaginiamo come un percorso internazionale e intersecato con ciò che già esiste. Al di là delle singole storie, delle tempistiche e delle scadenze che si dà ciascun movimento, c’è da unirsi per capire come cambiare i rapporti di forza che sono alla base di tutto ciò che non funziona, dal lavoro, al clima, alla guerra». 

Dev’essere un’esigenza condivisa perché esattamente un anno fa, il 12 ottobre 2023, cominciava a Milano il Congresso mondiale per la giustizia climatica, che aveva riunito nelle aule e chiostri dell’Università Statale attivisti da America Latina, Africa, Stati Uniti ed Europa. Non per creare qualcosa di nuovo ma per confrontarsi e allearsi.

Anche stavolta hanno partecipato rappresentanze di realtà internazionali – inglesi, scozzesi, tedesche, basche – per raccontare le proprie esperienze e imparare dall’alleanza fra movimento operaio e ambientale che si gioca qui da ormai tre anni. Nel pubblico, non per essere protagonista ma per partecipare a questo importante incontro, c’era anche la fondatrice di Fridays For Future Greta Thunberg.

La convergenza

Lo stesso rifiuto di occupare da soli il centro del discorso lo rivendica il Collettivo di fabbrica: «Non vogliamo essere garanti di questi stati generali, che anzi servono proprio ad andare oltre le singole esperienze. Dobbiamo attrezzare le nostre pratiche per stare in una catastrofe climatica che è qui e ora». La lotta ambientale, a differenza di tutte le altre, non ha tempo. Non può permettersi la frammentazione, le rivalità, i protagonismi. Gli eventi estremi degli ultimi mesi ne sono una testimonianza tanto quando la precarietà crescente dei lavoratori in tutto il mondo. Immaginare degli stati generali della giustizia climatica e sociale vuol dire spingere per uno scatto in avanti in termini di organizzazione ed efficacia, nella consapevolezza che non ci sono azionariati popolare e nuove forme di lavoro possibili fuori da una profonda transizione ecologica ed economica.

Intanto, proprio perché convergenza è la parola d’ordine da sempre del collettivo ex-GKN, e lo è in questi due giorni in particolare, oggi nel pomeriggio l’assemblea di azionariato popolare si unirà al corteo organizzato da Sudd Cobas Prato in sostegno agli operai pakistani del settore tessile in sciopero da giorni. Sono lavoratori impiegati in alcune ditte di proprietà cinese nella zona di Prato e chiedono semplicemente contratti di lavoro normali, rifiutando gli orari inumani a cui erano sottoposti finora: sette giorni su sette, 12 ore al giorno.

Il corteo è stato organizzato a Seano nel tardo pomeriggio per consentire al Collettivo GKN di raggiungerlo e marciare insieme. Proprio per ribadire che sta tutto nel creare alleanze, riconoscere i punti in comune fra le lotte, mettere in evidenza i rapporti di forza e potere che stanno alla base di un sistema e di un clima congiuntamente avvelenati.

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