Se il plasma potrà essere mantenuto e controllato per un tempo sufficientemente lungo potrebbe essere sfruttato come fonte di energia pulita quasi illimitata, un’impresa ancora da realizzare ma a cui Pechino sta destinando molte risorse
In Cina il 2024 è l’anno del Drago, ovviamente mitologico, ma il fisico del plasma Xianzu Gong sta domando un vero “drago infuocato”, un reattore di ricerca sulla fusione: l’Experimental Advanced Superconducting Tokamak (East). I tokamak sono macchine a forma di ciambella che generano le stesse reazioni nucleari che alimentano le stelle. Utilizzano campi magnetici per confinare anelli riscaldati di plasma, uno stato fluido della materia contenente ioni ed elettroni, a temperature più elevate del nucleo del Sole. L’obiettivo è quello di forzare i nuclei atomici a fondersi, rilasciando energia. Se il plasma rovente e instabile potrà essere mantenuto e controllato per un tempo sufficientemente lungo potrebbe essere sfruttato come fonte di energia pulita quasi illimitata, un’impresa ancora da realizzare ma a cui la Cina sta dando una notevole importanza.
Un lavoro difficile
Confinare il plasma è un lavoro estenuante. Ogni giorno, Gong e i suoi colleghi sparano circa 100 colpi di plasma dalla mattina presto fino a mezzanotte circa. Per confronto, il Joint European Torus (Jet) di Culham, nel Regno Unito, che era la più grande struttura di ricerca sulla fusione al mondo prima di chiudere l’anno scorso, aveva raggiunto 20-30 colpi al giorno. Non c’è quasi nessun weekend, quasi nessuna vacanza per il gruppo di lavoro di Gong, che dirige le ricerche di fisica di East. Sebbene sia solo un trampolino di lancio verso le previste centrali a fusione nucleare, East è una delle strutture che sta posizionando la Cina ai primi posti della corsa mondiale alla fusione nucleare.
L’esperimento di fusione più noto al mondo è l’International Thermonuclear Experimental Reactor (Iter) da 22 miliardi di dollari, un gigantesco tokamak in costruzione nella Francia meridionale, a cui la Cina sta contribuendo nonostante i suoi sforzi interni. E negli ultimi anni, aziende ambiziose negli Stati Uniti e altrove hanno raccolto miliardi di dollari per costruire i propri reattori, che a loro dire dimostreranno un’energia di fusione pratica prima dei programmi guidati dallo stato. Questo fa comprendere perché la Cina stia rapidamente riversando immense risorse economiche nei propri sforzi sulla fusione nucleare. L’attuale piano quinquennale del governo cinese rende le strutture di ricerca totalmente indipendenti da altri paesi e progetti.
«Come stima approssimativa, la Cina potrebbe spendere 1,5 miliardi di dollari all’anno per la fusione, quasi il doppio di quanto il governo degli Stati Uniti ha stanziato quest’anno per questa ricerca», afferma Jean Paul Allain, direttore associato dell’Office of Fusion Energy Sciences del dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti a Washington DC. «Ancora più importante del valore totale è la velocità con cui stanno lavorando», afferma Allain. «La Cina è passata dall’essere un non interessato alla fusione, solo 25 anni fa, ad avere capacità a livello mondiale», afferma Dennis Whyte, scienziato nucleare presso il Massachusetts Institute of Technology (Mit) di Cambridge.
Sebbene nessuno sappia ancora se le centrali a fusione siano concretamente realizzabili, gli scienziati cinesi hanno tempistiche ambiziose. Nei prossimi anni Trenta, prima che Iter abbia iniziato i suoi esperimenti principali, il paese punta a costruire il Fusion Engineering Test Reactor (Cfetr), con l’obiettivo di produrre fino a 1 gigawatt di energia da fusione. Se i piani della Cina funzioneranno, un prototipo di centrale a fusione potrebbe seguire nel prossimo decennio.
La storia
Ma facciamo un passo indietro. Gli scienziati di tutto il mondo hanno cercato di far funzionare i reattori a fusione fin dagli anni Cinquanta del secolo scorso. L’idea è di fondere due nuclei di idrogeno, che sono caricati positivamente e quindi si respingono, in uno più grande di elio. Nel Sole, la gravità genera abbastanza pressione per farlo; sulla Terra, sono necessarie alte temperature e forti campi magnetici. Finora, tuttavia, i ricercatori non sono stati in grado di mantenere le reazioni di fusione abbastanza a lungo da produrre più energia di quanta ne serva per innescarle, salvo qualche rara eccezione.
Verso la fine del 2022 ricercatori della Us National Ignition Facility (Nif) di Livermore, California, avevano annunciato una svolta quando recuperarono per brevissimo tempo più energia di fusione di quanta ne avessero immessa per realizzare l’esperimento. Utilizzando un design alternativo a un tokamak, il Nif ha sparato 192 raggi laser su un minuscolo pellet di isotopi (atomi con lo stesso numero di protoni ma diverso numero di neutroni) di idrogeno deuterio e trizio, facendoli fondere. Tuttavia, prima di quella volta veniva impiegata molta più energia per azionare i laser di quanta ne veniva erogata. Molti ricercatori comunque affermano che l’approccio più pratico all’energia di fusione comporterà l’utilizzo di un tokamak per confinare un “plasma ardente” di lunga durata.
Uno degli obiettivi di Iter infatti, visto come un prerequisito generale per impianti di fusione praticabili, è creare un plasma ardente che produca dieci volte la potenza che gli è stata immessa. Se gli scienziati riuscissero a farlo, la fusione potrebbe offrire l’alternativa più sicura e pulita alle centrali nucleari convenzionali a fissione che dividono i nuclei di uranio pesante, producendo scorie radioattive che possono rimanere pericolose per migliaia di anni. I reattori a fusione produrrebbero solo scorie di breve durata. Un’altra caratteristica di sicurezza è che le reazioni di fusione si interrompono semplicemente se il plasma scende al di sotto di una certa temperatura o densità. E si prevede che il processo sia più efficiente della fissione. L’Agenzia internazionale per l’energia atomica afferma infatti che la fusione potrebbe generare quattro volte più energia della fissione, per chilogrammo di combustibile.
Le prospettive cinesi
È una prospettiva, questa, particolarmente allettante per la Cina, dove tra il 2020 e il 2022 diverse regioni hanno sperimentato massicce interruzioni di corrente a causa della domanda alle stelle di elettricità durante gli inverni rigidi. Nonostante i rapidi progressi nelle energie rinnovabili, il paese genera ancora più della metà della sua elettricità dal carbone e rimane il maggiore contributore alle emissioni globali di carbonio. E il suo fabbisogno energetico è destinato a raddoppiare nei prossimi tre decenni.
«Abbiamo bisogno di innovazioni che riducano il carbonio, questo è il nostro sogno. L’energia da fusione nucleare può farlo», afferma il fisico del plasma Yuntao Song, direttore generale dell’Asipp. Il coinvolgimento della Cina nella fusione è iniziato con la costruzione di diversi tokamak di piccole e medie dimensioni utilizzando componenti provenienti da dispositivi russi e tedeschi. Nel 2003, si è unita all’esperimento internazionale Iter, insieme a Unione europea, India, Giappone, Corea, Russia e Stati Uniti.
Nel 2006, la Cina ha aperto East, che da allora ha collezionato record mondiali per il mantenimento del plasma in minuti, anziché secondi. L’abilità di East nel creare plasmi longevi lo ha reso un cavallo di battaglia sperimentale per Iter, in particolare per il rapido controllo incrociato dei risultati. Iter aveva l’obiettivo di iniziare gli esperimenti nel 2020, ma è stato afflitto da ritardi. A luglio, i ricercatori hanno annunciato che avrebbe posticipato i suoi esperimenti principali al 2039. La maggior parte dei paesi che lavorano a Iter sta comunque sviluppando parallelamente proprie ricerche sulla fusione, ma pochi lo stanno facendo in modo così intensivo come la Cina, afferma Jeronimo Garcia Olaya, uno scienziato che si occupa di fusione nucleare presso la Commissione francese per le energie alternative e l’energia atomica di Parigi.
«Stanno costruendo un programma molto ambizioso», afferma Olaya, che coguida gli esperimenti presso JT-60SA a Naka, in Giappone, attualmente il più grande tokamak al mondo in funzione. Tra gli altri reattori di fusione di ricerca della Cina, oltre a East, c’è il tokamak HL-3, inaugurato nel 2020 presso il Southwestern Institute of Physics di Chengdu. Gli esperimenti presso le strutture cinesi alimenteranno il Cfetr di prossima generazione, sebbene la costruzione necessiti ancora dell’approvazione del governo. Entro il 2040, il suo obiettivo è di fornire più di dieci volte l’energia immessa per creare il plasma, la pietra miliare per la fusione praticabile, e anche di produrre fino a un gigawatt di potenza netta. Se ciò potesse essere raggiunto, le centrali elettriche dimostrative produrrebbero quindi elettricità di rete. Il rapporto di progettazione ingegneristica del Cfetr, pubblicato nel 2022, sostiene che sarà il passo che precederà la costruzione di numerose centrali elettriche dimostrative, tra cui i reattori Demo proposti dall’Unione europea e dal Giappone, la cui progettazione ingegneristica dovrebbe iniziare rispettivamente nel 2029 e nel 2025.
Sebbene il programma cinese stia prendendo rapidamente piede, le start-up di tutto il mondo avanzano affermazioni ancor più audaci circa il ritmo con cui potranno commercializzare l’energia da fusione. Ad esempio, Commonwealth Fusion Systems (Cfs), uno spin-off del Mit, promette che il suo tokamak, chiamato Sparc, sarà il primo a produrre più energia di fusione del calore consumato dal plasma.
L’azienda afferma che Sparc produrrà il suo primo plasma entro la fine del 2026. Lo sforzo si basa sui progressi nei materiali superconduttori ad alta temperatura, che dovrebbero consentire al tokamak di essere molto più piccolo e più rapido da costruire rispetto a Iter e altre strutture giganti. Cfs afferma che avrà impianti che forniranno reti elettriche entro l’inizio degli anni Trenta. Secondo la Fusion Industry Association (Fia) con sede negli Stati Uniti, a livello globale, più di 40 aziende stanno lavorando per commercializzare la fusione e complessivamente hanno ricevuto investimenti per 7,1 miliardi di dollari.
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