C’è crescente consenso scientifico sul fatto che l’obiettivo di contenere il riscaldamento globale entro 1,5°C sia ormai irraggiungibile
L’obiettivo dell’umanità di limitare il riscaldamento globale a 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali, che è stata una meta fondamentale nella politica climatica dell’ultimo decennio, è ora quasi certamente fuori portata.
Limitare il riscaldamento a 1,6°C è diventato lo scenario migliore per l’azione climatica, con la speranza di riportare le temperature a 1,5°C più avanti nel secolo utilizzando le tecnologie che si avranno a disposizione per rimuovere l’anidride carbonica dall’atmosfera.
«Abbiamo la certezza quasi assoluta che non superare 1,5°C rispetto al 1800 è quasi impossibile allo stato attuale», afferma Christoph Bertram del Potsdam Institute for Climate Research in Germania in un lavoro pubblicato su Nature. «E dunque bisogna prepararsi a un decimo, o potenzialmente più decimi di grado, oltre tale obiettivo».
Gli ostacoli
Bertram e i suoi colleghi sono giunti a questa conclusione eseguendo una serie di modelli che tengono conto dei vincoli realistici nell’implementazione delle tecnologie verdi e delle politiche climatiche, nonché di altri fattori, come, ad esempio, la riduzione della domanda di energia.
Le tecnologie verdi, come l’energia rinnovabile, hanno avuto un notevole sviluppo negli ultimi anni, ma il principale ostacolo a un’azione rapida contro il cambiamento climatico, sottolinea il gruppo di lavoro, è l’incapacità dei governi di attuare politiche di limitazione delle emissioni di carbonio, come imporre tasse sulla produzione del gas serra. Tra l’altro, molti paesi non possiedono neppure le infrastrutture per ottenere le riduzioni che ci si aspetta.
«Una volta preso in considerazione tutto ciò nella modellazione dell’evoluzione del clima, lo scenario migliore che possiamo sperare è limitare il picco di riscaldamento a 1,6 °C», afferma Bertram, il quale aggiunge: «Anche questo, però, richiederà un’enorme volontà politica da parte dei Paesi ad alto reddito che hanno le maggiori speranze di intraprendere azioni per il clima».
In realtà, i ricercatori affermano che è più probabile che non saremo neppure in grado di limitare il riscaldamento a 1,6°C. C’è un’ampia gamma di incertezze, tant’è che le probabilità di successo variano in un’ampia forbice che va dal 5 al 45 per cento. I tassi di successo aumentano se si ipotizza una crescita della temperatura di 1,7°C, ancor più di 1,8°C e così via. «Il mondo deve essere preparato alla possibilità di un superamento del limite di 1,5°C di almeno uno e probabilmente più decimi di grado anche se ci si impegna al massimo», scrivono nel loro lavoro.
Questo studio riflette il crescente consenso scientifico sul fatto che l’obiettivo di temperatura di 1,5°C, concordato dai paesi a Parigi nel 2015, sia ormai irraggiungibile senza un superamento delle emissioni.
L’ultimo aggiornamento dell’International Panel on Climate Change (Ipcc) pubblicato nel 2022 suggeriva che un percorso stretto per limitare il riscaldamento a 1,5°C era ancora possibile, ma da allora le emissioni globali, anziché attenuarsi, sono aumentate.
Le attività umane hanno già aumentato le temperature medie globali di 1,26°C rispetto ai livelli preindustriali, e il 2024 sarà probabilmente il primo anno in cui le temperature medie supereranno 1,5°C di riscaldamento per l’anno intero. Zeke Hausfather dell’organizzazione non-profit statunitense Berkeley Earth afferma che il documento «conclude più o meno quello che è diventato un consenso ampiamente taciuto nella comunità: che è troppo tardi per impedire che il riscaldamento superi 1,5°C nei prossimi decenni».
Ma sottolinea che un riscaldamento al di sotto dei 2°C è ancora plausibile. «Potrebbe essere troppo tardi per evitare di superare 1,5°C nei prossimi decenni, non è troppo tardi per limitare il riscaldamento a 1,6°C. Il mondo non finisce a 1,5°C, ma ogni decimo di grado conta in termini di impatto sulla società, sul mondo naturale e sulle generazioni future».
Lo strano asteroide Phaethon
Qual è la differenza tra un asteroide e una cometa? Una cometa è fondamentalmente una palla di rocce ricche di ghiaccio. L’immagine classica è quella di una stella luminosa nel cielo notturno con una lunga coda curva che si estende nello spazio. Questo è ciò che accade quando le comete si avvicinano al Sole e iniziano a emettere gas e rilasciare polvere.
Normalmente continua finché tutto il ghiaccio se ne va e non rimane altro che roccia, o finché la cometa non si frammenta in polvere. Gli asteroidi sono principalmente rocce. Possono anch’essi contenere ghiaccio, ma in quantità limitate. Per lo più orbitano attorno al Sole, badando ai fatti loro.
Tuttavia, questi due oggetti spaziali non sono sempre così reciprocamente esclusivi come le definizioni potrebbero suggerire. E c’è un oggetto che è davvero unico: si tratta di Phaethon, o Fetonte in italiano, una “cometa di roccia” che confonde le definizioni tra asteroide e cometa, e non è inutile prestare attenzione a questo affascinante oggetto, perché nei prossimi anni potrebbe ripetutamente far parlare di sé. Phaethon fu scoperto per caso nel 1983 da due astronomi dell’università di Leicester, Simon Green e John Davies.
Lo incontrarono in orbita attorno al Sole mentre analizzavano le immagini raccolte da un telescopio spaziale chiamato Infrared Astronomical Satellite (Iras). Poco dopo, altri astronomi riconobbero che Fetonte è la fonte dello sciame meteorico annuale delle Geminidi, uno dei più ricchi sciami meteorici nel calendario terrestre che si verifica tra il 3 e il 19 dicembre. In quei giorni, quando il nostro pianeta attraversa la scia polverosa lasciata da Phaethon, assistiamo a uno spettacolo magnifico: i suoi granelli di polvere bruciano nella nostra atmosfera.
Le caratteristiche
Tuttavia, il comportamento di Fetonte è diverso da quello di qualsiasi altro oggetto responsabile di una pioggia di meteoriti. A differenza delle tipiche comete che rilasciano notevoli quantità di polvere quando si riscaldano vicino al Sole, Phaethon non sembra rilasciare abbastanza polvere per giustificare la “ricchezza” delle Geminidi. Questa assenza di emissioni di polvere significative genera un problema interessante.
L’orbita di Phaethon lo porta estremamente vicino al Sole, molto più vicino di Mercurio, il nostro pianeta più interno. Al suo massimo avvicinamento, la sua temperatura superficiale raggiunge estremi di circa 730°C. Ci si aspetterebbe che un calore così intenso elimini qualsiasi materiale volatile presente sulla superficie di Phaethon.
Ciò dovrebbe esporre strati freschi e non riscaldati e rilasciare enormi volumi di polvere e gas ogni volta che passa vicino alla stella, oppure formare una crosta sterile che protegge l’interno ricco di sostanze volatili da ulteriore riscaldamento, portando a un’assenza di rilascio di gas o polvere.
Ma nessuno di questi processi sembra verificarsi. Phaethon continua a mostrare un’attività simile a quella di una cometa, emettendo gas, ma non una nube di polvere di accompagnamento. Pertanto non sta perdendo strati, quindi il mistero è perché la stessa crosta può ancora emettere gas volatili ogni volta che viene riscaldata dal Sole.
Martin Sutter ha guidato una ricerca appena pubblicata su Nature Communications volta a risolvere questo enigma simulando l’intenso riscaldamento solare che Fetonte subisce durante il suo perielio. «Abbiamo utilizzato frammenti di un raro gruppo di meteoriti chiamati “condriti CM”, che contengono argille che si ritiene siano simili alla composizione di Phaethon.
Questi sono stati riscaldati in un ambiente privo di ossigeno più volte, simulando i cicli caldo-freddo/giorno-notte che si verificano su Phaethon quando è vicino al Sole. I risultati sono stati sorprendenti. A differenza di altre sostanze volatili che normalmente si perderebbero dopo alcuni cicli di riscaldamento, le piccole quantità di gas solforosi contenute nei meteoriti venivano rilasciate lentamente, nel corso di molti cicli».
Ciò suggerisce, secondo il ricercatore, che anche dopo numerosi passaggi ravvicinati al Sole Fetonte ha ancora abbastanza gas da generare attività simile a quella delle comete durante ogni perielio. Ma come funziona concretamente? «La nostra ipotesi», sottolinea Suttle, «è che, quando la superficie di Phaethon si riscalda, i minerali di solfuro di ferro contenuti nel suo sottosuolo si scompongono in gas, come l’anidride solforosa. Tuttavia, poiché gli strati superficiali di Phaethon sono relativamente impermeabili, questi gas non possono fuoriuscire rapidamente».
Invece, si accumulano sotto la superficie, ad esempio in spazi porosi e crepe. Mentre Phaethon ruota, il che richiede poco meno di quattro ore, il giorno si trasforma in notte e il sottosuolo si raffredda.
Alcuni dei gas intrappolati sono in grado di «reagire inversamente» per formare una nuova generazione di composti.
Quando la notte si trasforma di nuovo in giorno e il riscaldamento ricomincia, questi si decompongono e il ciclo si ripete. Queste scoperte non sono solo accademiche, ma hanno implicazioni per la missione Destiny+ dell’Agenzia spaziale giapponese (Jaxa), il cui lancio è previsto per la fine di questo decennio.
Questa sonda spaziale sorvolerà Phaethon e lo studierà utilizzando due telecamere multispettrali e un analizzatore di polvere. Si spera che possa raccogliere particelle che forniranno ulteriori indizi sulla composizione di questo enigmatico oggetto.
Va inoltre ricordato che Phaethon non è il solo oggetto a comportarsi così stranamente. Ci sono circa 95 asteroidi che passano entro 0,20 unità astronomiche (circa 30 milioni di chilometri) dal Sole. Qualunque cosa impariamo da Fetonte, quindi, potrebbe offrire spunti anche sul loro comportamento e sulla loro stabilità a lungo termine. Infine, ci si potrebbe chiedere come tutto questo sia correlato allo sciame meteorico delle Geminidi. Probabilmente, Phaethon emetteva molta polvere molti anni fa.
Ciò avrebbe prodotto la fascia di detriti che ancora oggi crea lo sciame meteorico delle Geminidi ogni volta che le particelle entrano in contatto con l’atmosfera terrestre. Si tratta dunque di una fascia di polvere di origine molto vecchia che viene rinnovata solo marginalmente a ogni passaggio in prossimità del Sole.
© Riproduzione riservata