«Ero a già Parigi l’11 marzo del 2011», dice l’attivista giapponese Yûki Takahata, «e vedendo quello che accadeva a Fukushima ho deciso di impegnarmi nella battaglia antinucleare, perché quelle immagini mi hanno scioccata».

Quel pomeriggio di quattordici anni fa, dopo un terremoto di magnitudo 9.1, la costa est del Giappone era stata colpita da un maremoto che aveva distrutto case, provocato oltre 19mila vittime e mandato in tilt il sistema di raffreddamento della centrale nucleare di Fukushima. Diverse esplosioni avevano reso la zona inabitabile per i livelli di radioattività.

Passati otto anni gli abitanti di Fukushima hanno iniziato a tornare. Per il governo giapponese la decontaminazione radioattiva aveva dato i suoi frutti. Convinto di questa linea, nel 2023, il primo ministro Fumio Kishida ha deciso di riversare nell’oceano Pacifico le acque che erano servite per il processo.

Poi, per eliminare ogni forma di scetticismo, aveva mangiato, davanti ai media di tutto il mondo, un sushi proveniente dalle acque di Fukushima.

Strategia politica

«Si poteva continuare a stoccare quell’acqua contaminata», dice Yûki Takahata. «Evidentemente il governo ha trovato più economico riversare l’acqua in mare, invece di implementare la capacità di stoccaggio. Inoltre, questa scelta ha un preciso significato politico: il governo ha voluto cancellare le tracce dell’incidente.

Come quando, nel 2011, l’esecutivo guidato da Naoto Kan ha cercato di minimizzare il problema, cercando più di evitare l’effetto panico tra la popolazione che di mettere in atto misure efficaci contro le radiazioni».

Oggi Yûki Takahata vive in Francia e combatte contro quella che considera come una decennale propaganda delle istituzioni francesi sui benefit del nucleare nei confronti dell’opinione pubblica.

La battaglia di Tours

A Tours, nel cuore della Loira, gli attivisti di Sortir du Nucléaire (Uscire dal nucleare), proprio in occasione dell’anniversario della tragedia giapponese, hanno cercato di attirare l’attenzione dei passanti. Mappa alla mano indicavano loro il numero di centrali nucleari nella regione (quattro), di industrie che producono armi nucleari (due) nonché la quantità di scorie presenti nel cuore della regione patrimonio Unesco, celebre in tutto il mondo per i suoi castelli.

«Purtroppo gli abitanti della Loira non sono abbastanza interessati ai pericoli del nucleare», dice uno degli attivisti. «Si pensa spesso che le centrali nucleari portino un ritorno economico alla regione, ma non è così. Si assiste a un boom dell’impiego solo nel momento della costruzione delle centrali e delle infrastrutture a esse legate. Per il resto, quello che resta al territorio sono le enormi torri dal fumo bianco, le scorie nucleari e, ovviamente, il rischio di un incidente».

Eppure l’11 marzo del 2011 è stato, anche in Europa, un momento di profonda riflessione sui pericoli del nucleare. La Germania, per esempio, ha ridotto le sue capacità nucleari, fino allo spegnimento di tutte le centrali, nel 2023. «In Francia ulteriori avanzamenti nel senso della messa in sicurezza delle centrali sono stati fatti a seguito della tragedia di Fukushima», dice Stéphanie Tillement, sociologa ed esperta di questioni nucleari.

Ma le istituzioni francesi non hanno messo in discussione il nucleare, contrariamente a quanto avvenuto in Germania. «Il nucleare in Francia è stato sin dagli esordi legato alla politica e agli interessi strategici della nazione. Questo non è il caso della Germania che con il nucleare ha avuto un rapporto utilitarista, economico. L’utilizzo tedesco è soltanto civile, in Francia è anche militare.

L’altra ragione che spiega il diverso approccio dei due stati nel 2011 è prettamente quantitativa: se la Francia ha basato il suo sistema elettrico sul nucleare, la Germania si è affidata al gas. Per loro è stato molto più facile uscire dal nucleare. In Francia la questione non si è mai posta in questi termini».

Crescita continua

Nell’industria nucleare esiste una correlazione storica tra investimenti nel civile ed esigenze militari. In questo senso, «oggi ci sono tanti paesi che investono nel nucleare. E la Francia non è in prima linea dal punto di vista della crescita in questo settore», specifica Tillement. «Ci sono grandi potenze che stanno puntando massivamente sul nucleare, sia per usi civili sia militari. Due su tutte, la Cina e la Russia».

A quattordici anni dalla tragedia di Fukushima, «la crescita del nucleare nel mondo è un dato di fatto», conclude. Una notizia tutt’altro che positiva, alla stregua dell’aumento dei rischi di incidente nelle centrali nucleari che gli eventi climatici anormali legati al riscaldamento globale possono comportare.

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