Verificare bene, approfondire con nuovi studi, chiedere pareri. È certamente originale l’idea di semplificazione che ha in mente il governo Meloni rispetto alla realizzazione di impianti da fonti rinnovabili. Un’idea messa nero su bianco nella proposta di Testo unico ora in parlamento per i pareri.

Basterebbe il giudizio che ne ha dato il Consiglio di stato per farsi un’idea di quanto si sia lontani dall’obiettivo di accelerare e chiarire le procedure. E invece è importante capire come si è arrivati a una proposta che tutte le associazioni e imprese del settore giudicano peggiorativa della situazione esistente.

Se l’intento di partenza era lodevole, arrivare a un quadro normativo organico e coerente con le direttive Ue, bisognava però avere almeno qualche idea su come migliorare l’efficacia, i tempi, la trasparenza. In fondo non era neanche difficile, sarebbe bastato mettere ordine nei tanti interventi normativi che si sono succeduti in questi anni e semplificare a partire dai temi su cui c’è un consenso a prescindere dalle posizioni politiche che si possono avere rispetto ai cambiamenti climatici.

Moltiplicare le procedure

Ad esempio, dovremmo essere tutti d’accordo che quando si interviene su impianti già esistenti non si dovrebbe ripartire da zero. Se fino a oggi era così, il testo introduce una nuova autorizzazione nel caso di vincoli paesaggistici.

Allo stesso modo, dovrebbe essere scontato che le procedure di approvazione degli impianti riguardino anche i cavi di connessione alla rete elettrica, come avveniva fino a oggi. Purtroppo il testo elimina questa scelta di semplice buon senso, che oltretutto moltiplica le procedure e le informazioni contraddittorie sul numero di progetti in itinere.

Per arrivare a questo capolavoro si è partiti dai contributi inviati dai diversi ministeri. Così si spiegano alcuni pareri di tutela del paesaggio che sono stati reintrodotti dopo le semplificazioni degli anni passati, mentre il ministero delle Infrastrutture ha preteso che si richieda anche il titolo edilizio.

E qualcuno dovrebbe spiegare perché in una procedura autorizzativa per dei pannelli solari, a cui si aggiunge quasi sempre anche un parere della Soprintendenza, si debba aggiungere la richiesta di un titolo edilizio come se si trattasse di tirare su una villetta.

Solare a ostacoli

Almeno sul solare sui tetti dovremmo essere tutti d’accordo. Chi può essere contrario a impianti che consentono a famiglie e imprese, palestre e supermercati di prodursi direttamente l’energia di cui hanno bisogno e scambiarla, come oggi è possibile, all’interno di comunità energetiche.

Bene, se fino a oggi nelle aree non vincolate tutto questo era un atto libero e gratuito, con la proposta del governo diventerà più complicato. Perché si ampliano i riferimenti di legge di cui tenere conto, anche per questioni che non c’entrano nulla con le rinnovabili, aumentando così incertezza e discrezionalità amministrativa.

Inoltre, il testo prevede che per progetti sopra una certa taglia si dovrà passare per un’autorizzazione e quindi pagare un tecnico. E quando si supera un’altra taglia scatta la valutazione di impatto ambientale, fino a oggi non prevista. Per capire, si tratta di moduli fotovoltaici appoggiati sui tetti, che proprio in quanto moduli sempre uguali, uno accanto all’altro, non cambiano di pericolosità o impatto se il numero aumenta. E se mai ci fosse un rischio paesaggistico o di sicurezza che dipende dall’area in cui sono inseriti – perché tutelata o industriale – in quel caso scatterebbe comunque una specifica valutazione.

Ma perché complicare questo tipo di interventi tra i capannoni di Sassuolo o in qualche polo logistico, in una periferia dove da tutelare non c’è davvero nulla e, oltretutto, si possono installare liberamente parabole, caldaie, condizionatori e chiudere i terrazzi come previsto dalle leggi introdotte su proposta del ministro Salvini?

Aiutare le famiglie

Il governo fa davvero fatica a parlare di temi ambientali, si capisce che sono politiche di cui farebbe volentieri a meno se non fossimo costretti dall’Europa. Eppure, se non fossero così prevenuti, potrebbero esultare per alcuni dati appena pubblicati che riguardano la produzione elettrica.

Altro che bearsi di quelli contraddittori sull’occupazione, i numeri sulle fonti rinnovabili sono una boccata di ossigeno per l’economia italiana. Nei primi sei mesi dell’anno il 53 per cento della produzione elettrica è stato garantito da eolico, solare, idroelettrico, garantendo così prezzi più bassi perché si è potuto usare meno carbone e gas che importiamo.

Tutto questo è avvenuto soprattutto grazie al solare, che in dodici mesi ha avuto un aumento della produzione di oltre il 18 per cento. In questi anni sono cresciuti sia gli impianti di grande taglia sia quelli diffusi sugli edifici, che però ora rischiano di fermarsi perché dopo il taglio del superbonus è prevista dal prossimo anno anche la riduzione della detrazione in vigore.

E se ci aggiungiamo le complicazioni di procedura rischiamo un tracollo. Ma come si aiutano le famiglie? Con regole semplicissime e accesso al credito, perché questi impianti si ripagano in pochi anni ma tante famiglie non hanno soldi in banca da investire.

Oramai siamo l’unico paese che non prevede prestiti a tassi agevolati per gli impianti domestici, quando in questo modo si può evitare di avere un impatto sulla spesa delle famiglie perché si ripagano con i risparmi. E magari finanziare anche comunità energetiche e interventi integrati di risparmio energetico e autoproduzione dal solare.

Se prima di approvare il testo avessero chiesto consiglio ai sindaci o alle imprese avremmo evitato non solo questi errori ma sarebbe uscita fuori qualche proposta utile. Ad esempio sulle compensazioni. Perché oggi ci sono indicazioni contraddittorie e inefficaci rispetto a quanto rimane ai comuni come ristoro dagli interventi.

Mentre, se fosse chiara la percentuale dei ricavi dai progetti di grandi dimensioni, aiuterebbe a mostrare i vantaggi economici per le comunità, gli interventi che potrebbero essere finanziati, rafforzando il consenso. Il problema è che se fai queste cose, creando opportunità e lavoro, poi va in crisi tutta la propaganda sui «disastri del Green Deal europeo» di cui parla la presidente del Consiglio.

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