In consiglio è scoppiato il caso della laica Natoli, mai dimessa, con la resa dei conti nel prossimo plenum. In Corte costituzionale ancora non è stato nominato il giudice vacante, circola l’ipotesi di nomine “a pacchetto”
Il Colle
auspicava la nomina rapida del giudice e di chiudere il caso al Csm
Settembre sarà un mese di fuoco per due istituzioni nevralgiche nella galassia della giustizia. L’11 settembre si svolgerà il primo plenum del Consiglio superiore della magistratura e si preannuncia un corpo a corpo tra la componente laica e quella togata sul caso della consigliera in quota Fratelli d’Italia, Rosanna Natoli. Il 17 settembre, invece, è convocato il parlamento in seduta comune per tentare di eleggere il giudice costituzionale mancante ormai da novembre scorso, ma le possibilità di arrivare a un nome appaiono scarse.
In entrambi i casi, il vero cuore della vicenda è il modo con cui il centrodestra di governo intende il ruolo di queste istituzioni e come si sta muovendo per gestire il suo ruolo di maggioranza, anche in relazione alla funzione di garanzia invece svolta dal Quirinale.
Il caso Csm
Il caso più esplosivo riguarda il Csm, con una recente evoluzione inaspettata. Prima i fatti: la consigliera laica in quota Fratelli d’Italia e considerata molto vicina al presidente del Senato Ignazio La Russa, Rosanna Natoli, si è autosospesa dalla sezione disciplinare ed è finita sotto indagine presso la procura di Roma, dopo essere stata registrata mentre violava il segreto della camera di consiglio, parlando in un colloquio riservato con la siciliana Maria Fascetto Sivillo in merito al procedimento disciplinare cui era sottoposta.
In seguito alla rivelazione di questi fatti, la consigliera ha scelto di non prendere parte all’ultimo plenum di luglio del Csm, in cui è stato nominato il nuovo procuratore di Catania, Francesco Curcio, mentre lei sosteneva Francesco Puleio. Già all’epoca i retroscena raccontavano che la componente togata avrebbe caldeggiato le sue dimissioni dal Csm e considerato inopportuna una sua eventuale partecipazione al plenum. Infine, anche dal Quirinale sarebbe arrivata una moral suasion in questo senso al comitato di presidenza.
Ora, in vista della ripresa dei lavori, in molti si aspettavano le sue dimissioni. Invece la consigliera laica ha mostrato di non avere alcuna intenzione di fare un passo indietro e anzi ha deciso di attaccare: ha inviato al comitato di presidenza una istanza di annullamento in autotutela delle delibere prese dal consiglio nell’ultimo plenum a cui lei non ha partecipato, spiegando che la sua assenza è stata causata da un intervento intimidatorio dei togati delle correnti progressiste di Area e Magistratura democratica.
Natoli, difesa dall’avvocato ex missino Giuseppe Valentino (che avrebbe dovuto essere nominato consigliere al Csm ma il suo nome saltò in seguito alla rivelazione di un suo coinvolgimento in una inchiesta), ha scritto che «non si è integrato il reato di rivelazione di segreto d’ufficio, non avendo mai rivelato a Fascetto alcun segreto, così come emerge dalla registrazione depositata». Poi ha scritto di aver subito pressioni per non partecipare al plenum del 17 luglio: «Mi veniva riferito che la consigliera Francesca Abenavoli a nome di tutto il gruppo di Area e di Md, aveva comunicato al vicepresidente che qualora fossi entrata in aula consiliare per partecipare ai lavori avrebbero, in apertura del collegamento con radio radicale, diffuso, mediante lettura, la trascrizione del contenuto della chiavetta Usb».
Così, «terrorizzata, forzata e violentata psichicamente dalle parole e dalle intenzioni riferitemi, e non avendo avuto neanche il tempo di riflettere in merito alla genuinità o meno della chiavetta Usb, temendo la ripercussione mediatica minacciatami dai quei gruppi consiliari, sono stata “costretta” mio malgrado ad allontanarmi».
Per questo Natoli ha sostenuto che «la votazione è stata inficiata dalla lesione del diritto della sottoscritta di partecipare» alla nomina del procuratore di Catania e chiede «la revoca in autotutela delle delibere trattate».
La miglior difesa, dunque, si è rivelata l’attacco per neutralizzare la strategia che stava prendendo forma nelle riflessioni soprattutto dei togati. Nel caso di mancate dimissioni spontanee di Natoli, infatti, l’ipotesi teorizzata da illustri giuristi tra cui il direttore di Questione Giustizia, l’ex toga di Md Nello Rossi, era quella che fosse il comitato di presidenza a proporre la sospensione della consigliera. L’ articolo 37 della legge 195 del 24 marzo 1958, che disciplina la vita del Csm, stabilisce infatti che la sospensione dei consiglieri è possibile nel caso in cui «siano sottoposti a procedimento penale per delitto non colposo» e il voto sarebbe a scrutinio segreto a due terzi. Venti consiglieri basterebbero dunque: i 20 togati sarebbero favorevoli, cui potrebbe sommarsi il sì della prima presidente della Cassazione Margherita Cassano e del procuratore generale Luigi Salvato e dei tre laici di minoranza, e non è detto che i laici di centrodestra facciano scudo alla collega. Anche perchè, se la sospensione non passasse, sarebbe stato un modo di mettere in minoranza anche il comitato di presidenza e soprattutto l’implicita volontà del Colle.
La contromossa di Natoli, invece, ha scongiurato per ora tutto questo. Ad oggi, il comitato di presidenza farà unicamente una relazione sul caso, senza ulteriori iniziative. Il dibattito che seguirà, tuttavia, sarà lo specchio di un clima molto deteriorato. Tutto sotto l’occhio del presidente Sergio Mattarella, che del Csm è presidente e che certamente non auspicava un rientro dalla pausa estiva – con i tanti dossier spinosi sul tavolo, a partire dal parere sulla riforma costituzionale della magistratura – all’insegna della spaccatura interna.
La Consulta
L’altra data chiave, invece, è quella in cui il parlamento si riunirà per tentare di votare il nuovo giudice costituzionale e ricostituire dunque l’interezza del collegio della Corte costituzionale. In questo caso l’auspicio del presidente Mattarella era stato espresso in modo esplicito: alla cerimonia del Ventaglio di fine luglio, infatti, aveva richiamato all’urgenza di procedere all’elezione del nuovo giudice per evitare qualsiasi rischio di «vulnus alla Costituzione». Lui stesso, del resto, si era affrettato a nominare immediatamente i due giudici di nomina presidenziale dopo il termine del novennato di Daria de Pretis e Nicolò Zanon.
Per Silvana Sciarra, di nomina parlamentare e “pensionata” nella stessa data, le camere non si sono ancora decise. O meglio, nonostante cinque sessioni plenarie, un nome non ha ottenuto la maggioranza qualificata di due terzi per le prime tre votazioni e nemmeno di tre quinti per quelle successive. Anche in questo caso il punto rischia di essere politico: il centrodestra è deciso ad individuare un suo nome e per ora sono circolati quelli del costituzionalista autore della riforma del premierato Francesco Saverio Marini, che però è diventato collaboratore di fiducia del governo per le riforme e privarsene sarebbe un problema, e quello dell’ex presidente delle Camere penali Giandomenico Caiazza, lanciato dal deputato di Azione, Enrico Costa. In passato era emerso anche il nome della professoressa Ida Nicotra, moglie del laico del Csm Felice Giuffrè.
Serve però in ogni caso l’appoggio dell’opposizione e fino ad ora non è stato trovato. Per questo il rischio è che – disattendendo gli auspici del Colle – la situazione possa sbloccarsi solo a dicembre, quando termineranno il mandato anche altri tre giudici di nomina parlamentare: Augusto Barbera, Franco Modugno e Giulio Prosperetti. Con quattro caselle da riempire, l’accordo con le opposizioni (cui potrebbe essere lasciata l’individuazione di un nome) sarebbe più semplice.
Curioso, se si arrivasse a questo, è però constatare che questo sistema di nomine “a pacchetto” per un ruolo di alta responsabilità tecnico-giuridica per un’istituzione di garanzia sarebbe simile al meccanismo utilizzato anche dal Csm per le nomine direttive, poi censurato e abolito in seguito al caso Palamara.
Sempre ragionando per ipotesi e se veramente entrambe le vicende di Consulta e Csm si prolungassero fino a dicembre, il “pacchetto” potrebbe diventare ancora più pesante. Se la vicenda Natoli si concludesse infine con le dimissioni, in palio ci sarebbe anche un posto vacante in consiglio, determinante per gli equilibri di maggioranza in seno all’organo di governo autonomo.
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