Dopo un’intensa settimana, in Medio Oriente è giunto il momento di alzare le difese e prendere precauzioni in vista dei prossimi giorni. Hezbollah ha iniziato le evacuazioni dei suoi uomini dalle roccaforti di Beirut, per evitare di perdere colpi come accaduto con l’attacco di martedì in cui è stato ucciso Fuad Shukr, funzionario di alto rango dell’organizzazione libanese. Nella giornata di ieri sono stati svuotati il quartier generale e i centri di comando di Beirut.

A sessanta chilometri dalla capitale gli abitanti del quartiere Makassed a Nabatiye hanno ricevuto sui loro cellulari dei messaggi in arabo ed ebraico inequivocabili: «Per la tua sicurezza e quella della tua famiglia, ti preghiamo di evacuare la casa entro un’ora».

Agli israeliani, invece, sono state fornite istruzioni su come affrontare eventuali attacchi nel paese. A Gerusalemme le autorità hanno indicato rifugi antiaerei e parcheggi da utilizzare come ripari raggiungibili in circa novanta secondi da quando iniziano a suonare le sirene. Nei supermercati sono aumentate le vendite di beni di prima necessità come cibo in scatola, acqua e carne congelata. Ai ministri del governo guidato dal premier Benjamin Netanyahu sono stati forniti telefoni satellitari nel caso in cui vengano prese di mira le reti di telecomunicazione.

Il ministero degli Esteri francese ha chiesto ai suoi cittadini presenti in Iran di lasciare il paese il prima possibile. In Francia, invece, sono state rafforzate le misure di sicurezza per la comunità ebraica. Gli Stati Uniti hanno mobilitato 12 navi da guerra tra il Mar Rosso e il Golfo Persico. Non solo, secondo il New York Times, Washington è disponibile anche per inviare ulteriori caccia per aiutare Israele nel caso in cui nelle prossime ore arrivi il temuto attacco militare di Teheran e i suoi alleati in Libano e Yemen.

Tra le ipotesi in campo c’è un attacco con un lancio in massa di droni dalla Siria. Ma Israele sembra pronto anche grazie ai suoi partner. Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha detto di aver avuto un confronto telefonico «molto diretto» con Netanyahu, facendo intendere che altre provocazioni non saranno tollerate.

Ma anche nella giornata di ieri non sono mancati motivi di scontro. La polizia israeliana ha arrestato Ikram Sabri l’imam 85enne della sacra moschea di Al Aqsa, accusato per incitamento al terrorismo per aver ricordato Ismail Haniyeh durante la preghiera del venerdì. «È chiara la mia politica verso i fomentatori: tolleranza zero», ha scritto su X il ministro israeliano per la Sicurezza nazionale, l’estremista Itamar Ben-Givr.

Fonti di Hamas citate dai media arabi hanno invece detto che l’esercito israeliano ha ucciso dieci giorni fa due leader del politburo e tre comandanti militari in un tunnel sotto Gaza City. Erano tra gli alleati più vicini a Yahya Sinwar. Il cerchio intorno a lui si sta stringendo.

La sepoltura di Haniyeh

L’Iran e i suoi alleati hanno atteso la fine dei funerali dell’ex leader politico di Hamas, Ismail Haniyeh, ucciso in una residenza di Teheran nella notte di mercoledì prima di un eventuale attacco. Dopo i funerali tenuti in Iran, ieri è avvenuta la sepoltura a Doha alla presenza di diversi leader arabi e della regione. Migliaia di persone si sono radunate fuori la moschea Imam Muhammad bin Abdul Wahhab.

Da anni Haniyeh viveva in esilio in Qatar da dove portava avanti gli affari dell’organizzazione. Alla cerimonia funebre erano presenti l’emiro del Qatar, Sheikh Tamim bin Hamad Al Thani, il padre, e il premier e ministro degli Esteri, Mohammed bin Abdulrahman Al Thani (uno dei negoziatori più importanti tra Hamas e Israele). Presenti anche alti funzionari di Fatah, e il leader palestinese Moustafa Barghouti.

Il ruolo della Turchia

A dominare la giornata di ieri è stata però la Turchia. L’ambasciata a Tel Aviv ha abbassato la bandiera a mezz’asta per onorare il leader di Hamas ucciso provocando l’ira del ministero degli Esteri israeliano che ha convocato l’ambasciatore in segno di protesta. Il capo della diplomazia turca Hakan Fidan è stato uno dei pochi leader internazionali presenti a Doha per la sepoltura di Haniyeh. Era lì anche per un altro obiettivo: incoronare il suo successore alla guida di Hamas.

Poco prima dei funerali ha avuto un incontro con Khaled Mashal, capo politico della diaspora di Hamas, che è stato scelto come nuovo leader. Lo ha annunciato il ministero turco con un comunicato molto stringente: Ankara considera Mashal il nuovo capo ad interim di Hamas. In meno di 48 ore c’è un nuovo capo, non poteva essere altrimenti vista la situazione delicata. Sembra però che questa volta a dettare la linea sia la Turchia del presidente Recep Tayyip Erdogan, il più duro contro Israele negli ultimi dieci mesi, mentre l’Iran si sta ancora “leccando le ferite” per l’umiliante attentato subito a Teheran.

Con Mashal si è deciso di puntare sulla certezza e sulla sua capacità di leadership, visto che è stato a capo del politburo di Hamas dal 1996 al 2017 prima di lasciare il posto al defunto Haniyeh. Dopo gli studi in Kuwait ha vissuto in Giordania, Siria e poi Doha dal 2013. Più volte in questi dieci mesi Mashal ha accompagnato Haniyeh nei suoi viaggi istituzionali, soprattutto in Turchia, per le trattative.

Erdogan sembra aver scelto un uomo di esperienza che ha forti relazioni estere, l’ideale in caso di riavvio dei negoziati.

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