Fumata nerissima al tavolo del ministero tra i rappresentanti sindacali e delle istituzioni e quelli del colosso turco degli elettrodomestici. A rischio chiusura gli stabilimenti di Siena e Ascoli Piceno, mentre per quello di Varese si andrebbe verso il ridimensionamento. Per il rappresentante dell’azienda il piano industriale che prevede la chiusura è perfettamente in linea con la legge
Nessun lieto fine, almeno al momento, per i lavoratori italiani del gruppo Beko. Nell’ultimo incontro, oggi pomeriggio a Roma a Palazzo Piacentini, sede del ministero delle Imprese e del Made in Italy e che ha visto coinvolti i vertici dell’azienda, i sindacati e le istituzioni, i rappresentanti della multinazionale turca hanno confermato il proprio piano industriale: nonostante le pressioni ricevute dal governo e dalle parti sociali non si torna indietro su chiusure e licenziamenti.
Il piano, che prevede 1.935 esuberi e la chiusura degli stabilimenti di Siena e di Comunanza (in provincia di Ascoli Piceno), oltre al ridimensionamento del sito di Cassinetta di Biandronno (provincia di Varese) – il più grande di cui il gruppo dispone in Italia – alimenta forti preoccupazioni per il futuro industriale dell’Italia, con un settore, quello degli elettrodomestici, di cui era leader nella produzione e continua anno dopo anno a perdere posizioni di mercato.
Nessun passo indietro
Maurizio David Sberna, responsabile delle relazioni esterne di Beko, ha ribadito che il piano industriale della multinazionale «non può cambiare», poiché è «in linea con il golden power». La decisione di dismettere gli impianti italiani sarebbe motivata dall’assenza di equilibrio finanziario nei siti di Siena, Cassinetta e Comunanza, nonostante gli investimenti fatti negli ultimi anni. Secondo l’azienda, senza una drastica riorganizzazione, il rischio di gravi difficoltà economiche si concretizzerebbe entro due anni. Sberna ha anche sottolineato che azioni simili sono state già intraprese con successo in Polonia e Regno Unito, garantendo risorse per sostenere l'azienda altrove. Tuttavia, ha aperto alla possibilità di collaborare con governo, istituzioni locali e sindacati per valutare ulteriori opzioni che possano mitigare le perdite e limitare l’impatto sociale del piano.
La posizione del governo
Al tavolo ministeriale, il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha espresso una posizione ferma: «Il piano è inaccettabile e non corrisponde pienamente alle prescrizioni della golden power». Per Urso, la crisi di Beko non è un fulmine a ciel sereno, ma una conseguenza di scelte risalenti nel tempo, a partire dalla cessione del gruppo Merloni a Whirlpool, che segnò un duro colpo per l’industria italiana dell’elettrodomestico.
Il ministro ha rimarcato come le disposizioni della golden power abbiano impedito chiusure immediate, come accaduto in altri Paesi europei, ma ha anche avvertito che eventuali inadempienze potrebbero portare all’applicazione di sanzioni. La richiesta del governo è chiara: un piano industriale più assertivo, che includa significativi investimenti in Italia e sia conforme alle prescrizioni del golden power, in particolare per quanto riguarda la sovrapposizione produttiva con gli altri stabilimenti Beko in Europa.
Il nodo del golden power
Tuttavia il golden power rappresenta un’incognita cruciale nel caso Beko Italy. Questo strumento consentirebbe al governo italiano di intervenire, con poteri speciali, per tutelare interessi strategici nazionali in settori chiave come difesa, energia, telecomunicazioni e infrastrutture, imponendo vincoli o bloccando operazioni societarie. Ma in questo caso, non essendoci criticità per la sicurezza del Paese, il suo margine di applicazione è limitato.
Beko sostiene che il proprio piano industriale rispetti le prescrizioni di legge, ma il governo potrebbe comunque invocare il golden power per garantire la reindustrializzazione dei siti dismessi e salvaguardare il settore manifatturiero italiano. Tuttavia, l’intervento rischia di scontrarsi con vincoli legali, possibili controversie internazionali e il principio europeo di libera concorrenza.
Le perplessità aumentano se a questo si aggiunge che il ministero continua a non voler divulgare il documento che certificherebbe l’effettivo esercizio del golden power: «Nell'incontro di oggi al Mimit il ministro, aprendo i lavori dopo un excursus storico sulle società dell'elettrodomestico, ha ribadito che il golden power e le sue deterrenze rimangono un segreto di stato inviolabile», ha dichiarato Barbara Tibaldi, segretaria nazionale Fiom-Cgil con delega agli elettrodomestici.
«Il governo deve passare dagli annunci ad effetto, ad una proposta accompagnata da risorse economiche vere a sostegno anche diretto dell'industria, per concorrere alla sostenibilità nella competizione globale», ha proseguito Tibaldi, che ha anche annunciato che le proteste continueranno: «La nostra mobilitazione prosegue con lo sciopero di tutta la categoria di domani a Varese e di venerdì a Siena».
L’incognita sul dopo
Un punto centrale del confronto è il processo di reindustrializzazione: il governo e le parti sociali chiedono che l’eventuale disimpegno di Beko sia accompagnato da un piano concreto per il rilancio delle aree colpite, salvaguardando il più possibile i livelli occupazionali. Tuttavia, l’incertezza sul reale margine di manovra del golden power per imporre un cambio di rotta all’azienda turca pesa come un’incognita. Il colosso turco degli elettrodomestici sembra determinato a perseguire la propria strategia senza deviazioni, il futuro degli stabilimenti di Siena e Comunanza è appeso a un filo. E con esso la fiducia nella capacità dell’Italia di tutelare il proprio patrimonio industriale e i lavoratori coinvolti.
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