Il patron del gruppo Duferco è in società via Lussemburgo con un big dell’acciaio del Dragone. «A giugno venderemo la quota», dicono i portavoce del candidato alla guida degli industriali. Una corsa che vede tra i concorrenti anche il genovese Edoardo Garrone e l’emiliano Emanuele Orsini
Verde e più verde. Sarà solo una coincidenza, o forse no, ma la corsa alla presidenza di Confindustria quest’anno si gioca anche sulle sfumature green dei candidati, la coppia di imprenditori, due pesi massimi, al momento favoriti per l’incarico di vertice. Da una parte Antonio Gozzi, che guida Duferco, colosso internazionale dell’acciaio e del commercio di materie prime. Dall’altra Edoardo Garrone, al vertice di Erg, il gruppo di famiglia.
Uniti dalla comune origine ligure, entrambi amano sfoggiare credenziali ambientaliste, anche se arrivano da mondi che con l’ecologia hanno storicamente poco a che fare. I Garrone devono la loro fortuna al petrolio. Gozzi è un pezzo da novanta della siderurgia nazionale e presiede Federacciai, l’associazione di categoria affiliata a Confindustria.
La svolta di Erg risale a una decina di anni fa. Vendute le raffinerie, tra cui quella di Priolo ai russi Lukoil, l’azienda con base nella città della Lanterna ha concentrato gli investimenti sulle rinnovabili, solare ed eolico, ed è cresciuta fino a diventare uno dei principali operatori europei del settore. Per Gozzi, 70 anni tra tre mesi, la conversione verde è più recente, una rincorsa scandita da investimenti e annunci.
Tifo bresciano
L’ultimo della serie risale all’ottobre scorso, quando il ministro delle Imprese Adolfo Urso ha inaugurato il più moderno degli stabilimenti italiani del gruppo Duferco. Un impianto alimentato per intero con energia pulita, “uno spot per la siderurgia italiana”, si esaltò all’epoca Gozzi. Il capo di Federacciai viene dalla Liguria, più precisamente da Chiavari (è il patron dell’Entella, la locale squadra di calcio ora in serie C), ma nella sua corsa al vertice di Confindustria ha fin qui raccolto i consensi maggiori proprio nel bresciano, uno dei territori a più alta intensità industriale d’Italia, nonché capitale nazionale dell’acciaio.
In prima fila tra i suoi sponsor troviamo per esempio Giuseppe Pasini, proprietario del gruppo Feralpi (2 miliardi di ricavi), già a capo di Confindustria Brescia. Pasini nel 2020 arrivò a un passo dal vertice nazionale dell’associazione degli imprenditori, sconfitto da Carlo Bonomi. Adesso mister Feralpi e gran parte dei bresciani remano a favore di Gozzi, che avrebbe incassato anche il sostegno di Antonio D’Amato, che guidò Confindustria tra il 2000 e il 2004 e si porta in dote un pacchetto importante di voti.
A favore di Garrone si sono mobilitati molti grandi nomi dell’establishment del nord, da Marco Tronchetti Provera a Gianfelice Rocca (Techint) con il sostegno di Emma Marcegaglia, un altro grande nome della siderurgia che però non viene annoverata tra i sostenitori di Gozzi.
Giornali e propaganda
La macchina elettorale del capo di Duferco si è messa in moto con grande anticipo in vista di una gara che formalmente entrerà nel vivo solo dal primo febbraio, quando verranno designati i cosiddetti saggi, cioè i componenti della commissione chiamata a individuare una rosa di candidati. Del gruppo dei pretendenti potrebbe far parte anche l’attuale vicepresidente Emanuele Orsini, espressione delle piccole e medie aziende, che quattro anni fa si rivelò decisivo per far pendere la bilancia a favore di Bonomi e ora viene dato in ascesa.
Al momento però i riflettori sono tutti puntati sui due big. Nelle ultime settimane, Gozzi ha moltiplicato interviste e apparizioni sui media. Più discreto Garrone, che comunque conosce dall’interno il mondo dell’editoria, visto che è presidente del Sole24 Ore, il quotidiano confindustriale.
Com’era prevedibile, i giornali hanno registrato anche i malumori di alcuni settori del mondo industriale verso il candidato targato Duferco, che viene visto con malcelata ostilità soprattutto dallo schieramento dei veneti. E certo non aiutano la corsa di Gozzi le sue frequentazioni presenti e passate con un colosso dell’acciaio cinese del calibro di Hesteel, il secondo gruppo al mondo per ricavi alle spalle dell’indiana Mittal, che controlla Ilva. I governi occidentali, Roma compresa, guardano con sospetto alle aziende di Pechino e di certo anche gli intrecci del candidato al vertice di Confindustria saranno esaminati con cura dalle autorità di controllo.
Il rapporto nasce offshore, per la precisione in Lussemburgo, dove hanno sede le holding a cui fa capo la galassia Duferco, una multinazionale che ha chiuso il 2022 (ultimo anno di cui sono noti i conti) con un giro d’affari di 45,7 miliardi di dollari (41,7 miliardi di euro al cambio attuale) e profitti per 385 milioni di dollari (350 milioni di euro), una macchina da soldi che sfrutta un reticolo di società esteso tra l’Europa e le Americhe.
Il boom di ricavi e utili è stato innescato dalla crescita esponenziale dei prezzi dell’acciaio come anche dei noli marittimi e del trading di energia, altri due settori in cui è impegnato il gruppo. Gozzi divide il controllo di questo impero con suo zio Bruno Bolfo, 82 anni, mezzo secolo di carriera alle spalle, nel commercio di materie prime, un trader, da molto tempo a Lugano che ha fatto fortuna anche grazie ai suoi rapporti con i russi, prima, e poi i cinesi.
Questi ultimi, con Hesteel, nel 2014 hanno rilevato il 51 per cento di Duferco International trading holding, sede a Lussemburgo. La quota di Bolfo e Gozzi si è progressivamente ridotta nel corso degli anni dall’iniziale 49 per cento. Nel 2021 è scesa dal 33,4 per cento al 21,5, l’anno successivo al 10,7 per cento. Fonti vicine a Gozzi informano che attualmente la partecipazione è di poco superiore al 5 per cento.
«Entro giugno il rapporto societario con Hesteel sarà sciolto», annunciano le stesse fonti. Per quell’epoca si saprà già se Gozzi avrà conquistato il vertice di Confindustria. Intanto la vendita delle quote ai cinesi ha fruttato proventi milionari: 68 milioni di dollari nel solo 2022.
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