Sciopero per 120mila lavoratori del gruppo. I sindacati chiedono una revisione radicale del piano di ristrutturazione. Richieste respinte, ma il negoziato prosegue
Li hanno chiamati “scioperi di avvertimento”, in vista di una mobilitazione più decisa di cui sperano di non aver bisogno. Così i 120mila lavoratori degli stabilimenti tedeschi di Volkswagen lunedì 2 dicembre si sono fermati a turno per due ore per protestare contro il piano di ristrutturazione, che prevede la chiusura di tre stabilimenti in Germania (i vertici non hanno ancora reso noto di quali si tratta) e il taglio di 15mila posti di lavoro. Il piano prevede anche la riduzione del 10 per cento dello stipendio degli operai tedeschi.
Le trattative tra i sindacati, il governo (che attraverso il Land della Bassa Sassonia detiene una quota societaria) e l’azienda sono ancora in corso, con i primi due che hanno chiesto ai vertici di rivedere il piano, sottolineando come le chiusure acuirebbero la crisi economica di quella che fino a pochissimo tempo fa era considerata la locomotiva d’Europa. Una nuova sessione di negoziati è prevista per lunedì 9 dicembre, ma intanto le proteste non sembrano destinate a placarsi.
Primo avvertimento
Il sindacato IG Metall, la principale organizzazione dei lavoratori metalmeccanici tedeschi, ha così indetto uno sciopero “di avvertimento” in nove stabilimenti: oltre a quello principale di Wolfsburg, sono coinvolti anche i siti di Zwickau, Hannover, Emden, Kassel-Baunatal, Braunschweig, Salzgitter, Chemnitz e Dresda, con quest’ultimo – situato nell’ex Ddr, l’area meno sviluppata del Paese – che è tra quelli più indiziati alla chiusura.
Non si è quindi trattato di un vero e proprio sciopero, ma piuttosto di un atto dimostrativo: gli stabilimenti si sono fermati a turno per due ore, interrompendo la produzione di oltre mille autoveicoli. Un atto preparatorio in vista di una protesta ben più organica, nella speranza che sia sufficiente a indurre i vertici di Volkswagen a fare marcia indietro, ma nella consapevolezza che difficilmente basterà. Thorsten Gröger, capo negoziatore di IG Metall, ha dichiarato che, se necessario, questa potrebbe diventare «la più dura disputa contrattuale che Volkswagen abbia mai affrontato».
I piani aziendali
Al momento però i vertici di Volkswagen sembrano risoluti ad attuare il piano di risanamento, imposto, a detta dei manager, da crisi globale del settore auto.
Il ceo di Volkswagen Thomas Schäfer dieci giorni fa ha dichiarato che l'azienda non può evitare licenziamenti e chiusure di alcune fabbriche, ritenendoli indispensabili per raggiungere l’obiettivo di ridurre i costi di 4 miliardi di euro, ed evidenziando come il costo del lavoro negli stabilimenti tedeschi del gruppo automobilistico siano circa il doppio rispetto alle sedi presenti negli altri Paesi.
Schafer ha anche affermato che la ristrutturazione dovrà essere completata nel giro di 3-4 anni. Volkswagen ha già messo in atto una serie di misure per contrastare l'eccesso di capacità produttiva e i costi elevati, come i prepensionamenti degli operai più anziani, ma secondo il numero uno di Volkswagen non è sufficiente a far quadrare i conti.
Il muro contro muro sembra quindi destinato a proseguire e la mediazione della politica per ora non ha prodotto effetti: gli appelli del governatore della Bassa Sassonia, il socialdemocratico Stephan Weil, per chiedere alla multinazionale dell’auto di fare marcia indietro, sono caduti nel vuoto.
© Riproduzione riservata