I ceti popolari, rispetto al ceto medio, si trovano a fare i conti con strutture peggiori in tutti i gradi, con differenze del 15 per cento sugli asili, del 7 per cento sulle scuole per l’infanzia, dell’11 per cento sulle scuole elementari
L’anno scolastico è ripartito, con il solito portato di problemi e complessità. La valutazione che gli italiani hanno del sistema scolastico italiano raggiunge appena la sufficienza. Il voto più basso è assegnato alle scuole medie (il classico 6, in una scala di voto da 1 a 10), le scuole superiori si assicurano un risicato 6,1, gli asili 6,2, le scuole per l’infanzia e quelle elementari arrivano a 6,4. Solo le Università arrivano a sfiorare il sette (6,7).
I voti non sono omogenei a livello territoriale e sociale. Al sud troviamo i voti più critici con punte di maggiore insufficienza su asili nido, scuole superiori, Università. I ceti popolari, rispetto al ceto medio, si trovano a fare i conti con strutture peggiori in tutti i gradi, con differenze nei voti insufficienti del 15 per cento sugli asili, del 7 per cento sulle scuole per l’infanzia, dell’11 per cento sulle scuole elementari, dell’8 per cento sulle medie inferiori e del 7 per cento sulle medie superiori.
I problemi
È quanto emerge dalla rilevazione dell’osservatorio Fragilitalia che il centro studi di Legacoop e Ipsos fanno sul tema. Le principali problematiche che attanagliano il sistema formativo nostrano per l’opinione pubblica sono: la scarsa motivazione dei docenti (44 per cento), l’applicazione di programmi di studio obsoleti ed eccessivamente teorici (43), un’edilizia scolastica inadeguata e ormai in gran parte vecchia (41). Altri fattori che rendono la scuola poco performante sono la scarsa preparazione di alcuni docenti (36), le dotazioni tecnologiche inadeguate (36), la carenza di insegnanti (35) e la presenza di classi sovraffollate (32). Il giudizio dei ragazzi e delle ragazze è di poco differente da quello della media nazionale.
Al primo posto, tra le carenze del sistema formativo, mettono non solo la scarsa motivazione dei docenti, ma anche i programmi obsoleti (entrambi al 41 per cento); al secondo posto troviamo la bassa qualità dell’edilizia scolastica e la scarsa preparazione dei docenti (entrambi al 30 per cento). Le classi sovraffollate non sono avvertite come un grosso problema (16 per cento), mentre per i ragazzi la carenza di dotazioni tecnologiche (25 per cento) è pesante e si fa sentire, così come incide la carenza di docenti (24).
Per i giovani ci sono anche altri problemi sottovalutati come la presenza di barriere architettoniche, le forniture scolastiche inadeguate, i servizi mensa di bassa qualità, l’inadeguatezza dei supporti per gli studenti che hanno difficoltà con l’apprendimento.
I risultati
Sotto la lente critica c’è anche la qualità non eccelsa delle competenze che la scuola italiana riesce a fornire su: competenze digitali (54 per cento di voti negativi sulla capacità di fornire saperi adeguati, con una valutazione che schizza al 72 per cento tra i ceti popolari); competenze green (67 per cento di voti negativi, dato che vola al 73 per cento tra i ceti popolari e al 71 al sud); competenze linguistiche (52 per cento di voti negativi, dato che sale al 58 tra i ceti popolari). Il grande buco del modello formativo italiano resta quello della connessione con il mondo del lavoro.
Nessuno ha la soluzione pronta e i suggerimenti che arrivano dall’opinione pubblica si differenziano tra scuole superiori e università. Le iniziative che, per gli italiani, potrebbero offrire un miglior accesso al mercato del lavoro al termine della scuola superiore potrebbero essere: corsi volti all’accesso al mondo del lavoro (70), scambi culturali con scuole europee (68) e presentazioni aziendali all’interno delle scuole (67).
Per una migliore connessione Università-imprese vengono sollecitati: periodi di studio all’estero (53), tirocini obbligatori (49), stage in imprese (47). Infine, i percorsi formativi che, secondo l’opinione pubblica, offrono maggiori possibilità sono: informatica e telecomunicazioni (40); sanità (31); meccanica, meccatronica ed energia (29); elettronica ed elettrotecnica (27); amministrazione, finanza e marketing (22). I settori che appaiono meno capaci di offrire potenzialità lavorative, invece, sono: arte e musica (4 per cento), moda (6), educazione e insegnamento (6), trasporti e logistica (8), grafica e comunicazione (9).
Il quadro della ricerca mostra una scuola in carenza di ossigeno e, soprattutto, incapace di essere strumento della riduzione dei divari sociali. I figli dei ceti popolari sono parcheggiati in scuole di medio basso profilo, che non li aiutano a crescere, né forniscono loro gli strumenti per poter salire sull’ascensore sociale. E così, come ci ricorda il pedagogista brasiliano Paulo Freire, «l’educazione che non trasforma la società è un’educazione che riproduce le disuguaglianze».
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