Il tasso di disoccupazione ha toccato il livello più basso da quando esistono le serie storiche, scendendo al 5,7%. È un dato senza dubbio positivo, ormai saldamente inferiore alla media europea e a paesi come la Francia, la Spagna, la Danimarca. Festeggiare questo dato non deve però distrarci dal vero nodo critico italiano, ossia il tasso di occupazione, che, sebbene sia a livelli record per il nostro paese (62,4 per cento), ci posiziona all’ultimo posto in Europa.

La distanza con i paesi che ci superano per disoccupazione è lampante. In Spagna il tasso di occupazione è del 66,6 per cento, in Francia del 69,4 per cento, in Danimarca del 77,3 per cento, ma anche la Grecia, da sempre pecora nera d’Europa negli ultimi trimestri ci ha superato di circa 1,5 punti percentuali.

Ma come stanno insieme un tasso di disoccupazione sotto la media europea e uno di occupazione all’ultimo posto? Il convitato di pietra di questa analisi è il numero di inattivi, ossia le persone che non solo sono senza lavoro, ma che non lo cercano neanche. Un indicatore che ci vede al primo posto in Europa, con il 33,7 per cento di persone inattive tra i 15 e i 64 anni rispetto a una media del 24,4 per cento.

Troppo spesso dimentichiamo che i disoccupati possono diminuire anche se diventano inattivi, non solo se trovano un lavoro. Ed è quello che è successo in Italia nell’ultimo anno, nel quale il tasso di disoccupazione è calato a vantaggio sia di quello di occupazione che di quello di inattività.

Quello che preoccupa è soprattutto l’andamento della fascia d’età 25-34 anni. Considerando, infatti, gli ultimi dodici mesi, vediamo come il numero di occupati sia diminuito di 38mila unità, quello dei disoccupati di 76mila ma quello degli inattivi è invece aumentato di ben 156mila persone. E non è solo un tema demografico legato alla riduzione della popolazione in questa coorte anagrafica, lo dimostra il fatto che il tasso di occupazione è calato di 1,1 punti mentre quello di inattività è cresciuto di 2,3 punti.

È importante considerare nel loro insieme tutti questi dati, e non per sminuire i buoni risultati del mercato del lavoro italiano che indubbiamente mostra una tendenza positiva a partire almeno dal 2021. Se prendiamo l’ultimo anno vediamo come, in numeri assoluti, gli inattivi siano cresciuti tanto quanto gli occupati, mentre se consideriamo la crescita percentuale gli inattivi crescono quasi il doppio.

In questi dati si annidano i primi segnali del rallentamento che soprattutto il settore industriale sta vivendo, con l’aumento dei lavoratori in cassa integrazione, persone che vengono considerate inattive da Istat a partire dal terzo mese in questa condizione.

Emerge quindi anche una certa polarizzazione in corso tra nuovi occupati, spesso nei servizi e in età più matura (almeno over 35) e nuovi inattivi da individuarsi sia nei cassaintegrati sia in una strutturale debolezza dell’occupazione giovanile. Ma i dati positivi degli ultimi trimestri sembrano aver creato una rimozione dei fondamentali del mercato del lavoro italiano, che continuano a essere critici se analizzati nel contesto comparato.

Sullo sfondo restano tutte le criticità che un tasso di occupazione così basso e un numero di inattivi così alto generano dal punto di vista della sostenibilità fiscale e contributiva. Occorre quindi recuperare terreno più rapidamente, riducendo le disuguaglianze territoriali, generazionali, di genere e di nazionalità che contribuiscono alla debolezza del mercato del lavoro.

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