La mancata vendita dell’ex Ilva, la crisi dell’automotive e il continuo ricorso alla cassaintegrazione di Stellantis, il ridimensionamento della multinazionale turca Beko sono solo alcune delle innumerevoli crisi industriali che interessano il nostro Paese e che non hanno trovato soluzione nell’anno appena concluso. Il 2025 sarà un anno cruciale per l’intero comparto industriale italiano
A dispetto dei proclami del governo, il 2024 è stato l’anno delle grandi crisi industriali irrisolte. La mancata vendita dell’Ilva, la crisi senza fine dell’automotive che si traduce nel continuo ricorso alla cassa integrazione negli stabilimenti Stellantis, il disatteso rilancio del polo minerario di Portovesme, l’annunciata chiusura di due siti per la produzione di elettrodomestici da parte dei turchi di Beko: sono tutti fardelli che impattano ancora sulla situazione economica e sociale del nostro Paese, e che si protrarranno nel corso del nuovo anno.
Beko Italy: Chiusure e Delocalizzazioni
Beko, la multinazionale turca degli elettrodomestici in mano al gruppo Arcelik, ha deciso alla fine del 2024 di ridimensionare la propria presenza in Italia, con chiusure annunciate negli stabilimenti di Cassinetta di Biandronno (Varese), Siena e Comunanza (Ascoli Piceno). Le conseguenze sono devastanti per il tessuto industriale italiano: a Cassinetta sono 541 i licenziamenti previsti, con la chiusura di due delle cinque linee produttive dedicate alla realizzazione di frigoriferi e forni a incasso.
Una situazione estremamente critica per il varesotto, interessato da un’altra grave crisi industriale come quella di MV Agusta, con lo storico marchio motociclistico travolto dalla crisi dell’austriaca KTM, che detiene la quota di maggioranza dell’azienda. A Siena sono invece 299 lavoratori a rischio, impiegati principalmente nell'assemblaggio di frigoriferi a pozzetto, mentre il sito di Comunanza vede 320 dipendenti coinvolti, specializzati nella produzione di lavatrici e asciugatrici. In totale, gli esuberi ammontano a 1.935 unità. L’azienda turca ha giustificato queste decisioni con la necessità di ottimizzare i costi e fronteggiare la concorrenza asiatica, ma i sindacati denunciano la mancanza di investimenti promessi per modernizzare gli impianti italiani. Il governo sostiene di aver esercitato il golden power per salvare i posti di lavoro italiani, ma i tavoli di confronto al Mimit e gli incentivi economici proposti per mantenere le attività non hanno portato a soluzioni concrete. Sarà il 2025 l’anno delle risposte?
Stellantis: Cassa Integrazione e Ritardi nella Transizione Elettrica
La crisi dell’automotive sta interessando l’intera Europa, e nel nostro Paese coinvolge tutti gli stabilimenti di Stellantis - unico operatore del settore presente in Italia, a dispetto degli annunci del ministro Urso sull’arrivo di un secondo produttore - e il relativo indotto, come dimostra la vicenda Trasnova, chiusa momentaneamente con un lieto fine. Ma a Melfi, Cassino e Mirafiori si è fatto ampio ricorso alla cassa integrazione nel corso del 2024: nello stabilimento lucano oltre 5.000 lavoratori sono in cassa integrazione a rotazione, mentre Cassino, specializzato nella produzione delle Alfa Romeo Giulia e Stelvio, ha registrato una forte riduzione delle ore lavorative, incidendo sulle prospettive occupazionali dei circa 2.600 dipendenti.
La situazione più critica si registra tuttavia nello stabilimento torinese di Mirafiori, fabbrica storica dell’ex Fiat destinata alla produzione della 500 elettrica, che risente dei bassissimi livelli di vendita, che ha portato all’interruzione della produzione a più riprese nel corso dell’anno, e anche il 2025 si apre con i cancelli serrati: la ripresa delle produzioni è prevista per il 20 gennaio. Dal 2021 al 2024, la cassa integrazione ha comportato un costo di 984 milioni di euro, di cui 280 a carico dell’azienda, ma il futuro occupazionale resta incerto. Come se tutto questo non bastasse, tiene banco anche la questione gigafactory: annunciata nel 2020, dovrebbe essere realizzata a Termoli, in Molise. Ma nonostante gli ultimatum del governo, la costruzione, affidata al consorzio Acc, non è stata ancora avviata. Tutti confidiamo che quello appena cominciato sia l’anno della svolta, ma le perplessità restano.
Una Crisi Sistemica a Portovesme
Anche il polo industriale di Portovesme, in Sardegna, dedicato alla lavorazione di minerali, vive una crisi profonda che va avanti da più di 15 anni, e che coinvolge due principali attori, entrambi stranieri: Glencore e Sider Alloys. Nel 2024 Glencore, multinazionale anglo-svizzera del settore minerario, ha sospeso la produzione dello zinco, lasciando in cassa integrazione 1.200 lavoratori diretti e un numero imprecisato di dipendenti delle aziende appaltatrici.
L’accordo siglato a fine dicembre per il rilancio dell’attività non convince affatto lavoratori e sindacati: “Glencore ha firmato accordi che parlano di pace sociale, ma la situazione devastante a cui ha costretto il mondo degli appalti garantisce solo un buon reddito all’amministratore delegato della Portovesme srl, per il risultato perseguito a vantaggio della multinazionale. Le famiglie dei lavoratori sono lasciate senza reddito, mentre il governo continua a tergiversare, si legge nel comunicato diramato pochi giorni fa dalla Fiom-Cgil”. SiderAlloys, la società svizzera che ha rilevato dall’americana Alcoa l’impianto dedicato alla produzione di alluminio, è al centro delle polemiche. La società, nonostante gli svariati tavoli regionali e nazionali e i piani di rilancio presentati, non ha rispettato gli impegni economici verso i dipendenti, accumulando ritardi nei pagamenti e aumentando le tensioni sociali. I sindacati chiedono interventi urgenti per garantire la continuità produttiva, ma la mancanza di nuovi acquirenti rende incerto il futuro del polo industriale. Anche in questo caso, il 2024 era iniziato con auspici completamente diversi, e il rischio che lo stesso copione si ripeta nel 2025 è tutt’altro che irrilevante.
Ilva, crisi senza fine
La situazione dell’ex Ilva di Taranto, ora Acciaierie d’Italia, resta critica. Dopo il burrascoso addio di ArcelorMittal all’inizio dello scorso anno e la conseguente rinazionalizzazione, la ricerca di nuovi acquirenti da parte del governo si è intensificata, con varie diverse manifestazioni di interesse giunte da diversi attori: gli azeri di Baku Steel Company, interessati all’acquisizione dell’intero complesso industriale, l’ucraina Metinvest, che punta al rilancio produttivo; mentre gli indiani di Vulcan Green Steel, parte del gruppo Jindal Steel, propongono una riconversione degli impianti, nell’ottica della sostenibilità ambientale. Tra i possibili acquirenti ci sarebbe anche Stelco, società canadese acquisita recentemente dalla statunitense Cleveland-Cliffs, ma è ancora tutto in alto mare: inizialmente previsto per la scorsa estate, Il termine per la presentazione delle nuove offerte vincolanti per l'acquisto dell'ex Ilva (che oltre a Taranto è presente in altri stabilimenti in Italia, Genova e Novi Ligure su tutti) è stato prorogato al 10 gennaio 2025, con il governo che italiano intende evitare una frammentazione degli asset, preferendo cedere l’intero polo siderurgico per garantire un rilancio unitario. Tuttavia, le trattative sono complicate dalle implicazioni legali legate all’inquinamento: i cittadini tarantini, stremati da una crisi ambientale e occupazione che si protrae ormai da decenni, chiedono una riconversione ecologica dello stabilimento, mentre i lavoratori denunciano la mancanza di un piano industriale chiaro. Tra pochi giorni il futuro dell’ex Ilva dovrebbe essere più chiaro, ma la data del 10 gennaio difficilmente sarà pienamente risolutiva.
Queste sono solo alcune delle innumerevoli crisi industriali che interessano il nostro Paese e che non hanno trovato soluzione nell’anno appena concluso. Il 2025 sarà un anno cruciale per l’intero comparto industriale italiano: senza interventi rapidi, il rischio è un ulteriore declino del tessuto produttivo nazionale, con conseguenze irreparabili per l’intero Sistema Paese. La politica, abituata a toni trionfalistici sullo stato dell’economia, è chiamata a provvedimenti concreti.
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