Il Congresso Usa ha varato investimenti e sussidi da 2.000 miliardi di dollari nei prossimi anni, per ridurre le emissioni nocive, investire in infrastrutture, innovare processi e prodotti, accrescere la competitività. Quei benefici tentano molte imprese della Ue: tutto dipende dal verdetto del voto, se noi cittadini sapremo capire cosa è in gioco. Non solo un governo, ma la conferma che la civiltà europea progetta il futuro e rigetta il nazionalismo
L’America cresce molto più della Ue, afflitta da vizi progettuali, cui rimediare in fretta. È arduo mettere d’accordo tanti stati, tesi a difendere con le unghie competenze che non riescono a esercitare; può farlo solo la Ue. Alla vigilia di importanti elezioni europee dovremmo parlarne. Il Congresso Usa ha varato investimenti e sussidi da 2.000 miliardi di dollari nei prossimi anni, per ridurre le emissioni nocive, investire in infrastrutture, innovare processi e prodotti, accrescere la competitività.
Quei benefici tentano molte imprese della Ue, le cui norme sugli aiuti di Stato, dopo la sospensione per Covid, sono tornate in vigore; per evitare la fuga delle imprese verso gli Usa, la Ue valuta il rilassamento di quei vincoli, di cui si avvarrebbero solo gli Stati forti. Così si frantumerebbe il mercato unico con danni per tutti, non solo i deboli; crescerebbe il distacco fra Usa e Ue.
Nel 2008 i due Pil erano vicini, con gli Usa a 16.200 miliardi di dollari contro i 14.700 della Ue; nel 2022 invece i primi erano saliti a 25.000 miliardi e noi, includendo anche il Regno Unito post Brexit, eravamo a 19.700. Pesa la maggior crescita della popolazione Usa, ma anche la loro crescita pro capite è maggiore; negli ultimi vent’anni il 26 per cento contro il 18 per cento dell’eurozona. Urge un radicale cambio di passo, la grande novità dell’emissione di debito comune col piano Next Generation Eu va portata fino in fondo; nel piano la Commissione Ue detta le grandi linee, ma spetta agli Stati pensare e realizzare riforme e investimenti. In futuro la mole degli investimenti – 800 miliardi all’anno – soprattutto per la transizione ecologica e digitale eccederà le forze anche dei più prosperi Stati.
La spesa militare europea va solo razionalizzata in un progetto comune, da cui potranno venire rilevanti risparmi, non maggiori spese. Gli investimenti sui grandi beni pubblici europei dovrà farli la Ue, al cui governo – la Commissione – partecipano tutti i membri; essa dovrà perciò disporre di risorse proprie, raccolte con tasse o con debito. Ne parlerà forse il rapporto affidato a Mario Draghi sulla competitività. È una rivoluzione copernicana, se non si possono cambiare i trattati va subito avviata una “cooperazione rafforzata” come quella da cui nacque l’euro, tanto più pensando ai prossimi ingressi nella Ue; l’ha scritto sabato sul Messaggero Romano Prodi. Il diritto di veto degli Stati che frena ogni decisione rilevante va limitato a rarissimi casi.
Dovremo attuare seriamente il Pnrr, comprese le riforme per far ripartire la crescita, su cui il governo se la prende comoda; bastano a fermarle balneari e tassisti, avanguardia di quegli autonomi che fanno mancare, anche grazie alla iniqua e discriminante flat tax, decine di miliardi allo Stato. Non a caso Enrico Letta chiede armonizzazioni fiscali per un vero mercato unico. La sbandierata crescita del Pil non ci ha ancora riportato ai livelli pre crisi finanziaria; altri, fra cui Germania e Francia, sono ben oltre. Se fallissimo sul Pnrr, di investimenti comuni si parlerebbe solo senza l’Italia; grande responsabilità che grava su chi non ne pare conscio.
Qui si gioca il futuro dei giovani, ma la destra rifiuta Copernico e vuol tornare a Tolomeo. In Europa la premier “vuol difendere l’identità dei popoli e delle nazioni”. Serve invece più integrazione, solo rendendo la Ue più competitiva si assicura il futuro dei cittadini. Basta con le miopi beghe fra Stati che ci bloccano sulla politica estera, sul Patto di stabilità e crescita, sull’unione bancaria (attorcigliata sul falso dilemma fra riduzione o condivisione dei rischi), sulla supervisione centralizzata dei mercati, senza cui quella mole di investimenti in beni pubblici è una chimera. Ritrovi la Ue il coraggio di chi mise da parte il nazionalismo, dopo secoli di guerre, avviando il progetto europeo.
La destra di Berlusconi era un inganno, nutrito però dalla fiducia nel futuro. Questo ceto politico reazionario vorrebbe solo tornare al piccolo mondo dei confini nazionali e delle valute, che era pure bigotto. Chi l’ha conosciuto non ne ha nostalgia. Crollato il Muro di Berlino, l’intesa fra Kohl e Mitterrand sull’unificazione tedesca e sull’euro rilanciò l’Europa; con la guerra ai confini, la Ue deve poter decidere ed eseguire la decisione.
Tutto dipenderà dal verdetto elettorale della settimana prossima; se noi cittadini sapremo capire cosa è in gioco. Non solo un governo, ma la conferma che la civiltà europea progetta il futuro e rigetta il nazionalismo.
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