Per aggiudicarsi i voti dei battleground states, Harris e Trump hanno messo in campo proposte diverse. Sostegno alle classi medie e redistribuzione per la prima, riduzioni delle tasse generalizzate per il secondo. Per quel che riguarda l’economia, se sull’agenda internazionale non ci sarebbero differenze sostanziali, sul piano domestico le proposte dei due candidati sono molto diverse
Le elezioni negli Stati Uniti si annunciano come le più combattute della storia. Come ormai sanno anche le pietre, Harris e Trump sono praticamente in parità e, a causa del sistema dei voti elettorali, attribuiti in modo maggioritario da ogni stato, l’esito dell’elezione si giocherà per qualche migliaio di voti in pochi battleground States.
Fra questi ci sono Pennsylvania, Michigan e Wisconsin, stati operai colpiti duramente prima dalla crisi e poi dalle delocalizzazioni e dalla deindustrializzazione.
It’s the economy, stupid
Al primo posto tra le preoccupazioni degli elettori rimane l’inflazione, per cui si biasimano le politiche espansioniste di Biden; è interessante a questo proposito vedere come la percezione sia divaricata dalla realtà: infatti l’inflazione, che è ormai sotto controllo, non è fenomeno solo americano e non può essere addossata all’amministrazione; inoltre, contrariamente ai paesi europei, i salari sono riusciti a tenere il passo dell’inflazione.
Poi vengono temi del lavoro (nonostante tassi di disoccupazione ai minimi), della concorrenza delle importazioni, in particolare quelle cinesi, dell’immigrazione; insomma, anche se si parla di tutt’altro, sono come da noi l’economia e il declino delle classi medie a farla da padroni; guardiamo allora alle proposte dei due candidati.
Harris: rottura nella continuità per le classi medie
Iniziamo con la vicepresidente, candidata “nuova”, che per molti americani rimane un oggetto misterioso. Proprio sull’economia si vede la difficoltà per Harris di essere allo stesso tempo parte dell’amministrazione uscente e candidata di rottura, che si dipinge come un argine rispetto al ritorno al passato rappresentato da Trump.
Per contrastare la narrazione fosca di un’America in declino, Harris ha adottato lo slogan dell’”Economia delle opportunità” cercando di far passare alle classi medie il messaggio che una sua presidenza ripristinerebbe il sogno americano e la mobilità sociale.
Harris punta a rendere più accessibili alloggi, generi alimentari, cura dei figli e farmaci. E lo farebbe, nel difficile esercizio di professare continuità con la Bidenomics per rivendicarne i successi, allo stesso tempo distanziandosene per non farsi affondare dalla sua impopolarità, rendendo permanenti misure dell’amministrazione uscente, come ad esempio il Child Tax Credit, una riduzione fiscale per le famiglie con figli neonati, o ancora i sussidi per consentire alle famiglie più povere di accedere all’assicurazione sanitaria (Obamacare), gli aiuti per gli acquisti di casa da parte di primo proprietari e misure di controllo degli affitti.
Dal lato delle entrate Harris conferma, sia pure sfumando un po’, l’intenzione di Biden di chiamare a contribuire i più ricchi alla transizione e al sostegno alle classi medie.
Vanno in questo senso l’aumento della tassazione sui capital gains (per i redditi superiori al milione di dollari) e sul riacquisto di azioni, o anche la proposta di una tassa minima sul reddito per i super ricchi, con un'aliquota media minima del 25 per cento sui redditi delle famiglie con un patrimonio netto superiore a 100 milioni di dollari.
C’è poi la promessa di semplificazione amministrativa e maggiori deduzioni fiscali per le startup, con l’obiettivo di averne 25 milioni entro la fine del suo mandato (ben oltre i 19 milioni di Biden, che peraltro già costituiscono un record).
Per combattere l’inflazione, Harris ha anche menzionato (senza entrare nei dettagli) la possibilità di imporre controlli dei prezzi selettivi e temporanei nei settori di beni di prima necessità nei quali siano evidenti comportamenti speculativi.
Come era immaginabile, la proposta ha fatto storcere il naso a molti ed è sparita dai radar, anche se la ricerca recente ha mostrato che effettivamente in condizioni di stress dei mercati i controlli di prezzo potrebbero contribuire a ridurre le rendite e ad aumentare l’efficienza.
I tagli alle tasse di Trump
Sulle ricette di Trump c’è molta meno incertezza. Il tycoon ha promesso di rendere permanenti le disposizioni del suo Tax Cuts and Jobs Act, in scadenza nel 2025, tra cui un’aliquota marginale sul reddito del 37 per cento. Trump propone anche di ridurre l’imposta sulle società, per chi produce entro i confini nazionali, al 15 per cento, rispetto all'attuale 21 per cento (Harris la porterebbe al 28 per cento per tutte le imprese), di eliminare le tasse sulle pensioni, e, seguito in questo da Harris, sulle mance per i lavoratori del settore dei servizi.
Contro l’inflazione Trump aumenterebbe l’estrazione di petrolio (nonostante gli USA oggi siano il paese che estrae di più) e ha fatto scalpore proponendo un aumento generalizzato dei dazi doganali (tra il 10 per cento e il 20 per cento sulla maggior parte delle importazioni e oltre il 60 per cento sui beni cinesi).
Nonostante Trump sostenga con veemenza il contrario, la quasi totalità degli economisti ritiene che i dazi sarebbero scaricati sui consumatori e quindi inflazionistici. Harris promette continuità con la politica di Biden di utilizzare i dazi in modo selettivo, ad esempio sulle importazioni di semiconduttori. Anche la promessa di Trump di un giro di vite drastico sull’immigrazione potrebbe avere effetti inflazionistici, portando a scarsità di manodopera in settori come i servizi e le costruzioni, e quindi a un aumento di salari e prezzi.
Più debito per tutti...
Gli aumenti di spesa dei candidati sarebbero in larga parte non finanziati, nonostante, per Harris, l’aumento del carico fiscale sui più ricchi. Ciononostante, negli Stati Uniti non si vede l’ossessiva attenzione al debito che pervade il dibattito europeo in questo momento. Sembra chiaro che la priorità, anche per la sostenibilità delle finanze pubbliche, non sia quella di ridurre il debito ma di rilanciare la crescita.
...ma alla fine conta la crescita
Proprio sulla crescita si possono differenziare i programmi dei due candidati alla Casa Bianca. Secondo un'analisi di Goldman Sachs le politiche di Harris stimolerebbero la crescita, mentre il programma di Trump potrebbe farla rallentare. Si tratta di analisi che quantificano in modo spesso arbitrario programmi che restano di fatto fumosi.
Tuttavia, il passato ci insegna che politiche protezionistiche e strette sull’immigrazione tendono a far aumentare i prezzi e a deprimere la crescita. La recente lettera di 23 premi Nobel, che hanno definito le proposte di Harris vastly superior, va nello stesso senso.
Chiunque vinca le elezioni di martedì, dovremo aspettarci un’America più aggressiva sulle politiche commerciali e in generale nella lotta con la Cina per l’egemonia economica e politica. Tuttavia, sul piano domestico le differenze saranno abbastanza marcate. Lo sforzo di finanziare la transizione ecologica plausibilmente continuerebbe con Harris, mentre con Trump si tornerebbe allo sfruttamento massiccio dell’energia fossile.
Inoltre, le politiche proposte da Harris potrebbero se non invertire almeno rallentare la tendenza all’aumento della disuguaglianza; le politiche di Trump, nonostante contentini alle classi medie e alle piccole e medie imprese, con ogni probabilità andrebbero a beneficio delle grandi corporations e delle classi più agiate.
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