L’invecchiamento della popolazione sommato al calo delle nascite pesa sul futuro del sistema previdenziale. Nella sua relazione annuale, l’Inps lancia l’allarme sulla sostenibilità dei conti nel lungo termine con il peggioramento del rapporto tra pensionati e lavoratori attivi, con i giovani e donne che guadagnano sempre meno
Le diseguaglianze ci sono e, numeri alla mano, sono interconnesse. Nelle disparità di salario tra nuove generazioni e lavoratori dipendenti, tra uomini e donne, e tra donne madri e donne senza figli. Con un «peggioramento del rapporto tra pensionati e contribuenti» che rischia di creare uno squilibrio nel sistema paese.
A fare da cornice, rivela l’Inps nel suo rapporto annuale presentato questa mattina a Roma alla presenza del presidente Sergio Mattarella, c’è lo scenario demografico attuale, caratterizzato dall’aumento dell’età media della popolazione, dal calo della natalità e dalla riduzione della popolazione in età lavorativa.
Così se il mercato del lavoro italiano ha mostrato, dopo la crisi pandemica, un progressivo e costante aumento del numero di occupati dall'inizio del 2021 e un tasso di occupazione arrivato al 62,2 per cento, alla crescita del numero di occupati fa da contrappeso la continua diminuzione della popolazione in età lavorativa.
L’età media di accesso alla pensione in Italia, grazie alla possibilità di uscire in anticipo rispetto all'età di vecchiaia, è di 64,2 anni. Con disparità di trattamento tra uomini e donne.
E se l’invecchiamento della popolazione è un problema comune agli altri Stati membri dell'Unione europea, perché «influenza negativamente la sostenibilità economica di quasi tutti i sistemi previdenziali», questo vale soprattutto per quei paesi, come l’Italia, dove l'incidenza della spesa pensionistica rispetto al prodotto interno lordo è elevata.
Considerato il trend demografico attuale e la speranza di vita della popolazione, l’Inps stima che la spesa pensionistica italiana, storicamente superiore alla media sia europea che dei Paesi Ocse, in rapporto al Pil crescerà ulteriormente nel prossimo decennio per poi scendere e avvicinarsi alla media europea intorno al 2065.
A esacerbare il rapporto tra l'invecchiamento della popolazione e il decremento della natalità, e l’incidenza che queste criticità hanno sul mercato del lavoro, c’è poi la riduzione dell’effetto positivo che la popolazione straniera ha esercitato sulle nascite a partire dai primi anni 2000.
Al 31 dicembre 2023, su un totale di pensionati di circa 16,2 milioni (di cui 7,8 milioni di maschi e 8,4 milioni di femmine), il reddito medio da pensione per gli uomini è superiore del 35 per cento di quello delle donne. «Sebbene rappresentino la quota maggioritaria sul totale dei pensionati (il 52 per cento)», si legge, «le donne percepivano il 44 per cento dei redditi pensionistici, ovvero 153 miliardi di euro contro i 194 miliardi dei maschi. Con un importo medio mensile dei redditi pensionistici percepiti dagli uomini superiore a quello delle donne di circa il 35 per cento.
Donne svantaggiate
Significativi anche i dati sulla disparità di genere, che rivelano come il 18 per cento delle donne è a rischio uscita dal mercato del lavoro dopo la maternità. Dopo la nascita del primo figlio le donne sperimentino una riduzione salariale, particolarmente significativa nell'anno di nascita e in quello successivo. Nell'anno in cui diventano madri, le donne subiscono un calo dei redditi annui di circa il 76 per cento, mentre per gli uomini si osserva un incremento salariale di circa il 6 per cento. Tra le donne, le madri percepiscono un reddito annuo pari in media a circa 18 mila euro, mentre quello delle donne senza figli è di circa 15 mila euro.
I giovani lavorano meno e guadagnano di meno. A fronte di una retribuzione media annua pari nel 2023 a quasi 26 mila euro per i lavoratori dipendenti pubblici e privati (esclusi lavoratori domestici e operai agricoli), gli under trenta guadagnano poco più della metà, vale a dire 14 mila euro.
«Per avere un sistema previdenziale solido», ha detto il presidente dell’Inps, Gabriele Fava, presentando il rapporto, «occorre offrire ai giovani opportunità di lavoro regolare, riducendone i tempi di transizione sia dal sistema di istruzione e formazione al lavoro che da una occupazione all'altra, con adeguate misure di politiche attive del lavoro».
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